Forze armate al collasso ma soprattutto inutili

(aggiornato il 7 giugno)

Anno dopo anno la parata militare del 2 giugno ha perso progressivamente incisività e marzialità e quest’anno ha ben sintetizzato la situazione delle forze armate italiane. Se in teoria sarebbe necessario disporre di forze efficienti per far fronte alle crescenti sfide che minacciano l’Italia, in pratica si continua a sottrarre risorse finanziarie allo strumento militare ridotto ormai a puro “stipendificio”.

Paradossalmente però le spese militari possono venire considerate persino troppo alte tenuto conto che a Roma nessuna forza politica ha il coraggio di impiegare i militari per quello a cui servono. Se il ragionamento vi è sembrato un po’ contorto partiamo dalla parata del 2 giugno dove hanno sfilato ancora una volta reparti senza mezzi per non spendere troppo, non mettere a rischio i siti archeologici del Fori Imperiali ma soprattutto per non apparire “guerrafondai”.

Per ricordare i 100 anni dalla Grande Guerra c’erano pure truppe in uniforme d’epoca ma in sostanza la presenza militare è stata ancora una volta annacquata tra corpi civili dello Stato e persino  bambini con ombrellini tricolori.

Inutile ricordare che le parate russa (9 maggio) e francese (14 luglio) servono a mostrare la potenza degli strumenti militari e su Piazza Rossa e Champs Elysèes nessuno si vergogna a far transitare carri armati, missili, blindati e cannoni, ma soprattutto a mettere in mostra davanti al mondo un orgoglio nazionale e patriottico che certo a noi non appartiene più da un pezzo.

Non che in Italia non si disponga di mezzi pesanti ma è meglio non farli vedere così boy scout e pacifinti, antagonisti e catto-comunisti non si indignano.

Eppure proprio a loro dovrebbero piacere queste forze armate così “buoniste” e “umanitarie” che invece di combattere addestrano altri a farlo, che contro lo Stato Islamico non tirano nemmeno un petardo e che invece di difendere i confini della Patria permettono di superarli senza neppure declinare le proprie generalità a chiunque paghi il pizzo al crimine organizzato.

Un apprezzamento lo merita Matteo Renzi che si è finalmente recato in visita a un contingente militare italiano all’estero  trascorrendo il 2 giugno a Herat.

Con la  mimetica addosso era in evidente disagio e del resto è noto a tutti il disinteresse (se non l’imbarazzato fastidio) con cui il premier approccia i temi della difesa e sicurezza come confermano i continui tagli al bilancio delle forze armate perpetrati nell’ultimo biennio e che verranno accentuati nel 2016-17.

Il Documento Programmatico Pluriennale transitato nelle commissioni parlamentari nei giorni scorsi (e ampiamente illustrato da Analisi Difesa) parla chiaro. Quest’anno alle forze armate (Funzione Difesa) sono andati 13,2 miliardi contro i 14,3 del 2010 ma già dall’anno prossimo scenderemo a 12,7. Di questi fondi il 73,3 per cento se ne va in stipendi, voce che nel 2010 copriva il 65,4% del bilancio ma che nel 2017 raggiungerà il 75,7%.

In pratica i tre quarti dei fondi destinati alle forze armate se ne vanno in retribuzioni lasciando appena 2,3 miliardi per acquisire nuovi mezzi (ma qui vengono in soccorso altri 2 miliardi circa di fondi stanziati da altri ministeri) e poco più di un miliardo per esercitazioni, addestramento, manutenzioni di mezzi e infrastrutture.

Alla faccia della riforma di Giampaolo Di Paola, ministro del governo Monti che varò il taglio dei militari da 185 mila a 150 mila entro il 2024 per ridistribuire le risorse finanziarie in percentuali bilanciate (50% personale, 25% esercizio e 25% investimenti). Un obiettivo già oggi vanificato dai continui tagli al bilancio e dal troppo lento calo degli organici.

E per fortuna che l’anno scorso il ministro della Difesa, Roberta Pinotti, aveva dichiarato che “il bilancio della Difesa non può essere il bancomat del governo”! Invece è proprio così.

Nessun dicastero ha subito tagli paragonabili a quello della Difesa anche se i risultati di questi tagli sono davvero paradossali.

Certo in futuro avremo qualche nuovo mezzo ma le caserme cadono a pezzi e manca il carburante, l’olio e i ricambi per le manutenzioni e per addestrare il personale.

I piloti non hanno mai volato così poco, l’Aviazione dell’Eserrcito è alla paralisi, interi reggimenti non sparano un colpo da molto tempo per mancanza di munizioni e per molti l’unico addestramento attuabile è rappresentato dalla marcia zaino in spalla. Sempre utile a tenersi in forma ma non certo sufficiente nell’era delle guerre hi-tech.

Compreremo gli F-35, una trentina entro il 2020 e poi probabilmente tutti i 90 previsti, ma non avremo i soldi per farli volare così come non potremo gestire la nuova flotta che stiamo costruendo con i fondi della “legge navale” dell’anno scorso.

Per poter addestrare militari e tenere in manutenzione e i mezzi le forze armate devono sperare in un futuro ricco di missioni i cui finanziamenti ad hoc possono garantire il mantenimento di un minimo di capacità operative che i fondi ordinari non garantiscono più.

Ma di quali missioni parliamo?  Restare in Afghanistan fino al 2016 perché ce lo chiedono gli americani ha un significato strategico o è l’ennesimo obolo che paghiamo allo Zio Sam al quale neppure Renzi sa dire di no?

Mantenere in Iraq droni e bombardieri Tornado completamente disarmati rappresenta un costo del tutto privo di benefici nella lotta allo Stato Islamico che l’Italia in realtà non attua in nessun modo.

Spendere miliardi per rimpiazzare i Tornado con gli F-35 non è solo un errore strategico e industriale che ci metterà del tutto nelle mani di Washington ma è anche inutile: a cosa serve avere un bombardiere “invisibile” se non abbiamo neppure il coraggio di mettergli le bombe a bordo?

In realtà i veri bombardieri “stealth” li abbiamo già in servizio da un pezzo: sono i Tornado che risultano invisibili al nemico jihadista perché disarmati e che nella loro carriera operativa sono stati a lungo invisibili sul piano mediatico ai cittadini-contribuenti italiani quando impegnati in missioni belliche in Iraq nel 1991, in Kosovo, in  Libia e oggi di nuovo Iraq.

A che serve spendere miliardi per disporre di nuove portaelicotteri da assalto anfibio, pattugliatori grandi come cacciatorpediniere e sofisticate fregate lanciamissili se non possiamo sparare ai pirati, bombardare le milizie dell’ISIS a Derna e Sirte e non siamo neppure capaci di respingere immigrati clandestini?

Per imbarcare tutti gli africani e trasferirli in Italia agevolmente converrebbe dotare la Marina Militare di traghetti di seconda mano invece che di nuovissime navi da guerra da mezzo miliardo di euro l’una o più.

Oppure potremmo usare i fondi della Difesa per costruire un ponte tra la costa africana, Lampedusa e l’Italia, ovviamente senza posti di controllo né dogana.

Il dilemma in realtà non riguarda le dotazioni militari ma la totale incapacità della politica di difendere, anche con le armi, gli interessi nazionali e le frontiere stesse della Nazione.

Abbiamo irrisolta da oltre tre anni la penosa vicenda dei fucilieri Salvatore Girone e Massimiliano Latorre mentre in Italia non riusciamo neppure a difendere Piazza di Spagna da 200 tifosi olandesi ubriachi né il centro di Milano da altrettanti teppisti black-bloc, ridicolizzando agli occhi del mondo e dell’opinione pubblica italiana il ruolo di militari e forze dell’ordine, ormai ridotti al ruolo di mute comparse, non protagonisti della difesa e sicurezza nazionale.

Figuriamoci se in queste condizioni possiamo impensierire terroristi e jihadisti oppure anche solo pirati e trafficanti, criminali seri con tanto così di pelo sullo stomaco.

(con fonte Nuova Bussola Quotidiana)

Foto: Difesa.it, UNIFIL e Ansa

Gianandrea GaianiVedi tutti gli articoli

Giornalista bolognese, laureato in Storia Contemporanea, dal 1988 si occupa di analisi storico-strategiche, studio dei conflitti e reportage dai teatri di guerra. Dal 1991 al 2014 ha seguito sul campo i conflitti nei Balcani, Somalia, Iraq, Afghanistan, Sahara Occidentale, Mozambico e Sahel. Dal febbraio 2000 dirige Analisi Difesa. Ha collaborato o collabora con quotidiani e settimanali, università e istituti di formazione militari ed è opinionista per reti TV e radiofoniche. Ha scritto diversi libri tra cui "Iraq Afghanistan, guerre di pace italiane", “Immigrazione, la grande farsa umanitaria” e "L'ultima guerra contro l’Europa". Presso il Ministero dell’Interno ha ricoperto dal 2018 l’incarico di Consigliere per le politiche di sicurezza di due ministri e un sottosegretario.

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