La Difesa per ora non vende

di Giampiero Di Santo da Italia Oggi del 25 gennaio 2013

Revocata la procedura di affidamento di beni per 1,32 miliardi ai fondi immobiliari
Doveva cedere terreni e caserme, ma salta la gara Sgr
Doveva essere un fiore all’occhiello del ministero della Difesa e contribuire, con i suoi incassi di certo assai rilevanti, a rimettere in sesto alloggi e infrastrutture dell’esercito e di tutti gli altri corpi militari. Al punto che il ministro, ammiraglio Giampaolo Di Paola, per vendere finalmente tutti gli immobili non più utili in carico alla sua amministrazione, si parla di beni per più di un miliardo di euro, 1,325 miliardi per la precisione, aveva adottato la soluzione Sgr, società di gestione del risparmio, più fondo al quale conferire tutti gli edifici e i terreni da valorizzare.  E non contento aveva lanciato un bando di gara, del valore di 24,7 milioni, per individuare la Società di gestione del risparmio più adatta a gestire la complessa operazione, a partire da un primo lotto di beni immobili per così dire romani: nella tranche capitolina, che era stata già individuata da un accordo di valorizzazione raggiunto con il comune di Roma quando ministro era Ignazio La Russa, sarebbero dovuti rientrare 15 cespiti, quasi tutte caserme, come la Gandini, la Medici e Forte Boccea, per un valore di 428 milioni. Ma il termine di scadenza fissato dal bando inizialmente al 30 maggio 2012, prima è slittato al 31 dicembre 2012 e poi, ieri, è in sostanza stato rimandato sine die. Come spiega un avviso del ministero, che revoca la «gara per procedura ristretta» che ha per oggetto la «selezione di una o più sgr per la valorizzazione del patrimonio immobiliare in uso all’amministrazione della Difesa mediante la costituzione di fondi comuni di investimento immobiliare ai sensi dell’articolo 314 comma 4 del decreto legislativo 66 del 2010», il codice dell’ordinamento militare firmato appunto da La Russa. Quella gara, spiega ancora il bando, non si farà più perché dal 2010 a oggi è cambiato tutto. E a gettare in tavola nuove carte è stato il governo guidato da Mario Monti, che l’anno scorso, era il 27 giugno, ha messo a punto e approvato un decreto legge, il numero 87, che «reca disposizioni urgenti in materia di efficientamento, valorizzazione e dismissione del patrimonio pubblico, di razionalizzazione dell’amministrazione economico finanziaria, nonché misure di rafforzamento del patrimonio delle imprese del settore bancario». È stato proprio quel provvedimento, che per coincidenza interessa anche la banca Mps al centro di una nuova bufera giudiziaria, finanziaria e politica, a «innovare sostanzialmente la disciplina in materia di valorizzazione del patrimonio immobiliare» insieme con l’articolo 23 del decreto legge 95 del 2012. Modifiche sostanziali che hanno indotto il ministero a rivedere l’intera operazione con l’obiettivo di «attuare un processo unitario di valorizzazione e dismissione» anche alla luce del provvedimento ministeriale che lo scorso 24 agosto aveva ridisegnato l’intero pacchetto di immobili da cedere. Per ora, insomma, caserme e terreni, poligoni di tiro in disuso e depositi di carburanti dismessi restano nella mani della Difesa. Mentre alle società di gestione del risparmio che già pregustavano un business importante è rimasto soltanto un pugno di mosche in mano. Alla gara, per le caratteristiche individuate dal bando, avrebbero potuto partecipare soltanto Sgr che abbiano promosso la creazione e che gestiscano fondi comuni di investimento immobiliare con un patrimonio complessivo almeno pari a 1 miliardo di euro. E le operazioni di cessione, oltre al lotto romano, avrebbero dovuto riguardare due lotti milanesi, del valore di 240 e 380 milioni, uno torinese (128 milioni), uno dell’Emilia-Triveneto (74 milioni) e uno siciliano (23 milioni). Ma per ora, il ministero ha detto stop.

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