Quale protezione per la pesca italiana in acque libiche?

I pescatori della marineria di Mazara del Vallo, dopo il sequestro da parte di Unità navali libiche dei battelli “Afrodite Pesca” e “Matteo Marrarino” avvenuto lo scorso 10 ottobre a circa 30 miglia da Derna, chiedono che la loro attività in acque libiche sia tutelata. La richiesta di protezione  delle Unità della nostra Marina è stata avanzata per vari canali, divenendo infine un caso mediatico nel corso della trasmissione di un noto format televisivo di denuncia.

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A monte vi è la questione della Zona di Protezione della Pesca (ZPP), istituita da Tripoli nel 2005 sino al limite di 62 mg. dalle acque territoriali, quindi 62 + 12 mg I (nell’immagine a lato), calcolando tali distanze, oltre che dalle coste, dalla linea di chiusura del Golfo della Sirte. La proclamazione libica ha determinato la sottoposizione di aree di alto mare alla giurisdizione di pesca libica, secondo parametri assimilabili a quelli della Zona economica esclusiva (ZEE) la cui istituzione sino a 200 mg. dalle linee di base è consentita dalla Convenzione del Diritto del mare (Unclos).

Insomma, la ZPP come un minus rispetto alla ZEE. Di qui la teorica legittimità dell’iniziativa. Essa, pur rispettando l’equidistanza con gli Stati frontisti (Malta, Grecia ed Italia), presenta comunque profili d’illegittimità per via dello spostamento verso il largo, causato dalla chiusura del Golfo della Sirte, dei propri limiti esterni. Per questi motivi l’Unione europea nel 2006 l’ha contestata.

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A prescindere dalla protesta europea cui noi abbiamo ovviamente aderito, da parte italiana non si è mai assunta una posizione specifica di protesta, magari disponendo attività navali simile a quelle condotte dalla Marina statunitense, nell’ambito del Freedom of Navigation Program (FON) per contestare “sul campo” le pretese marittime eccessive, chiusura della Sirte compresa.

Risulta, anzi, che sino a qualche anno fa, la nostra Direzione generale della pesca del Ministero delle politiche agricole raccomandasse alle associazioni di categoria  di sensibilizzare gli associati “perché rispettino appieno la legislazione libica, si tengano con i loro battelli a notevole distanza dalle coste libiche, ivi compresa la Zona di protezione, al fine di non incorrere in spiacevoli situazioni che potrebbero, tre l’altro, ripercuotersi sui rapporti bilaterali dei due Paesi”.

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Si potrebbe discutere molto sulle ragioni di una tale scelta -che ha in ogni caso un suo fondamento giuridico, oltre che politico-diplomatico- ma qui interessa dire che il paradigma contrario è rappresentato dalla politica di aperta contestazione, condotta dall’Italia da decenni, della pretesa tunisina ad una larga porzione di alto mare a sud-est delle Pelagie.

Ci si riferisce al noto Mammellone (nell’immagine qui a lato), bassofondo (un tempo molto pescoso) che la Tunisia considera soggetto a propri diritti esclusivi di pesca, e che l’Italia ha invece stabilito essere una zona di alto mare destinata a ripopolamento ittico in cui è vietata la pesca ai connazionali.

Nell’area del Mammellone, proprio per contestare la pretesa tunisina, ma anche per proteggere i pescatori da illegittimi atti di violenza ed impedirne  l’attività nell’area di ripopolamento, il Governo ha affidato alla Marina, sin dagli anni Sessanta del secolo scorso, uno specifico Servizio di Vigilanza Pesca (VIPE), regolamentato da direttive interministeriali. Da notare che il servizio continua ancora oggi, nonostante l’aggressività tunisina si sia ridotta, in attesa che si stabilisca un assetto condiviso dell’area che tenga conto dei diritti dell’Italia.

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Diverso invece l’impegno della Marina nella zona di acque internazionali ove ricade la ZPP libica: non risulta infatti che la Forza Armata abbia ricevuto alcuna direttiva di proteggere da vicino ed in modo continuativo l’attività di pesca dei connazionali contrastando la pretesa libica.

Ciò non toglie che la nostra Marina, sulla base dei principi vigenti in materia di soccorso alla vita umana (SAR), dia risposta a richieste di assistenza (ricevute direttamente o veicolate dall’IMRCC della Guardia costiera) da parte di cittadini italiani oggetto di azioni di polizia della pesca condotte con illegittimo ricorso ad uso eccessivo della forza.

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Conosciamo tutti le grandi potenzialità e capacità del comparto pesca di Mazara che è una vera e propria risorsa nazionale oltre che un vanto della Marineria italiana. Speriamo perciò che i suoi battelli possano operare in acque libiche sulla base di intese commerciali sino a che l’Unione europea (che è l’unica a poterlo fare) non stipuli un accordo di pesca.

Per amore della verità dobbiamo però rendere merito al sacrificio silenzioso e misconosciuto (forse anche nello stesso ambito Difesa) di due generazioni di militari della nostra Marina impegnati ogni giorno nello Stretto di Sicilia -ma in passato lo facevano anche in Adriatico per difendere i pescatori dall’aggressività iugoslava- nel servizio VIPE od in quello SAR.

La questione della ZPP libica non si risolve con la forza; l’osservanza del diritto internazionale da parte di tutti gli attori interessati associato al rispetto della sovranità libica è una precondizione irrinunciabile; il riconoscimento dei “diritti preferenziali di pesca” italiani nella ZPP libica (consolidatisi in secoli di frequentazione) dovrà avvenire in un futuro accordo di pesca negoziato dall’Ue.

Foto:  Marina Militare, Ansa e Parlamento Euriopeo DGPI

 

E' Ufficiale della Marina Militare in congedo, esperto di diritto internazionale marittimo. Membro del CeSMar, è autore di vari scritti in materia, tra cui "Glossario del Diritto del Mare" (Rivista Marittima, V ed., 2020) disponibile in http://www.marina.difesa.it/media-cultura/.

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