Militari e sicurezza interna: ma le Forze Armate restano uno strumento prioritariamente bellico

Continua su Analisi Difesa Il dibattito circa il rescente ruolo dei militari nelle operazioni di sicurezza interna alimentato dal provocatorio articolo del generale Giuseppe Cucchi a cui replica oggi l’intervento del generale Marco Bertolini.

 

Su questa rivista si è data voce a una paradossale proposta di far confluire l’Esercito nell’Arma dei Carabinieri, tenendo conto dei rapporti di forza organica tra le due realtà e di un supposto abbattimento delle differenze tra di esse verificatosi negli ultimi lustri.

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Alla base ci sarà forse il giusto desiderio di provocare una reazione salutare che restituisca dignità alla Forza Armata per antonomasia, l’Esercito, penalizzata da decenni di propaganda antimilitarista che la fa apparire troppo “vintage” per le fini papille gustative della nostra opinione pubblica iPhonata; o si tratta forse della disperazione di un anziano soldato che vede la sua Forza Armata in crisi come non mai, falcidiata da finanziamenti insufficienti e umiliata in “operazioni” degradanti e avvilenti come Strade Pulite o Strade Sicure.

O forse è una non molto composta reazione ai provvedimenti, tra cui una paventata prossima sindacalizzazione, che da anni minacciano nel profondo la natura dell’Esercito quale istituzione di carattere prioritariamente bellico che trova la sua ragion d’essere nel politicamente scorrettissimo impiego della forza.

Potrebbe anche essere, anche se non ci si può credere, quella sorta di miopia che fa prendere fischi per fiaschi a quanti, ancorché esperti di cose militari in generale, vengono portati a misurare la realtà sulla base delle proprie esperienze personali, forse non sufficientemente ancorate – per mere questioni di anagrafe – all’impiego diretto sul campo, in operazioni.

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Resta il fatto, che anche solo la battuta di far confluire l’Esercito nell’Arma dei Carabinieri (non il contrario, che sarebbe un ritorno all’antico sul quale si potrebbe discutere) ha il sapore della barzelletta, o almeno della beffa, proprio quando dovremmo con maggiore rispetto guardare ai nostri uomini in grigioverde (solo metaforico, purtroppo), nel centesimo anniversario del sacrificio con cui l’Esercito completò l’unificazione nazionale. Ma sono tempi strani, questi, e ci sta proprio di tutto.

In sostanza, con una disamina della situazione nella quale la fa da padrona l’ottica interna, l’autore dell’articolo spiega non senza ragioni come sia cambiato l’Esercito negli ultimi decenni, limitandosi però alla superficie.

Se è vero, infatti, come lui sottolinea, che con il passaggio dalla leva ai volontari e con l’incorporazione delle donne in quantità (anche troppo) massicce si sia avvicinato il modello dell’Esercito a quello delle Forze di Polizia, è vero a maggior ragione che l’Esercito è cambiato in questi ultimi decenni proprio perché alla prova delle operazioni fuori area si è riappropriato – finalmente alla luce del sole – delle sue capacità di combattimento, completamente diverse da quelle delle forze di Polizia, con tutto il rispetto.

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E non è certamente il nuovo tipo di personale che rende la Forza Armata idonea ad essere impiegata in concorso alle stesse. Se l’Esercito può tranquillamente essere utilizzato per “piantonare” qualche stazione della Metropolitana alle dipendenze di qualche funzionario di turno della Questura, infatti, è perché è titolare di una flessibilità di impiego che gli viene dall’abitudine a far fronte ad impegni molto più onerosi, in addestramento ed in operazioni.

E’ quindi risibile – e questo mi fa pensare che l’autore abbia appunto voluto semplicemente lanciare una provocazione – sostenere che mentre rimane inalterato il carattere tradizionale di Marina e Aeronautica, la nuova situazione vedrebbe un livellamento di fatto tra Esercito, Polizia di Stato e Carabinieri del quale sarebbe necessario prendere atto. Una provocazione, insomma, certamente divertente e intelligente, per sostenere il contrario con una tesi assurda; non ci sono dubbi.

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Purtroppo, però, gli articoli di Limes e di Analisi Difesa vengono letti anche da chi è poco provvisto di senso dello humor, nonché da quanti sostengono l’inutilità delle Forze Armate e l’opportunità di potenziare le Forze dell’Ordine a scapito delle stesse, per far fronte alla fola della nostra rivendicata criminalità congenita. Una provocazione pericolosa, quindi.

E paradossale, proprio nel momento nel quale con la conferenza di Palermo sulla Libia l’Italia pare finalmente determinata a focalizzare i suoi interessi esterni, senza farsi ipnotizzare dalla tradizionale concentrazione sul moto ondulatorio-sussultorio del proprio ombelico impazzito. Per questo, mi pare opportuna qualche precisazione. Prima di tutto Forze Armate e Forze dell’Ordine sono profondamente diverse sotto il profilo etico e motivazionale.

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Mentre le seconde operano per la giustizia, nazionale o anche internazionale, per punire un colpevole insomma, le prime operano contro chi minaccia l’interesse del Paese, giusto o sbagliato che sia. Non hanno bisogno di una sentenza che indichi nel loro competitore il “cattivo” da ingabbiare, ma semplicemente di un ordine da parte di chi si fa carico del governo della comunità nazionale.

E’ la loro esistenza, la loro disponibilità ad intervenire anche contro tutti e tutto, infatti, che fa di un paese una Patria ed è per questo che il Presidente della Repubblica è il loro Comandante Supremo, mentre non è necessario che sia anche Dirigente Supremo delle Forze dell’Ordine né della Protezione Civile, per quanto si tratti di istituzioni a loro volta fondamentali per la nostra sicurezza.

Da un punto di vista capacitivo inoltre, le Forze Armate, con particolare riferimento all’Esercito, non sono semplici contenitori di operatori, buoni per tutti i compiti: dove li metti, stanno – sia il Caposaldo di Bala Murghab o la Stazione della Metro di Roma – a fare le stesse cose. Al contrario, inquadrano artiglieri che artiglierano, carristi che carristano, paracadutisti che paracadutistano, alpini che alpiniscono e lagunari che stanno a mollo.  Ognuno per assolvere una funzione specifica in un determinato contesto.

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E quando sparano (o meglio, quando dovrebbero sparare) non lo fanno per difendersi ma per fare male. Per ottenere queste capacità, non possono accontentarsi di un buon iter formativo, ma richiedono un addestramento continuo che metta il classico fantaccino in grado, oltre che di usare lo schioppo, di chiamare in inglese un aereo tedesco che sganci una bomba francese su un nucleo di Talebani in Afghanistan.

Per questo, sotto il profilo organizzativo sono molto complesse, con strutture scolastiche, logistiche e di Comando e Controllo articolate e disseminate; e questo vale soprattutto per l’Esercito, destinato a operazioni meno standardizzabili di quelle previste per le consorelle di mare e dell’aria.

Per condurre le proprie operazioni utilizza infatti una struttura gerarchica piramidale con plotoni, compagnie, reggimenti, Brigate, Divisioni e Corpi d’Armata – idonea a garantire iniziativa ed autonomia fin ai minimi livelli – completamente diversa da quella delle Forze dell’Ordine che mettono direttamente e semplicemente alle dirette dipendenze del Ministro dell’Interno stesso gli organi periferici delle Prefetture/Questure.

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Voler imporre un’identità tra Esercito e Forze dell’Ordine capace di fonderle assieme, per questi motivi, rappresenta una tesi che, se comprensibile con riferimento alla componente dell’Arma dei Carabinieri impiegata nelle unità di manovra terrestri,  è per lo meno “ardita”, anzi “arditissima”, se estesa alle componenti territoriali della stessa e soprattutto alle altre Forze di Polizia.

C’è da dire che anni di narrativa suicida – per la quale i bombardamenti in Serbia erano considerati “difensivi”, quelli in Irak  e Libia “operazioni di polizia internazionale”, mentre le missioni in Somalia, Irak e Afghanistan venivano definite operazioni “di pace” o addirittura di “assistenza umanitaria” – hanno lasciato il segno, provincializzandoci sempre più ed estraniandoci dalla realtà, fino ad arrivare a proposte come quella in questione.

Certamente chi soffre di più questo processo di imbambolamento è l’opinione pubblica meno attrezzata a leggere i segni dei tempi nel nostro Mediterraneo; ma sussiste il rischio che la continuazione di un’opera di mascheramento del genere incida anche sul senso di identità dei nostri soldati, sempre più condizionati a considerarsi lavoratori come tutti gli altri e non strumento insostituibile per la difesa degli interessi vitali del proprio paese.

Per questo, con le parole bisogna stare attenti, soprattutto in questo periodo di militaresenti inseriti in tutti i gangli dello Stato.

Foto: Difesa.it ed Esercito Italiano

 

 

 

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Generale di corpo d'armata, attualmente Presidente dell'Associazione Nazionale Paracadutisti d'Italia, è stato alla testa del Comando Operativo di Vertice Interforze e in precedenza del Comando Interforze per le Operazioni delle Forze Speciali, della Brigata Paracadutisti Folgore e del 9° reggimento incursori Col Moschin. Ha ricoperto numerosi incarichi in molti teatri operativi tra i quali Libano, Somalia, Balcani e Afghanistan.

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