Washington armerà i droni Reaper italiani

da Il Sole 24 Ore

Washington ha finalmente accordato la vendita all’Italia dei kit di armamento per i droni Predator e Reaper in servizio nell’Aeronautica Militare che li ha acquistati negli ultimi anni dalla statunitense General Atomics impiegandoli in Iraq, Afghanistan, Libia e attualmente in Kuwait per le operazioni contro l’Isis in Iraq.

Un impiego intenso ma sempre limitato alla sorveglianza e alla raccolta d’informazioni d’intelligence senza poter effettuare azioni d’attacco come quelle effettuate dai droni delle forze armate statunitensi o della Cia e dai droni britannici.

Londra era fino a oggi l’unico alleato degli USA ad essere stato autorizzato non solo ad armare i propri Reaper (nome bellicoso che significa “mietitore”) ma addirittura ad imbarcare sui velivoli teleguidati i missili Brimstone (guarda il video) prodotti da MBDA e “made in UK”.

Gli stessi droni sono stati acquistati anche da Olanda, Francia e Turchia che, come l’Italia, non hanno potuto ottenere finora i kit d’armamento che includono quasi 300 tra missili Hellfire e bombe a guida laser e gps che Roma aveva chiesto formalmente nel 2012 di poter armare almeno due velivoli MQ9 Reaper e che verranno effettivamente equipaggiati con gli armamenti statunitensi entro almeno un anno.

L’Agenzia della Difesa per la Sicurezza e la Cooperazione del Pentagono, ha notificato al Congresso martedì sera il nulla osta alla vendita all’Italia di queste armi per un contratto stimato 129,6 milioni di dollari.

I membri del Congresso hanno ora 15 giorni per bloccare la vendita ma uno stop è improbabile visto l’attento esame a cui sono sottoposte queste transazioni prima della notifica al Congresso.

La vendita all’Italia sarebbe stata approvata in virtù dello status di “alleato chiave” di Washington secondo quanto riferito da fonti del Pentagono alla Reuters.

“Non è una decisione presa alla leggera ed è simbolica della nostra fiducia nell’Italia come partner” ha spiegato una fonte. “L’Italia è stata con noi in ogni importante operazione Nato e a guida statunitense.”
Le resistenze alla vendita degli armamenti agli alleati, opposte da alcuni ambienti del Pentagono e del Congresso che volevano garantire in esclusiva agli USA la possibilità di combattere con i droni, hanno determinato negli ultimi anni forti frizioni con gli ambienti aeronautici italiani dove cominciava a prendere piede l’opzione di acquisire altrove sistemi d’arma da imbarcare sui 12 droni statunitensi (6 Predator e 6 Reaper) in servizio con il 32° Stormo di Amendola (Foggia). Opzione realistica dal punto di vista operativo ma complessa e dai costi elevati per la necessità di integrare il software che gestisce le armi con quello dei velivoli teleguidati.

Non si può escludere che l’improvvisa concessione sia legata alle pressioni di Washington affinché Roma autorizzi a bombardare le postazioni dell’Isis il contingente aereo italiano in Kuwait, 4 bombardieri Tornado e 2 droni Reaper finora impiegati disarmati.

Dietro la decisione del Pentagono vi sono però anche ragioni commerciali e forti pressioni dell’industria d’oltre Atlantico, preoccupata che i clienti dei droni americani possano rivolgersi altrove considerato che tecnologie per armare i velivoli senza pilota sono già presenti o in fase di sviluppo in Russia, Cina, Corea, Gran Bretagna e in altri Paesi.

Il rischio per le aziende statunitensi era quindi di perdere i clienti a vantaggio della concorrenza.
Negli ambienti politici statunitensi il via libera alla cessione degli armamenti per i droni agli alleati era nell’aria dall’inizio dell’anno.

Secondo funzionari del Dipartimento di Stato, interpellati dal Washington Post nel febbraio scorso, ogni Paese acquirente dovrà accettare una serie di principi per l’impiego dei velivoli armati solo per la difesa nazionale o per situazioni in cui la forza è consentita dal diritto internazionale. Condizioni curiosa se si considera l’elevato numero di civili uccisi dai raid dei droni nella campagna antiterrorismo statunitense.

“La tecnologia resta qui” avevano aggiunto i funzionari sentiti dal WP circa i trasferimenti di know-how agli alleati precisando che “avere alleati attrezzati in modo appropriato” è “un vantaggio” anche per gli Stati Uniti che potrebbero così “appaltare” agli alleati le operazioni contro insorti e terroristi in alcune aree.

Foto Aeronautica Militare, Isaf e US DoD

Gianandrea GaianiVedi tutti gli articoli

Giornalista bolognese, laureato in Storia Contemporanea, dal 1988 si occupa di analisi storico-strategiche, studio dei conflitti e reportage dai teatri di guerra. Dal 1991 al 2014 ha seguito sul campo i conflitti nei Balcani, Somalia, Iraq, Afghanistan, Sahara Occidentale, Mozambico e Sahel. Dal febbraio 2000 dirige Analisi Difesa. Ha collaborato o collabora con quotidiani e settimanali, università e istituti di formazione militari ed è opinionista per reti TV e radiofoniche. Ha scritto diversi libri tra cui "Iraq Afghanistan, guerre di pace italiane", “Immigrazione, la grande farsa umanitaria” e "L'ultima guerra contro l’Europa". Presso il Ministero dell’Interno ha ricoperto dal 2018 l’incarico di Consigliere per le politiche di sicurezza di due ministri e un sottosegretario.

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