Le fregate giapponesi classe Mogami

 

Quando il 16 dicembre scorso, il Giappone ha presentato le sue nuove strategie di sicurezza e di difesa nazionale, con gli annessi documenti legati alle linee di sviluppo futuro (“Defense Buildup Programs”) e a quelli di bilancio, sorpresa è stata relativamente modesta poiché le anticipazioni nelle settimane precedenti avevano già fornito ampie indicazioni.

Il contesto strategico nel quale è immerso il Giappone è andato decisamente deteriorandosi. La costante minaccia rappresentata dalla Corea del Nord, soprattutto quella crescente rappresentata dalla Cina e infine, in termini più generali, lo “shock sistemico” prodotto dall’invasione della Russia ai danni dell’Ucraina, hanno di fatto costretto l governo guidato dal primo ministro Fumio Kushida ad accelerare in maniera decisiva nel processo di trasformazione delle politiche di sicurezza e difesa del Paese.

Accelerazione che, in pratica, farà perno su 2 elementi chiave: una postura del proprio strumento militare più proattiva e un aumento delle spese militari con un dibattito in corso che ne prevede addirittura il raddoppio nel giro di 5 anni; dall’attuale 1% circa del PIL fino al 2 per cento.

Considerate le peculiari caratteristiche geografiche del Giappone, un ruolo di primo piano in questo complessivo piano di rafforzamento di Tokyo è e sarà ricoperto dalle forze navali della Japan Maritime Self Defence Force (JMSDF).

Ecco così spiccare una serie di programmi, peraltro molto spesso cominciati ancora prima di questa “svolta” ma che da quest’ultima ricevono un’ulteriore spinta. A partire dalla conversione delle 2 portaelicotteri della classe Izumo in portaerei leggere, in vista del futuro imbarco degli F-35B.

Passando poi per le prossime grandi novità, ovvero le future AEGIS System Equipped Vessel (ASEV); le 2 nuove piattaforme che nasceranno dalle ceneri dello sfortunato programma AEGIS Ashore e che saranno dedicate soprattutto alla missione di Ballistic Missile Defense (BMD).

Per non parlare della costante evoluzione della componente subacquea, ben rappresentata dalla nuova classe di sottomarini Taigei che si contraddistinguono per il loro avanzato schema di propulsione con batterie agli ioni di litio e che come preannunciato nel documento “Defense BuildUp Program” in futuro saranno equipaggiati con VLS (Vertical Launching System) per il lancio di missili a lungo raggio.

Quest’ultimo, tema di grande importanza dato che di missili “stand-off” il Giappone ne acquisterà molti; Type 17, JSM (Joint Strike Missile), JASSM (Joint Air-to-Surface Standoff Missile) e, infine, la vera novità rappresentata dall’arrivo in un futuro prossimo dei Tomahawk. Ma missili vuol dire anche difesa aerea e missilistica, ovvero introdurre in servizio sempre più SM-3 Block IIA e SM-6.

Non meno interessanti dal punto di vista degli sviluppi futuri, l’attenzione che sarà rivolta dalla Marina Giapponese al potenziamento della propria componente aeronavale; tralasciando per un attimo gli F-35B destinati alle unità della classe Izumo (in quanto tecnicamente in carico alla JASDF, ovvero la Japan Air Self Defence Force), continuerà comunque il rinnovo dellecomponente elicotteristica soprattutto imbarcata e l’ingresso in servizio dei nuovi MPA (Martime Patrol Aircraft) P-1.

Tutto questo senza dimenticare le nuove frontiere dell’ipersonico e dei sistemi “unmanned” con sistemi di superficie e subacquei.

Eppure, il vero protagonista tra i programmi futuri è quello della nuova classe di fregate classe Mogami; altrimenti note come 30 FMM ma anche con diverse altre sigle ancora.

Piattaforme davvero importanti per la JMSDF per le novità tecnologiche che introducono e per le dimensioni del programma stesso. Il numero di unità previsto è infatti di 12, non poche per gli standard giapponesi degli ultimi anni che spesso avevano visto realizzare classi di unità numericamente ridotte. Certo, nel caso delle Mogami non si può non evidenziare che il requisito iniziale era stato fissato in ben 22 unità, numero però ridotto proprio recentemente.

 

La storia del programma

Il concetto di una nuova unità per la Marina Giapponese risale addirittura al 2005, quando lo Stato Maggiore elaborò, insieme alla Japan Defense Equipment Industries Association, un “Research Study on the Next-generation Destroyer (DD)”. All’epoca, quegli studi finirono con il concentrarsi su proposte concettualmente simili alle LCS (Littoral Combat Ship).

Proprio in quegli anni infatti, negli Stati Uniti stava cominciando a svilupparsi questo programma, destinato alla nascita di una nuova classe di unità caratterizzata dall’impiego in scenari costieri, caratterizzata da alte velocità e dalla peculiare capacità di cambiare missioni assegnate attraverso il cambio di specifici “moduli di missione”.

Ben presto però a Tokyo si resero conto che gli alti costi e le caratteristiche complessive previste (peraltro ancora ben lontane dall’essere convalidate per la mancanza di elementi di riferimento concreti) mal si sarebbero adattati alle esigenze operative della JMSDF, tanto da portare all’accantonamento, sia pure non definitivo, del progetto.

Da questo momento in poi, la questione legata alla realizzazione di una nuova classe di unità di unità sparisce quasi completamente dai radar. Per riapparire solo molti anni dopo, ovvero nel dicembre del 2013 quando viene pubblicato il “26th Mid-term Defense Plan”.

Tra le principali direttrici di sviluppo della Marina Giapponese stessa viene indicata la crescita delle sue unità da combattimento di superficie da 48 a 54: un aumento che sarà ottenuto attraverso la costruzione di nuovi cacciatorpediniere dotati del sistema AEGIS e per questo pensati in particolare per irrobustire le difese in chiave ABM (Anti-Ballistic Missile) ma, soprattutto, attraverso la costruzione di nuovi “destroyer”, definizione utilizzata in maniera generica da tutte le unità di prima linea della JMSDF.

Lo sviluppo di questa nuova classe di unità non ha il solo scopo di aumentare la consistenza della flotta poiché all’orizzonte infatti si staglia sempre più vicina l’esigenza di sostituire le 8 unità della classe Asagiri e le 6 della classe Abakuma.

Ecco dunque la spinta volta a realizzare questa nuova classe di piattaforme definite “compact-type hull”, dotate di capacità multiple per condurre missioni ISR (Intelligence, Surveillance and Reconnaissance) e operazioni ASW (Anti-Submarine Warfare) soprattutto nelle acque circostanti il Giappone nonché operazioni di sicurezza dei traffici marittimi e di supporto alle altre unità.

In quel momento, il programma assunse la generica definizione di “multifunctional Destroyer eXperimental (DEX)”, con le prime indicazioni di massima che riportano per l’appunto di una piattaforma di dimensioni e capacità complessive ancora (relativamente) ridotte.

Nel 2015 però il lavoro di definizione del progetto cominciò ad assumere una sua fisionomia più chiara: si parla ancora genericamente di un “3.000-ton type future destroyer” il valore del dislocamento è puramente indicativo), la denominazione ufficiale cambia in DX, la previsione di avvio della costruzione della prima unità è il 2018 (o anno 30 del periodo Heisei) e, infine, si definisce lo sviluppo di una piattaforma inizialmente dotata di capacità operative basiche ma, al tempo stesso, progettata per poter incorporare agevolmente successivi miglioramenti.

Nel frattempo la Acquisition, Technology & Logistics Agency (ATLA), e cioè l’agenzia destinata sovraintendere alle acquisizioni per, le Forze Armate Giapponese, compie un altro passo importante, aprendo una competizione tra diversi cantieri Giapponesi: Japan Marine United (JMU), Mitsui Engineering & Shipbuilding (Mitsui ES) e Mitsubishi Heavy Industries (o MHI).

Si arriva così al 9 agosto 2017 quando la ATLA annunciò il vincitore della competizione, nella figura proprio di MHI e al quale viene assegnato il ruolo di “prime contractor” mentre Mitsui ES diventa invece il “subcontractor”.

Lo scopo della designazione di 2 cantieri diversi è finalizzato alla accelerazione del programma, con la possibilità di procedere alla costruzione simultanea di una unità da parte di ciascuno di essi, nel cantiere di Nagasaki per MHI e in quello di Tamano per Mitsui ES.

A partire dall’ottobre del 2021 poi, a seguito dell’acquisizione del primo nei confronti del secondo, MHI stesso di fatto è rimasto il solo “contractor” del programma che nel frattempo ha ricevuto la nuova denominazione “30DX” (dove 30 è il già ricordato anno del periodo Hiesei).

E’ da notare che proprio quest’ultimo cantiere era stato comunque il primo a investire nel nuovo programma, presentando fin dal 2015 il primo di una serie di progetti poi evoluti nel corso del tempo partendo da una fregata di ridotte dimensioni, sulle 3.000 tonnellate di dislocamento a vuoto, lunghezza di 100 metri circa e caratterizzata ancora da velocità comunque elevate, nell’ordine dei 40 nodi, quale “eredità” della precedente impostazione simile alle LCS.

A livello di armamento un pezzo da 127 mm, 2 RWS (Remote Weapon Station) con pezzi da 30 mm e un SeaRAM per la difesa di punto; all’apparenza dunque, senza VLS (Vertical Launching System) e senza contenitori-lanciatori per missili antinave. Ma è con l’annuncio del 2017 che invece emergono i primi rendering relativi a una piattaforma diversa, più grande e dotata di ben altre capacità operative; segno evidente che in questi 2 anni, MHI ha affinato notevolmente il progetto destinato poi a essere adottato dalla JMSDF.

Altra data significativa infine, quella del 3 aprile del 2018; quando la Marina Giapponese annunciò la classificazione definitiva per queste navi: 30FFM. Un passaggio quasi storico dato che dal 1972 in poi era sempre stato utilizzato il distintivo ottico di fiancata “D” mentre ora si passa invece alla “F” di fregata (in linea con tutte le altre Marine) e la “M” che sta per “Multipurpose”.

Per quanto riguarda lo sviluppo attuale del programma, a oggi sono state impostate 8 navi; altre 2 lo saranno il prossimo e le ultime 2 nel 2024. Di queste, 6 sono state varate (Mogami, Kumano, Noshiro, Mikuma, Yanagi e Agano), con le prime 4 già consegnate. Abbastanza singolarmente poi, si osserva che le prime 2 unità sono state assegnate per il momento al “Minesweeper Group” di Yokosuka (in funzione della necessità di sviluppare le proprie dotazioni nella lotta alle mine) mentre le successive 2 sono state assegnate al “13th Escort Squadron” di Sasebo.

Come accennato in precedenza, il 7 marzo scorso la Marina Giapponese ha cambiato i propri piani. La consistenza della classe 30 FFM sarà infatti interrotta a 12 navi ma siccome il requisito resta fermo a 22 unità, per le restanti 10 si è proceduto a indire una nuova competizione che ha visto contrapposte sempre MHI e JMU e i suoi esiti sono stati resi noti il 25 agosto scorso.

Come “prime contractor é stata scelta nuovamente MHI, mentre JMU sarà ancora “subcontractor”, con la costruzione di queste future fregate finanziata a partire dall’anno fiscale 2024. Questa decisione è stata motivata con il fatto che costruire uno stesso tipo di nave per molti anni non sarebbe coerente con la costante evoluzione tecnologica, soprattutto in funzione dell’evoluzione della flotta cinese. Non sono mancate tuttavia le voci di alcuni difetti riscontrati su queste piattaforme anche se di poco conto.

In realtà, almeno a giudicare dalle primissime informazioni rilasciate, appare più che altro evidente che questo “step” è stato deciso proprio al fine di far evolvere ulteriormente le capacità delle Mogami, come vedremo in coda all’articolo. Per quanto riguarda i costi, infine, un utile termine di riferimento è rappresentato dalle ultime 2 unità ordinate proprio nel budget per l’anno in corso, che hanno ricevuto un finanziamento pari a 116,7 miliardi di yen, 390 milioni di euro a nave.

Con le Mogami, tra l’altro, Tokyo si affaccia anche sul mercato dell’export, fornendo un prodotto “appetibile” per diverse Marine. Non a caso, nel marzo del 2021, Giappone e Indonesia firmarono un “military cooperation agreement” che aveva alimentato voci sulla possibile la fornitura di 8 fregate (4 da costruire in Giappone e le restanti 4 in Indonesia) nell’ambito di un contratto del potenziale valore di 300 miliardi di yen. Il contratto, in realtà, non è mai stato finalizzato e, anzi, l’Indonesia si è ormai rivolta altrove per il rinnovo della propria flotta di superficie.

A dimostrazione che MHI punta molto su questo progetto si segnala anche che il cantiere nipponico ha ipotizzato (sia pure a livello per ora solo concettuale) una sua evoluzione, attraverso la possibile nascita di un paio di versioni differenti delle Mogami. La prima è relativa a una piattaforma con spiccate capacità di difesa aerea (di fatto, un cacciatorpediniere) che potrebbe avere una lunghezza compresa tra i 145 e i 160 metri, con dislocamento tra le 7.000 e le 8.500 tonnellate e un lanciatore VLS con ben 80 celle per VLS.

La seconda variante fa un riferimento a un OPV (Offshore Patrol Vessel), presentato in versione Marina Militare e Guardia Costiera: lunghezza di 85-100 metri e dislocamento di 1.500/2.000 tonnellate. Da notare che MHI compete con altri cantieri giapponesi per la costruzione di una nuova classe di OPV destinata alla stessa JMSDF.

 

 

La piattaforma

Per quanto riguarda la piattaforma le direttrici di sviluppo sono state sostanzialmente 3: il contenimento delle dimensioni con annesso elevato livello di automazione per contenere al massimo il numero degli uomini di equipaggio, massima affidabilità e capacità multi missione.

Per quanto riguarda le dimensioni, come ricordato in precedenza, le premesse erano per una unità sulle 3.000 tonnellate di dislocamento ma alla fine, lo sviluppo nel corso del tempo ha portato a un incremento. Le Mogami sono lunghe 133 metri, con una larghezza massima di 16,3 metri e un pescaggio di 9. Se dunque il dislocamento così come definito dalle regole Giapponesi con la parola “standard” (di fatto, il peso della nave così come viene costruita) è di 3.900 tonnellate, molto più indicativo è il valore di quello a pieno carico, pari a circa 5.500 tonnellate.

Dopo aver segnalato come alcune primissime indicazioni avessero ipotizzato scelte originali come quella del trimarano (sempre quale riflesso per l’iniziale interesse verso le LCS, in questo caso della classe Independence), alla fine la Marina Giapponese ha invece optato per una tradizionale configurazione monoscafo, anche in virtù della crescita delle dimensioni.

Una configurazione generale quella delle Mogami che risulta quindi di natura più “classica” anche se rivisitata sulla base delle attuali esigenze in termini di forte riduzione della RCS (Radar Cross Section).

Le superfici dello scafo e della sovrastruttura sono inclinate ed è stata assicurata la massima attenzione all’occultamento (per quanto possibile) di attrezzature o altro che possano aumentare la riflettività ai radar: per esempio, le aree di manovra a prua e a poppa sono completamente coperte, così come le baie che ospitano le imbarcazioni di servizio e lo stesso “integrated mast” che ospita molti apparati/sensori.

Lo sforzo in termini di automazione è stato tale da permettere di ridurre il numero degli uomini di equipaggio a soli 90 e a proposito di equipaggio, è da segnalare lo schema adottato dalla Marina Giapponese: 4 equipaggi saranno infatti assegnati a 3 fregate in modo da averne uno sempre a riposo a rotazione, aumentando così il livello di efficienza e di disponibilità operativa della nave.

Uno dei settori in cui questo sforzo in termini di automazione è stato più sensibile è quello dell’apparato propulsivo; in configurazione CODAG, questo è composto da 2 motori diesel MAN V28/33DD STC da 6.000 KW ciascuno, impiegati per le andature normali, ai quali si aggiunge una turbina a gas Rolls Royce MT30 per gli spunti di velocità (non è noto a quale livello di potenza tarata, dato che quest’ultima può esprimere livelli di potenza di 36 o 40 MW). Poche informazioni dunque anche sul fronte delle prestazioni: di fatto, si conosce solo il valore della velocità massima, intorno ai 30 nodi, ma non quella di crociera né i valori di autonomia corrispondenti.

La potenza sviluppata dall’impianto propulsivo viene trasmessa a 2 assi con altrettante eliche a passo variabile, 3 generatori diesel coprono le esigenze elettriche di bordo mentre l’automazione è spinta anche sul fronte della diagnostica sui macchinari da aver già sperimentato esigenze ridotte in termini di manutenzione.

L’aspetto più visibile è rappresentato dalla eliminazione della centrale di piattaforma, con tutti gli aspetti legati alla sua gestione concentrati nella “Advanced Integrated CIC (Combat Information Center)”.

 

Il sistema di combattimento (gestione e sensori)

In questo unico grande spazio sono concentrate le funzioni di governo della nave, di controllo della piattaforma, di gestione dell’apparato motore e degli ausiliari e, infine, di vero e proprio CIC, con l’annessa “fusione” dei dati delle funzioni in tutti gli aspetti operativi AAW, ASW, ASuW e MIW (ovvero Anti-Air, Anti-Submarine, Anti-Surface e Mine Warfare).

Ma la vera particolarità sta nella forma circolare di questo ambiente, con 14 consolle disposte in cerchio e alle quali sono associati i relativi display che, oltre alle informazioni provenienti dai sistemi di bordo, sono in grado di restituire una vista panoramica intorno alla nave senza punti ciechi sullo schermo, anche grazie al ricorso alla realtà aumentata.

Al centro di questo stesso spazio si trovano invece due grandi “tavoli”; uno destinato alle funzioni di navigazione e uno sul quale vengono rappresentate le principali informazioni tattiche. Infine, sempre nella stessa posizione centrale, altre 5 consolle; per il comandante e per il personale di guardia.

Per quanto riguarda il Combat Management System (CMS); quello utilizzato dalle Mogami è il OYQ-1; questo rappresenta un’ulteriore evoluzione dell’Advanced Combat Direction System (ACDS) introdotto già sulle unità portaelicotteri della classe Hyuga prima e Izumo poi, nonché sui cacciatorpediniere delle classi Akizui e Asahi. La novità introdotta è rappresentata dall’adozione di una “Open Architecture” (OA) per una più rapida/agevole integrazione di nuovi sistemi.

Per quanto riguarda il sensore principale, sulle Mogami è installato un radar multifunzione in banda X del tipo OPY-2 (derivato dall’OPY-1 e sempre della Mitsubishi Electric, che realizza anche il CMS). Si tratta di un radar AESA (Active Electronically Scanned Array) a 4 facce fisse che viene impiegato per le funzioni di ricerca, scoperta tracciamento/ illuminazione dei bersagli.

Tra l’altro, l’OPY-2 può essere impiegato sia come sistema ESM (Electronic Support Measures) che come sistema ECM (Electronic Counter Measures), grazie alla sua integrazione con il sistema di Electronic Warfare (EW) del tipo NOLQ-3E, le cui antenne sono posizionate sopra e sotto quelle dell’OYP-2 stesso- Quest’ultimo apparato fornisce anche il rilevamento e disturbo di apparati radio.

Per integrare le funzioni di scoperta è inoltre presente un apparato elettro-ottico/infrarosso OAX-3 che integra un sensore su classica torre rotante e stabilizzata (utilizzata anche per il controllo del tiro del cannone principale) e 6 telecamere fisse, posizionate alla base dell’albero che coprono i 360°.

A proposito di albero, quest’ultimo è un qualcosa di molto particolare, il suo nome completo è UNICORN (UNIfied COmplex Radio Antenna) Nora-50; all’interno di un involucro radioriflettente, ogni singola antenna dei diversi sistemi di comunicazione, di scambio dei dati tattici e altri sistemi ancora è posizionata in un modulo cilindrico. La sua concezione è modulare, concepito sia in termini di installazione che di integrazione per essere utilizzato da piattaforme diverse.

Passando invece ai sensori subacquei, le Mogami dispongono del sistema OQQ-25, composto da un Variable Depth Sonar (VDS) attivo e da un Towed Array Sonar (TAS); e se questo sistema è impiegato per l’ASW, nel campo della lotta alle mine è invece installato un sonar a scafo OQQ-11 (campo che, come vedremo più avanti, è stato oggetto di particolare attenzione). Secondo alcune ipotesi poi, in un momento successivo potrebbero anche essere installati dei sistemi Mark 36 SRBOC (Super Rapid Bloom Offboard Countermeasures Chaff) cioè Decoy Launching System per il lancio di inganni (radar o infrarosso) destinati al contrasto dei missili antinave.

 

Armamento

La descrizione delle armi di bordo) sconta un elemento di incertezza che sarà affrontato a breve. Per quanto concerne invece gli elementi noti, le artiglierie di bordo sono rappresentate dal pezzo principale Mk. 45 Mod.4 da 127/62 mm di BAE Systems, con funzioni anti-nave e per il tiro contro-costa: arma ormai entrata a far parte della dotazione “standard” delle maggiori unità di superficie della flotta giapponese, come dimostra la sua installazione sui DDG delle classi Atago e Maya e sulle fregate classe Akizuki e Asahi.

A esso si associano 2 Remote Weapon Station (RWS) con mitragliatrici da 12,7 mm per la difesa ravvicinata. Decisamente interessante la dotazione in termini di missili antinave con 2 contenitori/lanciatori quadrupli per missili Type 17, arma derivata dal simile  Type 12 utilizzato dalle batterie costiere della JGSDF (Japan Ground Self Defense Force) già capace di una gittata di 400 chilometri e che sarà oggetto nei prossimi anni di interventi volti ad aumentarle fino a 1.200 km e a migliorane alcune caratteristiche.

Per la difesa di punto nei confronti dei missili antinave, sul cielo dell’hangar a poppa è posizionato un impianto SeaRAM che combina il radar e l’apparato elettro-ottico del CIWS Phalanx Mk. 15 Block 1B (Close-In Weapon Systems) con lanciatore a 11 celle per i missili RIM-116 Rolling Airframe Missile (RAM).

Per la lotta antisom sono presenti 2 lanciasiluri tripli HOS-303 per i siluri leggeri da 324 mm Type 12 o Type 97 (entrambi di produzione locale). Da notare che la “torpedo room” che normalmente ospita i siluri può essere riconfigurata per imbarcare delle mine, trasformando così le Mogami in unità posamine. Lotta antisom che ci porta direttamente all’elemento di incertezza poco sopra ricordato.

Le Mogami sono infatti nate FFBNW (Fitted For But Not With) per l’installazione in tempi successivi di Vertical Launching Systems; per ragioni di bilancio infatti non erano stato possibile installarli fin dall’inizio e solo con il bilancio supplementare per l’anno fiscale 2021 sono stati resi disponibili i fondi per retrofittarli sulle prime 2 unità, mentre quelli per le 10 unità successive (da installare già in fase di costruzione) sono stati inseriti nel bilancio per l’anno 2023.

Nello specifico, i sistemi scelti sono un’altra “vecchia conoscenza” della Marina Giapponese (e di molte altre Marine del mondo): sulle Mogami sono infatti presenti 2 moduli a 8 celle ciascuno Mk 41 della Lockheed Martin ma non è ancora dato sapere quali missili ospiteranno.  Quella più probabile (pressoché certa) è la presenza del Type 07 V-LA (Vertical Launch Anti-submarine rocket), ovvero un razzo che è in grado di trasportare a grande distanza dall’unità lanciatrice un siluro Type 12 o Type 97).

La seconda opzione è legata alla presenza di un missile antiaereo con due alternative: l’Evolved Sea Sparrow Missile (ESSM) già in dotazione alla JMSDF, oppure l’A-SAM (Advanced -Surface to Air Missile) che è la versione navalizzata attualmente in fase di sviluppo del Type 03 già in dotazione all’Esercito Giapponese. Nel dettaglio, il missile originale riceve un booster (impiegato per la fase di lancio) e garantirà un notevole aumento di gittata ed estensione della copertura aerea rispetto allo stesso ESSM.

A completare la dotazione dei sistemi in dotazione alle Mogami, l’elicottero SH-60K o la sua più moderna versione SH-60L, attualmente in fase di introduzione nella JMSDF.

 

I sistemi “unmanned”

Una delle maggiori novità introdotta con le fregate Mogami è sicuramente rappresentata dalla presenza di sistemi “unmanned” organicamente assegnati alle unità. Con l’ulteriore particolarità rappresentata dal ruolo loro assegnato: la lotta alle mine. E in questa ottica che si spiega così la decisione di assegnare le prime 2 unità consegnate alla Marina Giapponese al “Minesweeper Group” di Yokosuka.

Nello specifico poi, saranno imbarcati un “Unmanned Surface Vehicle” (USV) e un “Unmanned Underwater Vehicle” (UUV) il primo è di previsto impiego con la funzione di distruzione fisica delle mine, attraverso il rilascio di eventuali “Expendable Mine Disposal (EMD)” e attraverso il rimorchio di sistemi di dragaggio (a influenza magnetica).

A oggi, questo USV è ancora in fase di sviluppo; dunque, non è ancora stato ancora individuato esattamente quale tipo di mezzo sarà imbarcato.

Già da tempo si stanno svolgendo delle sperimentazioni (anche coinvolgendo almeno una fregata) su un USV sviluppato dalla stessa MHI e che nel frattempo si è evoluto in una proposta concreta; noto come “Whale,” esso presenta una lunghezza di 8,8 metri, una larghezza di poco più di 3 metri e un dislocamento di circa 6 tonnellate.

Il secondo sistema previsto per queste fregate, ovvero l’UUV, è invece un modello già definito: l’OZZ-5. A questo sistema sarà affidato il compito di ricerca delle mine.

Anch’esso prodotto da MHI, lungo circa 4 metri per 50 centimetri di larghezza, 900 chilogrammi di peso e una autonomia di 9 ore, l’OZZ-5 è equipaggiato con un sonar “Synthetic Aperture Mine Detection Imaging Sonar” (SAMDIS) fabbricato dalla Thales e da un “Low frequency- Synthetic Aperture Sonar” (LF-SAS) della NEC, ideali per la ricerca anche di piccole mine poste sul fondo del mare.

In questo senso, va dunque sottolineato questa sorta di primato da parte della Marina Giapponese che, di fatto, anticipa una delle possibili tendenze del futuro: conferire cioè anche alle tradizionali unità da combattimento delle Marine una capacità autonoma/organica di far fronte alla minaccia rappresentata dalle mine. Garantendo al tempo stesso una protezione ad altre eventuali unità della flotta senza escludere eventuali sviluppi in quanto a ulteriori applicazioni di questi sistemi “unmanned”.

 

Le “nuove” FFM

Il 25 agosto il Ministero della Difesa Giapponese ha comunicato l’esito della competizione per il nuovo “batch” di 10 fregate. E, come largamente previsto, la scelta è nuovamente caduta su MHI che ha presentato una versione modificata delle proprie Mogami. Le informazioni di dettaglio sono ancora scarse ma, qualcosa (di interessante) è già trapelato.

Sulle dimensioni prima di tutto, dato che per queste future piattaforme lunghezza, larghezza e dislocamento standard saliranno (rispettivamente) a 142 e 17 metri nonché 4.880 tonnellate. La configurazione generale (almeno dalle prime osservazioni) non subisce invece particolari modifiche: si intravedono affinamenti alla zona della plancia di comando mentre sull’UNICORN si intuiscono invece interventi forse più estesi (compresa una ulteriore fila di “array”, forse destinati alla guida dei missili antiaerei).

Per rimanere dunque in ambito sensori, emerge la sostituzione dell’attuale sonar a scafo OQQ-11 (per la sola funzione di scoperta delle mine) con un altro sensore dotato di maggiori capacità in ambito ASW. Non si evidenziano invece interventi sul fronte dell’armamento, che dunque sarà uguale alle Mogami (VLS già installati compresi).

L’aumento delle dimensioni, infine, appare legato al potenziamento delle dotazioni in termini di sistemi “unmanned”; in primo luogo, perché sarà organicamente presente (oltre all’elicottero SH-60 già imbarcato) anche un UAV (Unmanned Aerial Vehicle) destinato svolgere missioni ISR; UAV la cui selezione è attualmente in corso. Infine, la stessa zona di poppa sembra essere stata oggetto di modifiche al fine di far meglio operare gli UUV e USV già presenti, oltre che per ospitare nuovi sistemi per la posa delle mine.

Foto: MHI, Naval News, ATLA e JSDMF

 

 

Giovanni MartinelliVedi tutti gli articoli

Giovanni Martinelli è nato a Milano nel 1968 ma risiede a Viareggio dove si diplomato presso l’Istituto Tecnico Nautico per poi lavorare in un cantiere navale. Collabora con Analisi Difesa dal 2002 occupandosi di temi navali in generale e delle politiche di Difesa del nostro Paese in particolare. Fino al 2009 ha collaborato con la webzine Pagine di Difesa.

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