Washington nega il visto a molti interpreti afghani

Adnkronos/Washington Post – Un numero crescente di afghani che hanno lavorato come interpreti con le truppe americane si sono visti negato il visto d’ingresso negli Stati Uniti perché, a detta del dipartimento di Stato, non corrono rischi nel loro Paese. Una valutazione che viene ovviamente contestata dagli interessati ed i loro legali che ricordano come questi interpreti abbiano lavorato per anni nelle zone controllate dai talebani e sottolineano la situazione di incertezza e stabilità in vista del prossimo ritiro delle forze Usa. “Vi sono tantissimi talebani nel mio villaggio e tutti sanno che ho lavorato per gli americani, se non possono andare negli Stati Uniti la mia vita e’ finita, ve lo giuro, un giorno i talebani mi prenderanno”, si sfoga Mohammad, uno degli interpreti che ha ricevuto una lettera dalle autorità americane in cui si afferma che non si ritiene che vi sia una vera minaccia contro la sua vita. Dall’ambasciata americana a Kabul si spiega che per poter ottenere il visto che il Congresso ha deciso di garantire agli afghani che hanno collaborato con gli americani, i richiedenti devono dimostrare di “ricevere o aver ricevuto una serie di minacce gravi in conseguenza del proprio lavoro”. E’ una commissione dell’ambasciata a valutare la richiesta e decidere se inoltrarla al dipartimento di Stato a Washington.

Ma non e’ stato spiegato che cosa precisamente costituisca agli occhi dei diplomatici americani quella che viene definita una “seria minaccia”. Evidentemente non quelle ricevute da un altro interprete al quale e’ stato negato il visto dopo aver lavorato per anni nel settore di controllo dei visitatori di una prigione americana in Afghanistan, lavoro che lo ha messo quindi in contatto con i familiari dei detenuti, esponendolo quindi a rischi. Il visto é stato negato anche a Naseri, un interprete sopravvissuto a tre diversi attacchi contro le pattuglie americana con le quali lavorava, impiego per il quale e’ stato definito “una spia ed un traditore” dai talebani che sanno dove vive lui e la sua famiglia. La sua richiesta e’ stata negata nonostante le molte lettere di ufficiali americani che spiegavano nel dettaglio il ruolo svolto da Naseri. “In ogni casa in cui entravamo, entrava anche lui, in ogni combattimento in cui venivamo coinvolti, veniva coinvolto”, ha affermato il tenente Matt Orr. “Provo una reale frustrazione per una burocrazia caotica che permette una cosa del genere”, ha aggiunto il militare.

Foto: Wired

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