Evasione, fuga e resistenza agli interrogatori: l’addestramento delle forze speciali

Il prigioniero viene trasferito in una piccola stanza priva di finestre per essere sottoposto ad un nuovo interrogatorio, il secondo dopo la sua cattura avvenuta la notte precedente e che ha posto fine ad una lunga fuga durata diversi di giorni.

Una marcia ardua, spossante e difficile, condotta prevalentemente di notte per sfuggire ad ogni possibile contatto con l’ambiente, potenzialmente ostile, che lo ha visto attraversare con altri tre compagni una vasta zona prevalentemente boscosa, diretto da sud a nord secondo un piano prestabilito di evasione e ricongiungimento con le forze amiche.

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Denutrito, stanchissimo, il soldato recluso ha perso nelle ultime due settimane una decina di chilogrammi di peso. Al momento dell’arresto il suo gruppo si era riunito con altre due “quartine” per proseguire la fuga verso nord, oltre gli Appennini.

I dodici uomini avrebbero ricevuto l’aiuto di un agente amico che li avrebbe trasportati con un pulmino. Purtroppo nel trasferimento i fuggiaschi erano incappati in un posto di blocco delle forze regolari, ed erano stati tutti catturati.

Da quel momento il soldato è stato detenuto con i compagni per molte ore in una struttura carceraria piuttosto approssimativa. Tutti sono incappucciati, rivestiti di tute arancioni e mantenuti dai carcerieri costantemente in tre posizioni di stress che sono costretti ad alternare ogni 30 minuti circa: in piedi con le mani sollevate sopra la testa ed una corda che corre tra le braccia, alla quale però non possono appoggiarsi, oppure a terra con le gambe distese, il busto sollevato a squadra e le mani sopra la testa.

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La terza posizione è quella classica della perquisizione all’atto di un arresto: braccia al muro, busto in avanti e gambe divaricate. Nell’aria note assordanti e stridenti provengono da alcuni altoparlanti: grida, suoni metallici, campane. I forti rumori impediscono la concentrazione, fiaccano ulteriormente il morale dei detenuti e minano la loro capacità di reagire razionalmente agli eventi.

Nella cella di detenzione non vi è alcun pericolo reale, ma la stanchezza accumulata, l’impossibilità di vedere, l’ansia e la paura dell’ignoto stanno agendo nella psiche dei prigionieri.

Ogni rumore sconosciuto, ogni variazione della situazione ambientale appena percepita, ogni novità che non si è in grado di valutare e padroneggiare razionalmente sono vissuti come una nuova minaccia di portata non valutabile, che produce una paura ingigantita dalla fantasia. Il perdurare di questa situazione di insicurezza genera l’ansia, che ostacola la corretta capacità di giudizio.

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E’ in questa fase che emergono, unitamente alla necessità di una eccellente forma fisica che aiuti a sopportare fatica e privazioni ed innalzi il livello generale di sopportazione, le doti di volontà, equilibrio, determinazione, spirito d’iniziativa e capacità di adattamento.

A turno i detenuti vengono avvicinati dalle guardie che chiedono con insistenza il nome del loro contatto ed i particolari del fallito piano di fuga. Al loro rifiuto i prigionieri vengono privati delle scarpe e obbligati a camminare su ciottoli e pietrisco, con la minaccia di essere costretti a mettersi in ginocchio per lunghi periodi. Rimarranno scalzi per il resto della detenzione.

Ma ritorniamo al nostro esausto fuggiasco, che viene liberato del cappuccio che gli impediva ogni visuale e fatto sedere al cospetto di un esperto interrogatore che cercherà di metterlo a proprio agio, nel tentativo di allentare la tensione, abbattere il muro di paura, ostilità e sospetto e fare breccia nelle sue difese mentali, al fine di strappargli, con abilità psicologica e senza coercizioni né violenze, delle informazioni di valore operativo.

L’interrogatore si dimostrerà molto abile: racconterà di sé, dell’ansia della propria madre per l’attività di paracadutismo che svolge da anni e della necessità di tranquillizzare il genitore alla vigilia di ogni lancio.

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Questo tranquillo racconto di tono quasi familiare allenta la tensione, induce alla confidenza ed alla condivisione delle reciproche esperienze: il prigioniero, fino a quel momento silenzioso, chiuso e scontroso, si lascia scappare l’ammissione di essere anch’egli un paracadutista e di dover anche lui convivere con le ansie dei genitori.

E’ una prima confessione indebita di carattere militare: una debolezza che gli istruttori giudicheranno più grave perché rilasciata in assenza di ogni minaccia o coercizione.

A questo fa seguito un secondo errore: all’offerta di cibo e di un secondo bicchiere d’acqua rifiuterà, forse per orgoglio, non considerando che una ulteriore possibilità del genere potrebbe non ripresentarsi molto presto.

L’interrogatorio descritto rientra nella fase terminale del modulo di Fuga, Evasione, Sopravvivenza e Resistenza all’interrogatorio/Conduct After Capture che, con modalità leggermente differenti, conducono tutti i reparti di Forze Speciali dell’Esercito Italiano (9° Reggimento d’Assalto Paracadutisti “Col Moschin”, 4° Reggimento Alpini Paracadutisti e 185° Reggimento Ricognizione ed Acquisizione Obiettivi “Folgore”) durante i rispettivi iter di formazione specialistica per il conseguimento del brevetto di Incursore o delle qualifiche di Ranger e Acquisitore Obiettivi.

Il modulo ha una durata complessiva di due/tre settimane e viene gestito da istruttori esperti appositamente selezionati ed addestrati, con il supporto dell’intero reparto di appartenenza, comportando un notevole impegno logistico ed un grande sforzo organizzativo, che nella fase finale prevede l’ampio coinvolgimento anche della componente operativa.

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Durante lo svolgimento del corso si alternano fasi statiche, dedicate all’apprendimento delle tecniche di sopravvivenza, e fasi dinamiche di movimento in terreno sconosciuto senza ausili per la navigazione, finalizzate all’esecuzione del piano di evasione per il ricongiungimento con le truppe amiche.

Al termine delle esercitazioni dinamiche gli allievi vengono “catturati” e sottoposti a duro regime carcerario ed a prove di resistenza agli interrogatori. Lo scopo è far loro sperimentare in modo realistico le condizioni di isolamento e di cattura cui potrebbero incorrere in operazioni e di verificare lo stress psico-fisico che esse comportano.

Durante la detenzione simulata gli allievi verranno sottoposti a turno a vari interrogatori, contraddistinti da differenti approcci e metodologie: Search, Friendly, Logical, Cynical e “Buono e cattivo”.

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Nell’interrogatorio Search l’allievo non subisce pressioni, ma viene avvicinato da un falso medico e da un falso magazziniere che cercheranno, nelle loro rispettive vesti professionali, di tranquillizzare il soggetto al fine di abbattere le sue difese psicologiche. Si cercherà, magari con la scusa di un controllo sanitario di routine o di una normale esigenza amministrativa, di fargli firmare dei documenti e di ricavare ulteriori notizie di carattere personale da utilizzare nelle fasi successive di investigazione.

In questa fase l’allievo dovrebbe attenersi alle regole della Convenzione di Ginevra, che prevedono che egli fornisca solo i classici “big four”: nome, grado, data di nascita e numero di matricola.

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L’interrogatorio Friendly è quello che abbiamo già descritto, anch’esso non prevede coercizioni o pressioni, ma è basato sull’abilità dell’interrogatore nel saper instaurare con il prigioniero una certa forma di falsa complicità, che induca alla confidenza.

La fase Logical prevede domande incalzanti e precise sulla base di dati obiettivi raccolti al momento della cattura: armi, equipaggiamenti, consistenza ed atteggiamento del reparto. Mira a far cadere gli allievi in contraddizione, demolendo in via logica e sequenziale le loro omissioni.

L’interrogatorio Cinico innalza la tensione ed il grado di aggressività psicologica dell’interrogatore, che invade la sfera personale del prigioniero, sia fisicamente che psicologicamente. Vengono sfruttate “cinicamente” paure e debolezze emerse nelle fasi precedenti, con pesanti considerazioni di carattere intimo e personale.

L’ultima fase prevede la classica alternanza tra l’interrogatore buono e quello cattivo, con un susseguirsi di minacce, sanzioni ed interventi “mitigatori” del soggetto buono, che mirano ad assecondare la confessione ed il rilascio delle informazioni sensibili in possesso dei detenuti.

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Ogni fase, ed in particolare quest’ultima, prevede la ricerca del miglior compromesso che consenta una sperimentazione realistica delle condizioni di cattività da parte degli allievi, ma ne assicuri nel contempo la necessaria incolumità.

Di particolare responsabilità a tale riguardo il ruolo dei falsi carcerieri, che da un lato aderiscono al loro compito simulato, mantenendo una forte pressione sui detenuti ed obbligandoli a rimanere nelle posizioni di stress, mentre dall’altro vigilano costantemente per poter riconoscere fin dai primi sintomi qualunque malore reale.

In ogni momento è disponibile e pronto ad intervenire un medico, mentre tutte le fasi di interrogatorio sono costantemente seguite dalla direzione di esercitazione su un monitor e, a garanzia e tutela di tutti, registrate integralmente. Quando possibile si ricorre per gli interrogatori anche a personale femminile, per simulare una possibilità tutt’altro che remota in caso di cattura reale e che l’esperienza insegna poter avere un impatto psicologico molto forte sui prigionieri.

In una palazzina attigua a quella dedicata agli interrogatori il responsabile del corso controlla lo svolgimento di ogni evento e verifica la corretta compilazione da parte degli interrogatori delle schede valutative di ogni allievo.

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Alle pareti sono appesi grandi fogli di carta che riportano dettagliatamente l’atteggiamento di ogni singolo partecipante in ciascun momento del corso: i loro errori, le loro debolezze, aggressività o arrendevolezza eccessive.

Le risposte ed i comportamenti degli allievi sono annotate e contraddistinte in modo differente a seconda che non ci sia stato rilascio di informazioni, si siano verificate ammissioni personali o di limitato valore tattico, o infine che abbiano dato luogo a gravi cedimenti che compromettano la riservatezza e la sicurezza delle operazioni in corso.

Di fronte a gravi minacce, anche di morte, è invece ammesso il rilascio controllato delle informazioni.

Al termine della lunga e spossante esercitazione di resistenza agli interrogatori gli allievi vengono intrattenuti dagli istruttori sia collettivamente che singolarmente.

Si procede ad un’attenta valutazione dei singoli momenti addestrativi, per esaminare in modo obiettivo le reazioni e gli aspetti caratteriali di ognuno che potrebbero rivelarsi negativi o addirittura pericolosi in reali situazioni di emergenza. La consapevolezza di tali limiti aiuta a superarli e a ridurne l’impatto.

Il modulo descritto risulta particolarmente importante per il valore prettamente pratico degli addestramenti forniti agli allievi, che possono sperimentare le situazioni e gli avvenimenti che più li spaventano, sviluppando la consapevolezza di poterle gestire e controllare, nell’ottica positiva di evidenziare i vantaggi e non gli svantaggi di una particolare contingenza.

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Negli ultimi tempi alla tradizionale formazione SERE (Survival, Evasion, Resistance and Extraction), che contempla essenzialmente la cattura da parte di forze nemiche regolari, si è andata affiancando una nuova procedura denominata CAC (Conduct After Capture), a carattere più marcatamente formativo e che illustra le tecniche e le procedure di sopravvivenza da attuarsi in caso si cattura da parte di forze irregolari o di terroristi.

Orientata alla gestione delle situazioni di prigionia, privilegia forme di resistenza in cattività di tipo innovativo, che prevedono il rilascio graduale e controllato delle informazioni per attenuare le condizioni fisiche ed i vincoli psicologici derivanti dalla detenzione, permettere la sopravvivenza e consentire una successiva operazione di recupero del personale catturato.

Entrambe le tecniche rappresentano, per l’elevato impatto fisico, emotivo e psicologico delle attività condotte, un importante momento di selezione nel lungo iter formativo degli operatori delle Forze Speciali. Solo gli aspiranti più forti, determinati, convinti ed emotivamente equilibrati potranno proseguire nel loro cammino fino al conseguimento degli agognati brevetti o qualifiche.

Foto:  Forze Speciali dell’Esercito in azione e in addestramento (COMFIOSE e Alberto Scarpitta)

 

 

Alberto ScarpittaVedi tutti gli articoli

Nato a Padova nel 1955, ex ufficiale dei Lagunari, collabora da molti anni a riviste specializzate nel settore militare, tra cui ANALISI DIFESA, di cui è assiduo collaboratore sin dalla nascita della pubblicazione, distinguendosi per l’estrema professionalità ed il rigore tecnico dei suoi lavori. Si occupa prevalentemente di equipaggiamenti, tecniche e tattiche dei reparti di fanteria ed è uno dei giornalisti italiani maggiormente esperti nel difficile settore delle Forze Speciali. Ha realizzato alcuni volumi a carattere militare ed è coautore di importanti pubblicazioni sulle Forze Speciali italiane ed internazionali.

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