Aspetti vecchi e nuovi della minaccia jihadista

da Il Mattino del 12 maggio

Gli arresti di Bari, così importanti per gli obiettivi che i terroristi islamici si apprestavano a colpire e al tempo stesso così fortuiti per le circostanze in cui sono maturati, la dicono lunga sulla crescente minaccia terroristica contro l’Italia e l’Europa.
Sappiamo che senza l’occhio vigile di comune cittadino quella cellula sarebbe ancora in libertà ma non possiamo però sapere quante altre ve ne siano tra i 350 mila immigrati clandestini sbarcati in Italia dal 2014 a oggi o tra il milione di persone (quasi tutti musulmane) giunte illegalmente in Europa da Libia e Turchia solo l’anno scorso.

Le indagini per ora hanno confermato quello che già da tempo sappiamo ma facciamo in molti casi finta di non vedere: gli stretti legami tra terrorismo islamico e traffici di esseri umani. Un business che secondo Europol ha fruttato solo nel 2015 tra i 3 e i 6 miliardi di euro ai trafficanti.

Una minaccia che si aggiunge e si interseca con quella rappresentata dalle reti jihadiste già presenti in Europa. E che venne definita in Italia già nel 2013 dall’allora ministro degli Esteri Emma Bonino.

Precedentemente i rapporti di diversi servizi d’intelligence riferirono che a gestire i flussi di immigrati erano le stesse organizzazioni criminali legate ad al-Qaeda e poi allo Stato Islamico che già gestivano i traffici di armi e droga. L’Europol, Frontex e persino la NATO lanciano da almeno due anni allarmi rimasti finora inascoltati.

L’esplosione del fenomeno migratorio, che come ha più volte denunciato Londra viene favorita e incentivata da un’accoglienza indiscriminata a chiunque paghi i criminali, ha attribuito alla minaccia dimensioni fuori controllo.

Solo in Italia (ma è così in gran parte d’Europa) circa centomila persone sono disseminate in una miriade di centri d’accoglienza: gente di cui non sappiamo nulla o quasi, che si muove in assoluta libertà andando dove vuole, senza rendere conto a nessuno.

L’anno scorso i servizi segreti macedoni individuarono tra i “profughi” che un elevato numero di jihadisti e sospetti “foreign fighters” ma questa informazione venne resa di dominio pubblico solo per iniziativa dell’Austria a margine di un vertice della Ue.

Nascondere la realtà, appellarci a deboli ragioni umanitarie (accogliamo solo chi paga i criminali) o mettere la testa sotto la sabbia come gli struzzi non ci renderà più sicuri così come l’aver mobilitato flotte poderose, militari e forze di polizia non per ripristinare la legalità ma per garantire a chiunque di poterla violare non contribuirà alla nostra credibilità sul fronte della sicurezza.

Gli arresti di Bari potrebbero inoltre indicare la fine della stagione che ha visto l’Italia risparmiata dagli attentati jihadisti. Dopo aver negato a lungo l’invio di forze da combattimento contro lo Stato Islamico, Roma ha accettato le richieste statunitensi di inviare elicotteri da combattimento Mangusta in Iraq insieme a 500 bersaglieri che presidieranno la Diga di Mosul. Assetti da combattimento il cui impiego potrebbe determinar rappresaglie dell’Isis come è già accaduto per molti altri Stati.

Novità preoccupanti potrebbero emergere anche dai fatti di Monaco, dove un 27enne tedesco ha ucciso una persona ferendone altre tre a coltellate al grido di “Allah ù Akbar e “Uccidere tutti gli infedeli”.

Gli inquirenti ci vanno cauti nell’avvallare la motivazione islamista preferendo ricordare che il giovane, Paul H., è mentalmente instabile ed è dedito a usare stupefacenti.

Caratteristiche che non escludono la militanza jihadista poiché lo squilibrio mentale non è poi così raro in chi uccide a sangue freddo così come l’uso di droghe è stato riscontrato in molti terroristi come efficace ausilio per chi deve sopprimere altri esseri umani.

Paul H. era un killer inesperto e dopo il primo sangue ha perso la testa ma ha colpito lontano da casa (viveva a Essen), forse con l’intenzione di far perdere le sue tracce e rientrare a casa indisturbato dopo le sue “gesta”.

Polizia e istituzioni tedesche hanno una lunga tradizione nel negare la motivazione jihadista a molti crimini fatti passare come “comuni” nel nome della “correttezza politica”.

Basti ricordare i tentativi di negare la matrice islamica alle aggressioni e agli stupri compiuti ai danni di moltissime donne tedesche la notte di Capodanno a Colonia e in altre città.

Sul piano procedurale l’azione di Monaco richiama la cosiddetta “Intifada dei coltelli” palestinese, tipologia di attacco terroristico che in Israele ha provocato molte vittime tra gli aggressori poiché laggiù molti cittadini sono armati e la polizia è presente ovunque e sempre pronta al fuoco.

Se prendesse piede in Europa una simile strategia avrebbe effetti potenzialmente ben più gravi. Qui i cittadini armati sono un’esigua minoranza e la presenza sul territorio più capillare, in termini di sicurezza, è riposta nelle telecamere non negli agenti pronti a sparare.

Per i jihadisti gli attacchi all’arma bianca sono convenienti perché impiegano manovalanza non specializzata e quindi “spendibile”.

Non i preziosi “foreign fighters” esperti in guerra e sabotaggio da preservare per azioni eclatanti, ma ragazzi esaltati o  mentalmente instabili o drogati ma pronti a pugnalare chiunque incontrino gridando “Allah ù Akhbar”.

Foto akl-Memri, Marina Mlitare e AP.

 

Gianandrea GaianiVedi tutti gli articoli

Giornalista bolognese, laureato in Storia Contemporanea, dal 1988 si occupa di analisi storico-strategiche, studio dei conflitti e reportage dai teatri di guerra. Dal 1991 al 2014 ha seguito sul campo i conflitti nei Balcani, Somalia, Iraq, Afghanistan, Sahara Occidentale, Mozambico e Sahel. Dal febbraio 2000 dirige Analisi Difesa. Ha collaborato o collabora con quotidiani e settimanali, università e istituti di formazione militari ed è opinionista per reti TV e radiofoniche. Ha scritto diversi libri tra cui "Iraq Afghanistan, guerre di pace italiane", “Immigrazione, la grande farsa umanitaria” e "L'ultima guerra contro l’Europa". Presso il Ministero dell’Interno ha ricoperto dal 2018 l’incarico di Consigliere per le politiche di sicurezza di due ministri e un sottosegretario.

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