Riflessioni di fine anno sull’Europa

Il tema del destino dell’Europa meriterebbe un dibattito più approfondito rispetto agli slogan vuoti che caratterizzano spesso l’attuale dibattito, più utile a definire posizioni ideologiche che a mettere in luce soluzioni e risposte concrete.
Fino a qualche anno fa l’Unione Europea sembrava il miglior traguardo conquistato dalla mia generazione mentre oggi sono estremamente preoccupato per il futuro del nostro continente e soprattutto per la perdita dello spirito di coesione, di prospettive sul ruolo dell’Europa nel mondo.
Se avessimo il coraggio di uscire dalle quotidiane polemiche su Trump o Putin imparando a vedere i problemi anche dal punto di vista strategico, ci renderemmo conto che la prima conseguenza della guerra in Ucraina è stata l’evidente crisi dell’Europa.
Negarlo è assurdo perché questa crisi è grave e continuerà anche oltre la guerra, ammesso pur – come tutti speriamo, ma sembra sempre più difficile – che il conflitto si concluda alla svelta.

Nessuno immaginava questa situazione nel 2022, quando quella dell’Ucraina sembrava una crisi di breve durata, ma la guerra ha dimostrato drammaticamente che l’edificio europeo – a dispetto dei proclami e dell’ostentato e falso ottimismo di Bruxelles e dei media – aveva ed ha fondamenta paurosamente fragili.
Non basta fare proclami e moltiplicare le normative: l’entusiasmo europeo si è spento nell’animo di gran parte degli europei che della UE non hanno più un’idea carismatica ma vedono soprattutto (o soltanto) l’aspetto economico legato alla gestione dei contributi e dell’Euro.
Siamo fragili e dipendenti dal punto di vista energetico e per esempio l’ambizione di chiudere i rubinetti del gas russo si scontra con le conseguenze di questa scelta idealmente perfetta, ma potenzialmente un disastro per i maggiori costi di approvvigionamento per molti paesi europei.
In questa situazione di emergenza decidere poi di fare del “green” una bandiera è doppiamente assurdo e ridicolo, perché queste cose non si attuano in tempo di crisi – visto soprattutto la poca influenza che le decisioni UE hanno sul clima mondiale – ma che intanto hanno messo ulteriormente in crisi l’industria del continente e l’ “autarchia” energetica non è concretamente possibile ancora per diversi anni. Adesso si è fatto marcia indietro sul divieto di benzina e diesel nel 2035 ma intanto i danni sono stati tremendi e nessuno se ne prende a Bruxelles la responsabilità.

Ma la crisi europea è innanzitutto politica.
L’Europa ufficiale continua ad autodichiararsi compatta, ma visibilmente non lo è più, con la crisi che ha messo in drammatica evidenza le diverse priorità dei vari paesi. L’Ungheria intanto non è più sola: Repubblica Ceca e Slovacchia fanno ora gruppo con lei e la discussione sugli asset russi ha dimostrato l’emarginazione della Von der Leyen e della Germania con paesi come Belgio ed Italia che con Malta e Bulgaria hanno detto “no” e alla fine hanno vinto, anche se “pro quota” ci rimetteremo per il nuovo “prestito” all’Ucraina almeno altri 15 miliardi, il valore della finanziaria di quest’anno (cose che non vengono mai spiegate alla gente), ma usare gli asset sarebbe stato anche peggio per l’equilibrio dell’Euro.
L’ Europa ha generosamente appoggiato l’Ucraina che subiva l’invasione rimanendo fedele ai propri principi di fondazione, ma convinta che Putin si sarebbe presto stancato e – sfiancato dalle progressive sanzioni – avrebbe patteggiato uno stop.
Errore enorme e progressivo, strategico e politico, perché ci si è dimenticati che i russi hanno alle loro spalle una storia millenaria di sacrifici, ma anche una fonte quasi inesauribile di risorse naturali e – in un mondo energivoro – avrebbero trovato (come è avvenuto) nuovi clienti e quindi fornitori di armi.

Di fatto Mosca oggi è alleata con il mondo e non solo quello della BRICS, con i paesi del G7 che invece annaspano davanti alla concorrenza economica, demografica, perfino militare di un mondo capovolto rispetto anche solo all’inizio del secolo.
Riascoltare le dichiarazioni della Von der Leyen che tre anni fa annunciava al parlamento europeo (applaudita!) che i russi erano costretti a smontare lavatrici pur di recuperare microchip oggi fa rabbrividire, come quelle di Draghi che annunciava come Putin sarebbe crollato per le sanzioni. Conviene ancora fidarsi della lungimiranza di questi personaggi?
Perché si dice NO all’ingresso della Serbia nella UE che ha tutte le carte in regola ma “è amica di Putin” e si vuol fare entrare l’Ucraina che non ha alcun parametro finanziario, legislativo, giuridico e di trasparenza in linea con quelli europei? E’ un suicidio annunciato e intanto l’Europa è davvero diventata marginale, “inutile” (o quasi) sul piano mondiale mentre alla lunga la guerra sta consumando molte nostre risorse senza risolvere nulla. Putin non cede e non cederà sul Donbass perché non può permetterselo e l’Ucraina, superato il primo entusiasmo, è semplicemente ripiombata nei vizi di sempre ovvero quelli di una nazione fradicia, debole, corrotta, che capitolerebbe se alle spalle non avesse gli aiuti occidentali.
I 90 miliardi decisi nei giorni scorsi non verranno mai restituiti eppure si fa finta di non saperlo, così come sono evaporati (senza controlli) gli aiuti precedenti.

L’Europa all’inizio ha rifiutato di discutere con Putin dimostrando molta supponenza, oggi capisce che o si svenerà per prendere il posto degli USA in Ucraina senza risolvere niente o deve prendere atto di questa crescente emarginazione nonostante che la NATO cerchi in ogni modo di spingere a combattere soprattutto per mantenere e giustificare sé stessa.
Su questa crisi è poi piombata un anno fa la vittoria di Trump che ora ha semplicemente capito la realtà: non è interesse strategico USA litigare all’infinito con la Russia e “Se L’Europa vuole le nostre armi ce le paghi”.
In Europa continuiamo a non renderci conto che sono passate tre generazioni dallo sbarco in Normandia e che oggi rappresentiamo meno del 10% di un mondo che non ha più bisogno di noi considerandoci spesso vecchi, superati, buoni magari per il turismo ma ben poco interessanti per il resto.
Certamente l’Europa rappresenta un mondo migliore per senso democratico, pulsioni ecologiste, tutele sociali, ma in un mondo globalizzato non può reggere la concorrenza salvo che in alcuni settori marginali.
Abbiamo perso l’occasione storica di inizio secolo per “federarci” in qualche modo con Mosca unendo due sistemi che erano complementari e ora ne paghiamo il conto. Possiamo considerarci più belli, evoluti, civili degli altri ma scagliandosi quotidianamente contro Trump l’Europa non ha capito che il presidente americano di oggi passerà, ma gli USA non torneranno indietro – chiunque sarà il nuovo presidente – perché è l’Europa ad avere bisogno dell’America e non viceversa: i mediocri politici europei dovrebbero prenderne atto, anche se si offendono a sentirselo dire.
Per questo chi scrive vorrebbe che l’Italia in questo contesto europeo richiamasse con più forza Bruxelles alle sue responsabilità invitando ad uscire tutti dall’equivoco, proponendosi come “ponte” tra Washington e Bruxelles.
Per l’Europa conta di più la idealità di difendere il principio di una guerra ad oltranza al cattivo Putin aggressore o conviene trovare una formula di cessione onorevole del Donbass, salvare il resto dell’Ucraina e garantirla, ma passando subito a rilanciare il continente? Non è disfattismo parlare di crisi europea, semmai è prendere atto di una triste verità.
Foto: Commissione Europea, TASS e Presidenza Ucraina
Marco ZaccheraVedi tutti gli articoli
Laureato in Economia Aziendale all'Università Luigi Bocconi e in Storia delle Civiltà all'Università del Piemonte Orientale Amedeo Avogadro, è giornalista pubblicista e dottore commercialista. La lunga carriera politica in Alleanza Nazionale e Popolo delle Libertà lo ha portato a ricoprire diversi incarichi tra i quali consigliere regionale in Piemonte, membro della Camera dei deputati in cui ha fatto parte della commissione Esteri e Difesa, presidente della delegazione italiana alla UEO di Parigi e componente del Consiglio d'Europa a Strasburgo, e sindaco di Verbania. Autore di numerose opere tra cui Diario Romano (2008) e Integrazione (im)possibile? Quello che non ci dicono su Africa, Islam e immigrazione (2018). Impegnato nelle associazioni di volontariato e per la cooperazione internazionale, nel 1981 ha fondato i Verbania Centers, attivi in diversi paesi dell'Africa ed in America del Sud.








