MOSUL: COLPO DI MORTAIO A POCHI METRI DAGLI ITALIANI

di Fausto Biloslvo da Il Giornale del 28 ottobre 2016

Il cratere della granata di mortaio è di due, tre metri di larghezza, con un raggio di schegge che segnano l’asfalto tutt’attorno. Il Giornale pubblica la prima foto di uno degli attacchi dello Stato islamico contro la diga, che sono stati tre solo nei primi venti giorni di ottobre, alla vigilia dell’offensiva sulla «capitale» del Califfato in Iraq.

Il quarto, questa settimana, è stato un pericoloso tentativo di sfondamento via terra dei kamikaze stranieri dell’Isis. I mezzi minati sono stati respinti dai curdi e dall’esercito iracheno con il pesante appoggio aereo alleato. La foto del cratere provocato dalla granata di mortaio è stata scattata a fine agosto, ma pubblicata dal sito Congedati Folgore il 18 ottobre.

La dimostrazione che le bandiere nere puntavano da mesi la diga ed i nostri militari, che rappresentano la postazione dei «crociati» più vicina, 15-20 chilometri, alla prima linea del Califfato attorno a Mosul.

La Task force Praesidium è composta da 450 soldati italiani impegnati nella protezione della diga e soprattutto dei tecnici e operai della ditta Trevi. Il grosso è composto dai bersaglieri del 6° reggimento della brigata Aosta di stanza a Trapani.

Un particolare sistema radar segnala il lancio ostile in arrivo e suona l’allarme, anche se i tempi di impatto sono molto stretti. In ottobre le bandiere nere hanno lanciato tre volte diversi razzi contro gli italiani e la diga.

Per fortuna nessuno ha centrato il bersaglio. il più vicino sarebbe arrivato a 300 metri. S

i tratta quasi sempre di razzi di di 122 millimetri, Bm 21, l’evoluzione dei famigerati «organi di Stalin» della seconda guerra mondiale. Nel primo attacco di ottobre gli italiani hanno chiesto l’appoggio aereo alleato.

I caccia Usa hanno individuato e bombardato le rampe di lancio eliminando la minaccia. L’operazione Praesidium era stata annunciata il 15 dicembre scorso, in diretta a Porta a porta, dal presidente del Consiglio Matteo Renzi.

Le agenzie stampa ed i quotidiani il giorno dopo annunciavano che l’appalto era di 2 miliardi di dollari. Si pensava che l’ammontare fosse stato indicato da Renzi, che in realtà nel salotto di Vespa non ha mai pronunciato alcuna cifra.

Qualcuno ha abilmente «gonfiato» la notizia facendola uscire in concomitanza con l’annuncio del premier. Il risultato è stato, che due giorni dopo la società Trevi incassava un boom in Borsa, con oltre il 20% in più, grazie alla bufala sui 2 miliardi di dollari.

Una manna per la società che aveva perso molto nel 2015. E per lo Stato grazie al Fondo strategico italiano controllato all’80% dal ministero dell’Economia, che ha in mano il 16% della Trevi.

Mesi, dopo, il 2 marzo, la firma del contratto di appalto confermava che la cifra vera, di 273 milioni di dollari, è di 6 volte inferiore a quella annunciata chissà da chi.

Non solo: la firma è stata «sollecitata» dalla stessa ambasciata americana a Baghdad, che il 28 febbraio lanciava l’ennesimo allarme di un possibile «collasso improvviso» della diga di Mosul.

Nel Consiglio di amministrazione della Trevi siede Marta Dassù, viceministro degli Esteri prima con il governo Monti e poi con Letta. Dassù è membro dell’istituto Aspen, di fatto lobby filo Usa.

E nel Fondo strategico statale, socio di Trevi, troviamo Elena Zambon, vicepresidente dell’Aspen Italia.

Il cerchio si chiude con la filiale americana americana della ditta protetta dai soldati italiani. Dal 2001 la Treviicos lavora con il genio militare Usa.

Foto: Difesa.it, AFP, AP e Reuters

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