Se i trafficanti ora scoprono la rotta tunisina

da Il Mattino / Il Messaggero del 10 ottobre 2017

La tragedia al largo delle isole Kerkennah ha messo in evidenza una delle principali “rotte alternative” emerse nelle ultime settimane dopo che l’iniziativa italo-libica ha rallentato in modo significativo l’esodo dei migranti illegali dalle coste libiche della Tripolitania Occidentale e riducendo del 35% anche i flussi dal Niger verso la Libia.

Una rotta forse non del tutto chiusa ma che non sembra essere più sicura per i trafficanti di esseri umani non solo perché la Guardia costiera intercetta molti dei gommoni e barconi in partenza (16mila migranti illegali bloccati e riportati in Libia da agosto) ma anche perchè l’esito della battaglia di Sabratha sembra aver visto sconfitte le milizie di trafficanti anche se recentemente riconvertitisi alla lotta ai traffici illeciti.

Meglio attendere il consolidamento della situazione a Sabratha e dintorni prima di considerare definitivamente chiusa “l’autostrada del mare” attraverso la quale sono arrivati in Italia 650 mila immigrati illegali dal 2013, 106.118 sbarcati tra gennaio e il 4 ottobre il -20,68% in meno rispetto ai 133.785 dello stesso periodo del 2016.

L’incidente che ieri ha provocato l’affondamento di una barca che trasportava verso l’Italia almeno una settantina di tunisini, speronata per cause ancora da chiarire da una nave militare di Tunisi, conferma come stia prendendo piede una nuova rotta, numericamente meno rilevante di quella libica ma non meno pericolosa per l’Italia e l’Europa.

Invece di impiegare gommoni e barconi malridotti e destinati a venire soccorsi dalle navi militari europee, libiche o delle Ong, oppure a naufragare, i trafficanti tunisini impiegano ben più solide barche da pesca che puntano direttamente alle coste siciliane aggirando i controlli navali per sbarcare il loro carico umano composto essenzialmente da tunisini che non intendono farsi intercettare dalle forze di polizia italiana.

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Solo in settembre i tunisini giunti in Italia in questo modo sono stati oltre 1.400 (più di quanti ne sono arrivati tra gennaio ed agosto) e altri 554 sono stati bloccati dalle autorità tunisine. Il timore è che possa prendere il via un esodo simile a quello del 2011 che interessò 24 mila tunisini, inclusi buona parte degli 11mila carcerati fuggiti dalle prigioni in seguito alla rivolta contro il governo del presidente Ben Alì.

Le modalità utilizzate dagli scafisti per effettuare viaggi più sicuri e diretti alle coste italiane (e con costi non meglio precisati finora ma certo di molto superiori a quanto pagato dai migranti africani ai trafficanti libici) lasciano però supporre possa esservi ben altro che il trasporto di migranti economici in cerca di una vita migliore.

I cosiddetti “sbarchi fantasma” costituiscono infatti la formula ideale per infiltrare in Italia e in Europa jihadisti, terroristi, foreign fighters e criminali comuni (categorie che, come è emerso, sono spesso collegate) che non hanno problemi a pagare per sé stessi e i famigliari un prezzo maggiorato per raggiungere in sicurezza l’Italia.

Già oggi la maggior parte della popolazione carceraria tunisina si trova nelle galere italiane e in molti, inclusi i tanti liberati dai recenti indulti del governo di Tunisi (che spesso risolve così il problema del sovraffollamento carcerario), punterebbero sull’Italia per rinforzare i ranghi dei tanti clan che qui e in altri Stati europei gestiscono lo spaccio di droga e altri racket.

La cattura a Ferrara di Anis Hannachi, fratello dell’attentatore di Marsiglia, ci ricorda soprattutto che la Tunisia è il paese che ha offerto in assoluto il maggior numero di volontari alla causa dello Stato Islamico con oltre 3mila foreign fighters, il doppio secondo alcune stime, cioè circa lo stesso numero di combattenti del jihad partiti dall’Europa.

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Il rientro in patria dei foreign fighters tunisini si è accelerato dopo le sconfitte del Califfato in Iraq, Siria e Libia. Nel dicembre scorso il governo di Tunisi stimava fossero già ritornati in 800 e aveva valutato impossibile incarcerarli tutti così come la costituzione nazionale impediva di togliere loro la cittadinanza o negare il rimpatrio.

Non è certo la prima volta che i flussi migratori illegali costituiscono una buona occasione per alcuni Stati di liberarsi di criminali e sovversivi: accadde nei primi anni ’90 con i migranti albanesi, con i tunisini nel 2011 e con i più recenti flussi lungo le rotte balcanica e libica percorse, come ormai sta emergendo in molti Stati europei, da molti fuorilegge e militanti di organizzazioni eversive islamiste.

Anche il jihadista algerino arrestato a Roma il 6 ottobre scorso con precedenti criminali, indagato dalla polizia belga per terrorismo ” e poi rimpatriato, è arrivato in Sardegna il 24 settembre con un barcone dall’Algeria. Anche questa rotta vede una forte intensificazione dei flussi con 1088 arrivi tra gennaio e settembre contro i 1.106 dell’intero 2016.

Una rotta che ha molto in comune con quella tunisina: si tratta di trasporti diretti e rapidi, effettuati con imbarcazioni sicure e quindi a costi sostenuti e sembra diretta a una “clientela” relativamente benestante che potrebbe includere un buon numero di criminali e jihadisti.

A fine settembre sono sbarcati 400 algerini in meno di 48 ore: a differenza dei tunisini non cercano di dileguarsi ma, come sottolinea il Sindacato italiano appartenenti polizia (SIAP), hanno l’obiettivo di ottenere il foglio di espulsione, cioè l’invito a lasciare il territorio italiano entro sette giorni, “vero e proprio lasciapassare per la Penisola e per tentare di infiltrarsi in altri paesi europei”.

ANSA

Un flusso che secondo il sindacato è “capace di immettere nel tessuto sociale sardo, italiano ed europeo soggetti molto vicini all’estremismo islamico” ma anche di determinare “un aumento dei reati comuni commessi dai soggetti di tale etnia che permangono nella provincia di Cagliari”.

Un’ulteriore “rotta alternativa”, che però non coinvolge l’Italia, è quella che attraversa il Mar Nero aggirando i controlli che i turchi effettuano lungo i confini terrestri e marittimi con Grecia e Bulgaria in base all’accordo firmato con la Ue.

La nuova rotta vede asiatici e mediorientali raggiungere le coste rumene attraverso più di 400 chilometri di navigazione nelle acque del Mar Nero salpando dalla Turchia. Nell’ultimo mese sono arrivati via mare in Romania circa 500 siriani e iracheni ma non mancano i dubbi circa il consolidamento della nuova rotta a causa delle condizioni meteo del Mar Nero, per l’assenza di imbarcazioni di buone dimensioni, l’incremento dei controlli da parte delle forze costiere turche e rumene e i costi, proibitivi per molti migranti, che secondo fonti turche sono pari a 3/5mila dollari a persona.

Foto ANSA

 

Gianandrea GaianiVedi tutti gli articoli

Giornalista bolognese, laureato in Storia Contemporanea, dal 1988 si occupa di analisi storico-strategiche, studio dei conflitti e reportage dai teatri di guerra. Dal 1991 al 2014 ha seguito sul campo i conflitti nei Balcani, Somalia, Iraq, Afghanistan, Sahara Occidentale, Mozambico e Sahel. Dal febbraio 2000 dirige Analisi Difesa. Ha collaborato o collabora con quotidiani e settimanali, università e istituti di formazione militari ed è opinionista per reti TV e radiofoniche. Ha scritto diversi libri tra cui "Iraq Afghanistan, guerre di pace italiane", “Immigrazione, la grande farsa umanitaria” e "L'ultima guerra contro l’Europa". Presso il Ministero dell’Interno ha ricoperto dal 2018 l’incarico di Consigliere per le politiche di sicurezza di due ministri e un sottosegretario.

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