La componente tunisina del Jihad

ANSA- E’ la Tunisia il principale esportatore di foreign fighter. Siria, Iraq e nell’ultimo anno la Libia, sono le loro principali destinazioni. Secondo numerose autorevoli fonti sono oltre 5.000 i giovani tunisini partiti per aderire alla jihad ed abbracciare l’ideologia dell’Isis. Stando alle ultime stime, in Libia sarebbero attualmente presenti oltre 1.500 combattenti tunisini, distribuiti principalmente tra le città di Sirte, Derna e Sabratha (la città dove nei giorni scorsi sono stati uccisi due ostaggi italiani e dove ieri sono stati liberati gli altri due).

Non è un caso che proprio nei campi libici si siano addestrati gli autori degli attentati al museo del Bardo e di
Sousse del 2015, come di nazionalita’ tunisina era anche il leader Noureddine Chouchane, obiettivo principale del raid Usa a Sabrata del 19 febbraio scorso. Tunisini erano anche i jihadisti uccisi dalle forze speciali pochi giorni fa a Ben Guerdane, ultima città tunisina prima del confine libico. E non è neanche un caso se la maggior parte dei terroristi che hanno perso la vita nel blitz Usa proveniva proprio da Ben Guerdane.

Le autorità tunisine hanno provato a correre ai ripari, costruendo una barriera di filo spinato e di sabbia lungo i confini con la Libia, ma in molti si domandano se tale misura potrà bastare a fermare le partenze dei futuri foreign fighter.

Non e’ un caso che tra le cause che spingono i giovani ad abbracciare la jihad ci siano le disperate condizioni economiche che li affliggono in patria: disoccupazione in primis. Ma oltre alle precarie situazioni in cui vivono un ruolo non da poco lo giocano anche le efficaci reti di reclutamento che, passando  attraverso moschee e organizzazioni, attraggono i giovani delusi e in parte anche affascinati dall’aspetto avventuroso della guerra santa. I numeri sono impressionanti, considerando anche le migliaia di simpatizzanti non dichiarati dell’Isis e le altrettante migliaia di persone alle quali le autorità tunisine hanno invece impedito di espatriare.

untitled-5Il fenomeno dei foreign fighter è singolare per la Tunisia, unico Paese della regione ad aver compiuto con successo la transizione democratica sulla scia delle primavere arabe. Una vera e propria contraddizione alla quale il governo di Tunisi dovrà al più presto trovare una soluzione, a partire soprattutto dai jihadisti “pentiti”.

La sola repressione, sostengono gli esperti, potrebbe causare in molti casi danni ancora maggiori.

E’ infatti provato che il solo ricorso alla carcerazione forzata abbia prodotto una maggiore radicalizzazione nei confronti dei detenuti. Esperti reclamano l’elaborazione di un preciso piano di sicurezza e la messa in atto di strutture e programmi a loro  dedicati, oltre all’adozione di misure cautelari preventive.

Della questione si sta discutendo anche a livello politico, con la proposta di una legge che disciplini il rientro di queste persone. Da parte sua il premier Habib Essid ha più volte affermato che in base alla Costituzione non è possibile impedire il rientro a chi desideri farlo, ma ha promesso il pugno duro, come l’arresto, per chiunque si sia macchiato di reati di terrorismo.

Foto Reuters

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