APPF: I PARAMILITARI DI KARZAI

di Francesco Bussoletti

Il recente attacco complesso nel centro di Kabul ha fatto emergere l’esistenza di una struttura di cui si sa poco in ambito internazionale, ma che è molto attiva nel paese asiatico: l’Afghan Public Protection Force (APPF). Si tratta di una forza paramilitare voluta e costituita dal presidente Hamid Karzai, formalmente con l’obiettivo di “istituzionalizzare” la gestione della sicurezza dei convogli e la sicurezza nel paese, subentrando alle compagnie private di contractors (Psc) locali, sotto l’egida dei decreti presidenziali 45 e 62, che impongono la chiusura delle agenzie private e il loro disarmo.

Formalmente a capo dell’APPF è il ministro dell’Interno ma in realtà il vertice politico è il vice ministro. Da lui dipendono i due capi della forza, quello amministrativo e quello operativo: il primo è il direttore generale per il Business e le finanze, Hashmatullah Latifi, nominato a dicembre del 2012. L’altro è il titolare per le Operazioni, il generale Sayed Kamal Sadaat. Quest’ultimo è un vecchio uomo di fiducia di Karzai, già procuratore militare nel 2003, poi a capo della parte afghana dei Provincial reconstruction teams (Prt) a Kabul e direttore del comparto antidroga presso il ministero dell’Interno. Insieme a loro c’è la figura del capo di Stato maggiore dell’APPF, il generale Ghulam Sakhi Rahimi, anch’esso personaggio di stretta fiducia di Karzai e del vice ministro dell’Interno. La sua figura infatti funge da collante tra la politica e il corpo paramilitare. In tutte le posizioni di rilievo dell’APPF ci sono personaggi che “godono della piena fiducia” del presidente o di qualche suo stretto collaboratore. Nella chart sul sito internet istituzionale della forza, www.appf.gov.af non sono formalmente indicati i nomi, ma basta andare nella sezione news – molto curata e aggiornata – e con un po’ di pazienza è molto facile ricavare l’organigramma completo di tutta la struttura.

Per capire meglio l’evoluzione dell’Appf e di ciò che rappresenta, bisogna ricordare che la forza è nata ufficialmente nel 2009 come supporto all’Afghan Uniformed Police (AUP). Obiettivo dell’unità era togliere alcuni compiti di vigilanza/scorta alle unità tradizionali in modo che queste si potessero concentrare maggiormente sulle loro funzioni tradizionali, come il law enforcement. Per anni l’APPF poteva contare solo su pochi uomini, i cui compiti più che altro erano quelli di vigilanza a posti fissi di Kabul. Il vero boom si è avuto a partire dal 2012 quando a seguito delle due direttive presidenziali – e la conseguente eliminazione della concorrenza (i servigi dell’APPF costano e sul sito internet c’è tanto di tariffario) – la forza è decollata numericamente. Oggi, infatti è composto da più di seimila guardie che hanno uno status giuridico pari a quello delle altre forze di polizia. In meno di due anni sono stati firmati 235 contratti per la gestione della sicurezza, 80 per i rifornimenti e altri 40 non meglio specificati con investitori locali e internazionali. E le tariffe non sono economiche. Per la scorta a un convoglio, l’APPF chiede 175 dollari ogni 50 chilometri, senza contare i costi del personale. Una guardia semplice costa 165 dollari di stipendio base, a cui bisogna aggiungere un sovrapprezzo per l’area in cui opera. Da 50 dollari per zone a basso rischio, fino a 100 per quelle più calde. Non è finita qui. Altri 200 dollari al mese vanno per vitto, alloggio, spese mediche, contributo per i martiri, ecc..a cui bisogna aggiungere i costi per le armi, caricatori, apparati di comunicazione ed equipaggiamento. Che sommati, portano una spesa di ulteriori 300 dollari. Ergo, assumere per un mese una singola guardia, che non si muova da Kabul e stia in un posto fisso, costa almeno un migliaio di dollari.

L’espansione dell’APPF e la sua campagna di “attore protagonista” nel disarmo delle Psc non è passata inosservata in Afghanistan, sia per la velocità con cui è avvenuta sia per il modo. Sul primo versante, dall’emanazione delle due direttive alla loro messa in atto sono passati 2 anni. Karzai, infatti, ha pubblicato la “45” e la “62” ad agosto del 2010, ma le operazioni di smantellamento arsenali e di ritiro delle licenze delle compagnie private sono cominciate solo a fine del 2012. È pensiero comune che il presidente abbia messo in atto una mossa per disarmare preventivamente i “nemici” e tenere sotto scacco possibili controparti. Non a caso, infatti, la maggior parte delle Psc fanno capo a leader e signori della guerra competitor di Karzai. Per esempio, nella regione Ovest nei mesi scorsi sono state chiuse dal giorno alla notte due importanti compagnie appartenenti a Syed Wahid Qatali, neo capo del Consiglio provinciale di Herat e uomo di fiducia di Ismahil Khan nell’area. Questa policy, se da una parte ha indebolito la “capacità di fuoco” degli avversari politici, dall’altra sta causando forti problemi sul versante della sicurezza in tutto il paese. La chiusura delle Psc, infatti, ha determinato la perdita di lavoro per un numero ingente di persone, e si tratta di operatori ben addestrati e organizzati. L’APPF ne sta arruolando solo una minima parte (in media pari a circa il 10 per cento di ogni singola agenzia) e gli altri sono lasciati al loro destino. Il che si traduce nel fatto che questi “ronin” afghani sono sul mercato per chi è interessato ad arruolarli. Dal privato cittadino che vuole proteggere famiglia o azienda al gruppo di insurgent. Si tratta peraltro, di numeri importanti. Ci sono Psc che raggiungono o superano i 400 dipendenti.

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