Quanti affari, frau Merkel

di Gigi Riva da L’Espresso  del 10 luglio 2015

Mentre Atene riconosce nella coriacea Berlino la sua moderna Sparta, ci sono almeno 250 mila tedeschi stesi sulle spiagge dell’Egeo o in tour nel Peloponneso a nutrire la pelle di creme solari, gli occhi di bellezza, lo spirito di antica sapienza. Nel 2014 furono due milioni emezzo (più 17 per cento), quest’anno il ritmo delle prenotazioni faceva vaticinare lo spostamento dell’asticella del record a quota tre milioni prima delle disdette: dovute al timore di disagi, non alla fine di un’attrazione fatale.

Che si sublima sia nell’amore duraturo degli inguaribili romantici perduti dietro il fascino di un tramonto sul mare tra le colonne doriche, sia nel matrimonio d’interesse di imprenditori teutonici che sulle macerie della Grecia stanno facendo affari. A prezzi di favore si vende un Paese in bancarotta, squali della finanza sono attratti dall’odore del sangue, semplici appassionati del luogo approfittano di case che ad Atene sono arrivate a costare cinquemila curo (esempi limite, certo in periferia e non in buono stato) e di ville sulla costa il cui valore è crollato almeno del 30 per cento. >Come nel resto di eurolandia ma qui di più, la crisi fa ricchi i tedeschi.

Dall’inizio dell’austerità le aziende di Germania hanno investito direttamente 8,7 miliardi di dollari, naturalmente prime (noi secondi a 5,6). Se il petrolio di Putin issa la Russia della fratellanza ortodossa in vetta alla classifica dei Paesi da cui si importa (10,3 per cento del totale), Berlino arriva a un’incollatura (9,9) rifornendo scaffali e magazzini praticamente di tutto, dai prodotti chimici al cibo, dalle automobili ai telefonini (vedi grafico).Ed è solo la superficie del business.

Più strisciante e meno visibile è partita quella che i più benevoli definiscono “neocolonizzazione”, i più drastici un’occupazione aggiornata ai tempi: non coi soldati ma con gli indici di Borsa. Vassilis Primikiris, 64 anni, membro del comitato centrale di Syriza, non ha dubbi: «Quello che interessa alla cancelliere sono le privatizzazioni». E si immagina una calata di barbari nella culla della filosofia a raccattare per pochi spiccioli quel che resta di una storia gloriosa.

Quel che resta perché i barbari sono già dentro le mura e il loro cavallo di Troia (o di Troika) è l’euro. Conferma Athanasios Kelemis, direttore della Federazione commerciale greco-tedesca: «Ci sono 120 aziende tedesche da noi, danno lavoro a 29 mila persone. Colossi come Bosch e Siemens, multinazionali che hanno delocalizzato la produzione, ma anche giganti del settore turistico».

Interessi estesi anche all’energia, soprattutto nelle fonti rinnovabili in un Paese che ha 300 giorni di sole all’anno e dove soffia il Meltemi ma non ha mai sfruttato questo enorme capitale naturale.La macchina da guerra tedesca è perfettamente oliata, nessuna concessione al caso.

Del resto non aveva previsto Berlino perfino un “ministro agli affari greci” che suona un po’ offensivo per la dignità nazionale dei nipotini di Aristotele? Le operazioni finanziarie in Ellade vengono gestite dal “Kreditanstalt für Wiederaufbau” (KfW) un Istituto di credito creato nel 1948 nell’ambito del Piano Marshall per la ricostruzione (quella volta della Germania stessa) e che già ha sostenuto i Länder dell’Est dopo la caduta del Muro: strumento evocativo e pertinente per chi pensa che ora serva per questa sorta di exclave,di provincia marina del nuovo Reich.

La macchina da guerra non si è fatta scrupoli anche nel recente passato di ricorrere a metodi illeciti pur di vincere battaglie. Gli scandali più clamorosi di corruzione coinvolgono soprattutto multinazionali tedesche nel ruolo di ufficiali pagatori e politici di Nea demokratia e Pasok (i socialisti) nel ruolo di beneficiari.

Al principio fu la Siemens per l’appalto dei sistemi di sicurezza delle Olimpiadi 2004. Poi tangenti sono state pagate più o meno per tutto e da tutti, fino all’ingegnoso sistema adottato da Mercedes e Bmw per evadere le tasse sulle auto importate (dieci milioni di curo in totale contestati).Quel che più preoccupa i greci, tuttavia, è la penetrazione sempre più profonda nei settori strategici.

Deutsche Telecom, che aveva già il 40 per cento di Ote (la compagnia telefonica di Stato) è salita fino alla maggioranza del 60 dopo il piano di salvataggio. Fraport, la società che gestisce gli aeroporti di Francoforte, si è presa 14 scali regionali, ovviamente i più appetiti, tra cui Corfù, Rodi, i due di Creta. E chi controlla le isole e lo spazio aereo, in questa delicata area orientale del Mediterraneo, non solo tiene a bada il Paese, ma si procura un forte vantaggio geopolitico.

Si chiedono anche, i greci, perché mai hanno dovuto acquistare dai tedeschi clue sottomarini per 1,3 miliardi di euro nel 2010 quando erano già sull’orlo del baratro. Oi perché hanno dovuto dotare l’esercito di terra di 70 carriarmati Leopard nuovi di zecca prodotti dalla Krauss-Maffei-Wegmann (KMW),entrambi contratti in odore di bustarelle.

L’eterno stato di tensione con la Turchia non basta ormai a giustificare la più alta spesa per armamenti in percentuale sul Pil di tutta Europa (3,45 per cento fino all’anno scorso, Tsipras l’ha abbassata a poco più del 2). Strano che Bruxelles non abbia mai fatto obiezioni su queste uscite.

E sotto il Partenone viene il dubbio che derivi dal fatto che sono tedesche le aziende fornitrici di armi. Dimitris Kasakis, forse l’economista più famoso del Paese per i termini robusti e netti che usa nelle trasmissioni televisive dove viene invitato a furor di audience, è sicuro che ci sia in atto un piano preciso di Berlino per impadronirsi della Grecia. Kasakis propugna il ritorno ad una moneta nazionale e argomenta: «Qualcuno nei deve spiegare come mai il nostro debito pubblico nel 2001 era esattamente la metà di quello registrato sette anni dopo.

Sette annidi curo per raddoppiare e ditemi voi allora se responsabile non è la moneta». Kasakis accusa anche i tedeschi di essere entrati con eleganza da elefanti nei settori dell’istruzione e della sanità (scuole e cliniche private) che dovrebbero essere prerogative dello Stato sovrano.

Non ritiene che si stia assistendo a uno scontro ideologico Tsipras-Merkel, ma va oltre anche quello economico tra Berlino e Atene: «È ancora peggio, è uno scontro di tradizioni, dunque ha radici più lunghe e inestirpabili.

Per noi mediterranei i diritti umani vengono prima di qualunque calcolo utilitaristico; loro invece, essendo calvinisti, hanno una scala opposta di valori». Il che non impedisce ai tedeschi di essere profondamente affascinati dalla cultura greca. E qui Kasakis esagera: «Vero, hanno una doppia anima.

Mi ricordano quegli ufficiali tedeschi che piangevano ammirando l’Acropoli e un minuto dopo si asciugavano le lacrime e sparavano in testa a un bambino». Metafora estrema ed eccessiva, ma che molti ad Atene potrebbero sottoscrivere. Così come l’altra considerazione del professore: «Zeus, nelle sembianze di un toro, rapì Europa e la portò sulla spiaggia di Creta per possederla». Ecco: a Creta, non nel mare del Nord. Dunque se esce la Grecia, è l’Europa stessa che saluta gli altri Paesi. Non viceversa.

Foto: DPA, Itar Tass, Esercito greco, HDW

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