Istituita a Idlib la “zona demilitarizzata”, Assad guarda al dopoguerra

(Aggiornato alle ore 19,00)

Meno di un mese dopo l’accordo raggiunto nel summit tra Russia e Turchia per scongiurare l’offensiva dei governativi siriani a Idlib, Mosca e Ankara hanno istituito una zona demilitarizzata intorno alla provincia controllata dagli insorti, per il 60% qaedisti di Hayat Tahrir al Sham, l’ex Fronte al-Nusra.

La zona si estende per 15-20 chilometri lungo le linee del fronte intorno a Idlib e comprende anche parte delle province di Latakia, Hama e Aleppo. Al momento, l’accordo ha evitato un’offensiva di Damasco contro l’ultima grande roccaforte dei ribelli, dove migliaia di miliziani, inclusi jihadisti stranieri, vivono insieme a quasi 3 milioni di civili.

Syrian rebel-fighter from the National Liberation Front (NLF) man a position at the frontline facing regime areas in the southern countryside of Aleppo on October 14, 2018. - A deal was brokered by Syria's ally Russia and Turkey last month stipulating that rebel factions had until October 10 to withdraw heavy weaponry from a 15 to 20 kilometre (nine to 12 mile) wide buffer zone, which rings Idlib province and adjacent areas of the northwest, and October 15 for withdrawal of jihadist groups. (Photo by OMAR HAJ KADOUR / AFP)

Lo scorso 17 settembre a Sochi il presidente russo Vladimir Putin e quello turco Recep Tayyip Erdogan hanno raggiunto un’intesa per la creazione di una zona demilitarizzata profonda 15-20 chilometri lungo il perimetro della provincia di Idlib, che tenga separate le truppe del governo siriano, alleate della Russia, e quelle ribelli, alcune delle quali alleate della Turchia del Fronte di Liberazione Nazionale, NLF (nella foto a lato), parte dell’ Esercito Libero Siriano.

Secondo l’accordo, che Bashar al Assad ha definito utile ma temporaneo (“l’ accordo è una misura temporanea attraverso la quale lo Stato ha realizzato molti risultati sul terreno”, ha detto Assad la scorsa settimana durante una riunione del comitato centrale del partito Baath), tutti i gruppi ribelli presenti nella zona demilitarizzata devono deporre le armi e abbandonarla entro il 15 ottobre. Secondo la stampa turca, lunedì, i ribelli del NLF hanno già completato il ritiro delle armi pesanti.

Syrian youths walk past a billboard showing a picture of Syrian President Bashar al-Assad wearing sunglasses while dressed in a Field Marshal's camouflage fatigues, on display in the centre of the capital Damascus on July 9, 2018, with a caption below reading in Arabic: "If the country's dust speaks, it will say Bashar al-Assad." / AFP PHOTO / LOUAI BESHARA

La zona demilitarizzata inizia pochi chilometri a nordovest di Aleppo, prosegue a sud sul perimetro est della provincia di Idlib fino a lambire la zona nord della provincia di Hama e, risalendo verso nord, quella orientale della provincia di Latakia, fino ad esaurirsi al confine tra quest’ ultima e il territorio turco.

Disseminati attorno al perimetro della zona demilitarizzata ci sono i punti di osservazione turchi, russi e iraniani. Uno degli obiettivi logistici dell’intesa è quello di liberare l’autostrada M5, che collega Damasco ed Aleppo, passando per Hama e la campagna di Idlib.

Oggi scadono l termini per il ritiro delle fazioni ribelli dall’area demilitarizzata, ma non mancano gruppi che hanno rigettato l’ordine, come il fronte Hurras al Din, con base vicino Jisr al Shoghur, e quello di Ansar al Din, con base nel sud di Aleppo, che hanno fatto sapere di considerare il ritiro come una resa. Dello stesso avviso sembrano essere i combattenti uighuri del Turkestan Islamic Party, di ispirazione qaedista.

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Fonti della sicurezza turca hanno riferito a media internazionali che circa un terzo dei 15.000 combattenti del gruppo qaedista Hayat Tahrir al Sham (HTS) operavano fino a poco tempo fa nella zona demilitarizzata; di quei 5000 solo un migliaio si sarebbero ritirati.

Secondo fonti locali in contatto con Middle East Eye, i miliziani di HTS avrebbero permesso il passaggio di truppe turche attraverso il valico di frontiera di Bab al Hawah (controllato dalla stessa HTS) in direzione dei punti di osservazione istituiti da Ankara, dai quali poter attaccare altri gruppi ribelli.

Un comandante del’ Esercito Siriano Libero ha riferito sempre a MEE che l’Esercito turco si sta ammassando nel distretto turco di Yayladagi, confinante con le postazioni ribelli nel nord della provincia di Latakia. Sempre secondo il comandante, le truppe turche da quelle postazioni possono condurre offensive contro le fazioni che non rispettino l’applicazione della “zona demilitarizzata”.

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Il ministro degli Esteri siriano, Walid al Mualem, ha avvertito ieri che “le nostre forze sono pronte intorno a Idlib per sradicare il terrorismo nel caso in cui l’attuazione dell’accordo a Idlib non venga soddisfatta”, ha detto Al Mualem in una conferenza stampa a Damasco con il suo omologo iracheno, Ibrahim al-Jaafari.

“Idlib, come qualsiasi area in Siria, deve inevitabilmente tornare alla sovranità dello Stato siriano”, ha sottolineato il ministro, aggiungendo che “se l’accordo su Idlib non viene rispettato, il governo siriano opterà per altre opzioni.

Il Fronte al-Nusra (ora Hayat Tahrir Al-Sham) appare in 27” liste terroristiche “nelle Nazioni Unite e deve essere rimosso dalla sua ultima roccaforte”, ha concluso.

 

Assad prepara il dopoguerra

Il presidente siriano Bashar Assad sembra tenersi pronto a scatenare l’offensiva su Idlib se il piano russo-turco dovesse fallire, ma pare anche determinato a mettere a punto dopoguerra e ricostruzione.

Nei giorni scorsi ha concesso la prima intervista a un giornale del Golfo dall’inizio della guerra e pur senza menzionare i singoli Stati ha confermato l’arrivo di delegazioni arabe e occidentali a Damasco con l’obiettivo è riaprire le rappresentanze diplomatiche.

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Il messaggio è chiaro: la Siria è pronta a siglare una “grande intesa” con alcuni Stati del Golfo, dopo sette anni di conflitto in cui dagli emirati e dall’Arabia Saudita sono giunti denari e armi ai ribelli,

Al quotidiano kuwaitiano al-Shahed, Assad ha detto che da qualche tempo delegazioni di nazioni arabe e occidentali hanno iniziato a visitare la Siria. Presto la guerra finirà e il Paese tornerà a ricoprire “un ruolo di primo piano” nella regione.

La presenza della Siria all’interno dei 22 membri della Lega araba si è interrotta fin dai primi tempi della guerra e nei mesi successivi diverse nazioni della regione hanno imposto sanzioni economiche e commerciali a Damasco.

A general view taken on September 30, 2018 shows the rebel-held northern Syrian city of Idlib (Photo by OMAR HAJ KADOUR / AFP) (Photo credit should read OMAR HAJ KADOUR/AFP/Getty Images)

In questi anni Arabia Saudita, Qatar e altri membri del Consiglio di cooperazione del Golfo hanno sostenuto in modo aperto l’opposizione anti-Assad e i gruppi ribelli jihadisti.

I due diplomatici si sono scambiati strette di mano e abbracci a favore di telecamera, mostrando un clima di grande cordialità. Un segno ulteriore di un possibile cambiamento di orientamento, almeno di alcuni Paesi del Golfo, nei confronti di Assad.

Un esercizio di puro pragmatismo che riconosce la vittoria di Damasco (e di Mosca) nella guerra siriana e che punta forse oggi ad attrarre Assad verso Stati in grado di investire denaro in Siria per allentarne gli strettissimi legami con l’Iran, rafforzatisi in questi anni grazie anche al rilevante contributo in truppe e mezzi forniti dagli iraniani alle forze siriane.

 

Frontiere aperte

Un importante segnale di normalizzazione giunge dalla riapertura di alcuni importanti valichi di frontiera. Il più importante valico tra Giordania e Siria ha riaperto ieri dopo tre anni di chiusura e i testimoni raccontano di una lunga fila di auto, con targa giordana, in attesa di passare il confine verso la Siria.

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Il valico di frontiera, conosciuto come Jaber dalla parte giordana e Nassib da quella siriana (nella foto a lato), era un’arteria di comunicazione cruciale per gli scambi commerciali, prima che i ribelli siriani ne prendessero il controllo e Amman ne decidesse la chiusura, nell’ aprile del 2015; lo scorso luglio le forze armate siriane ne hanno ripreso il controllo, anche grazie anche alla mediazione dei russi.

Nei giorni scorsi, media siriani avevano affermato che il governo siriano si era detto pronto alla riapertura del valico, che collega Damasco e Amman e che è uno dei principali corridoi del commercio di tutto il Medio Oriente.

Le merci libanesi, per esempio, giungono in Arabia Saudita via terra passando per la Siria e la Giordania. E anche altri prodotti commerciali tra i diversi paesi della regione passano per Nassib. Sempre nei giorni passati, media panarabi e libanesi citavano pressioni del governo di Beirut e della Russia nei confronti della Giordania perché si formalizzasse la riapertura del valico.

Mosca, affermavano i media, ha interesse a rafforzare l’immagine vincente del governo siriano e del presidente Bashar al Assad. Secondo le stesse fonti, la Giordania, alleata degli Stati Uniti, non ha lo stesso interesse della Russia e preferisce rimandare la riapertura per motivi politici e non tecnici.

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Riapre invece oggi, dopo quattro anni di chiusura, il valico di Quneitra fra il territorio siriano e le alture del Golan controllate da Israele. Lo ha reso noto ieri il portavoce militare israeliano secondo cui la riapertura è stata decisa dalle Nazioni Unite per consentire il transito agli osservatori dell’Undof (United Nations Disengagement Observer Force) fra i due versanti della linea di separazione delle forze.

Nell’ agosto 2014 l’Undof si era vista costretta a lasciare il territorio siriano a causa della guerra civile. Adesso la situazione nel versante siriano si è stabilizzata ed è dunque possibile tornare a dislocarvi gli osservatori dell’Onu. Per il momento, ha precisato il portavoce militare, solo loro potranno comunque utilizzare quel valico.

Il ministro degli Esteri dell’Iraq, Ibrahim al-Jafaari, ha detto oggi a Damasco che “l’apertura dei valichi di frontiera tra Iraq e Siria è imminente” nonostante “qualche ritardo a causa di circostanze eccezionali. La Siria rappresenta un vicino dal punto di vista umanitario, politico ed economico e non solo geografico e le relazioni devono essere ulteriormente sviluppate”, ha aggiunto il ministro iracheno.

Amnistia

Per favorire il rientro in patria dei profughi (oltre 1,7 milioni avrebbero chiesto il rimpatrio dai paesi in cui sono ospitati secondo fonti russe) su Assad ha annunciato un’amnistia generale per i disertori, indirizzata sia ai giovani rimasti in patria sia a quelli fuggiti all’ estero.

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Lo ha riferito l’agenzia siriana SANA, secondo cui l’amnistia non coinvolge i “criminali” e le persone ricercate dalla giustizia. Questi ultimi, si legge, dovranno prima consegnarsi alle autorità e quindi beneficiare eventualmente dell’amnistia.

Sin dallo scoppio delle violenze nel 2011, Assad ha decretato diverse amnistie. Quest’ ultima arriva in un momento in cui le truppe governative hanno riconquistato, grazie al sostegno russo e iraniano, gran parte delle aree nella Siria occidentale che, dal 2012, erano passate sotto il controllo delle opposizioni armate. Moltissimi dei siriani fuggiti all’ estero sono giovani che non hanno mai risposto alla chiamata di leva e che non possono tornare per non rischiare di venire incarcerati per renitenza o diserzione.

 

Verso un “quasi-Stato curdo” a tutela USA?

Nelle terre siriane a est dell’Eufrate, gli Usa vogliono “creare un quasi-Stato in maniera completamente illegale” servendosi dei “loro alleati curdi” ha detto il ministro degli Esteri russo Serghiei Lavrov.

“Vogliono crearvi un territorio che sarà la base di un nuovo Stato – ha precisato il capo della diplomazia russa – oppure sarà di nuovo un gioco pericolosissimo con il Kurdistan iracheno, la cosiddetta idea del Grande Kurdistan”. Lavrov ha infine accusato gli Usa di instaurare in quelle zone “autorità alternative agli organi legittimi siriani” e di “favorire attivamente il ritorno dei profughi” in quelle terre.

Syrian Democratic Forces (SDF) fighters ride atop of military vehicle as they celebrate victory in Raqqa, Syria, October 17, 2017. REUTERS/Erik De Castro

In quel settore orientale sono ripresi gli scontri tra forze curde locali sostenute dagli Stati Uniti e miliziani jihadisti dello Stato Islamico arroccati nell’ ultima sacca di resistenza lungo il fiume Eufrate. Lo riferiscono fonti locali, secondo cui gli scontri sono in corso nel distretto di Hajin, tra Abukamal e Dayr az Zor, principali località sull’ Eufrate e vicine al confine con l’Iraq.

Da settimane, le forze curdo-siriane appoggiate dalla Coalizione anti-Isis a guida Usa tentano di avere la meglio sui gruppi jihadisti dell’area.

Sul lato occidentale dell’Eufrate, le forze governative siriane, sostenute da Iran e Russia, sono invece impegnate a evitare che miliziani jihadisti in fuga possano spostarsi nella Siria centrale, dove rimangono dei gruppi armati affiliati all’ Isis.

Gli S-300 preoccupano Israele

Il 12 ottobre la Russia ha smentito la possibilità che i sistemi di difesa aerea S-300 recentemente consegnati al governo di Damasco possano cadere nelle mani dei consiglieri militari iraniani inviati in Siria, come ipotizzato da Israele.

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In un’intervista rilasciata all’ agenzia di stampa ufficiale RIA Novosti, Igor Korotchenko, direttore della rivista russa Difesa Nazionale e membro del Consiglio di esperti del ministero della Difesa di Mosca, ha detto queste voci sono “parte della guerra dell’informazione contro la Russia, un tentativo di calunniare la Federazione”.

Korotchenko ha detto che “se Israele e gli Stati Uniti vogliono approfittare di queste false voci per attaccare le batterie di S-300 siriane, ciò potrebbe provocare un’acuta crisi politico-militare”.

A riportare la voce del possibile uso degli S-300 da parte di personale iraniano era stato il portale israeliano DebkaFiles.

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Il 3 ottobre, il ministero della Difesa russo ha annunciato di aver completato la consegna alla Siria di tre lanciatori del sistema missilistico S-300PMU-2, aggiungendo che ci vorranno almeno 3 mesi per addestrare il personale siriano a usare le batterie missilistiche.

Secondo il quotidiano russo Kommersant, che cita le dichiarazioni di due fonti militari, le batterie saranno schierate gradualmente prima sulla costa e poi al confine con Giordania, Israele, Libano e Iraq. La scorsa settimana, il viceministro degli Esteri russo Sergey Vershinin ha detto invece che il sistema “fornira’ alla Siria un livello qualitativamente nuovo

di difesa aerea” e che “questo, ovviamente, cambia la situazione sul terreno”. Secondo il portale statunitense The Drive, la consegna alla Siria del sistema missilistico russo S-300 potrebbe spingere gli Stati Uniti a impiegare di nuovo nel Paese arabo i caccia stealth F-22 e i velivoli militari anti-radar F-16CJ Viper per distruggere le difese aeree di Damasco in caso di attacco al regime.

Foto: Reuters UNDOF, AP, SANA, AFP  e TASS

 

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