Libia: l'Emirato di Derna si prepara alla guerra

Le milizie jihadiste di Derna, in Cirenaica, hanno dato vita a una coalizione ribattezzata “Consiglio della Shura dei Mujahedeen” in vista dell’attesa offensiva da parte delle forze filo-governative che stanno avanzando da Tobruk e che presumibilmente attaccheranno Derna dopo aver completato la riconquista di Bengasi. “Tutti hanno visto cosa è successo a Bengasi: un disastro, le istituzioni distrutte, le case demolite, le moschee e le università date alle fiamme dalle mani criminali dei sostenitori di Haftar” si legge nel comunicato diffuso dalla coalizione islamista che fa riferimento alle forze fedeli all’ex generale Khalifa Haftar e ad Abdullah al-Thani, il premier libico riconosciuto dalla comunità internazionale, impegnate in operazioni militari volte a riconquistare il pieno controllo di Tripoli e Bengasi.

La città di Derna, che conta 150.000 abitanti, è stata trasformata in emirato islamico da alcuni gruppi armati che hanno giurato fedeltà ai jihadisti dello Stato islamico (Isis) e che alcuni temono possa puntare a controlare il nord della cirenaica..Il mese scorso, Human Rights Watch ha denunciato come questi gruppi terrorizzino la popolazione con esecuzioni sommarie, pubbliche flagellazioni e altre forme violente di abusi dei diritti umani.

Nel comunicato diffuso il 14 dicembre, il Consiglio della Shura dei Mujahedeen ha invitato tutti gli abitanti di Derna ad unirsi alla nuova coalizione, ma si è rivolto anche ai jihadisti di Ansar al-Sharia attivi a Bengasi: “Siamo con voi nella guerra contro il criminale Haftar ei suoi soldati”. Prima dell’annuncio ufficiale della creazione della nuova coalizione, gli islamisti hanno tenuto una parata militare nella città con blindati e combattenti che sventolavano le bandiere nere.

Quella della “Shura dei Mujahedeen” è la terza coalizione islamista istituita in Libia e si affianca ad Ansar al-Sharia (qaedisti) e ad “Alba della Liibia” che riunisce le milizie tribali di Misurata con quelle salafite e dei Fratelli Musulmani in Tripolitania sostenuta da Turchia e Qatar.

Le forze governative libiche sono impegnate da venerdì a respingere gli attacchi delle milizie islamiche di “Alba della Libia” contro la regione di Al-Hilal, tra le città di Bengasi e Sirte, una delle aree  petrolifere più importanti nell’est del Paese. Finora i militari hanno respinto gli attacchi contro i terminal si Sidra e Ras Lanouf provocando oltre 50  vittime tra gli attaccanti e più di 300 feriti secondo fonti governative.

“Un attacco a sorpresa – ha spiegato il generale Saqr al Gerushi, comandante delle forze aeree dell’ex generale Khalifa Haftar – è stato lanciato dai militanti di Alba della Libia che hanno cominciato ad avanzare verso la regione del petrolio.

I jet e gli elicotteri delle forze aeree hanno colpito queste milizie mentre avanzavano verso il porto petrolifero di Sidra (il più importante del Paese per l’export di petrolio) attraverso la strada lungo la costa e altre vie laterali, ma anche attraverso il deserto. Il porto  è stato chiuso per sicurezza e la società petrolifera statale  Noc ha dichiarato il blocco progressivo delle operazioni di pompaggio ai due terminal per “cause di forza maggiore”.

L’offensiva islamista, per ora respinta dai governativi, minaccia la cosiddetta  “mezzaluna petrolifera” tra Sirte e Bengasi, che il premier Abdullah al Thani aveva definito, solo tre giorni fa, “sicura e sotto il pieno controllo del governo”.
Sul fronte dei terminal le truppe dell’esercito sono affiancate dagli ex ribelli ‘federalisti’ che lo scorso anno bloccarono per mesi l’esportazione di petrolio ricattando di fatto l’allora governo di Ali Zeidan e che oggi alleati di al-Thani.

Il Parlamento di Tobruk, l’unico riconosciuto ed eletto nel giugno scorso, ha lanciato l’allarme mettendo in guardia la comunità internazionale: “Lo scopo dell’aggressione ai terminal è di impossessarsi delle risorse per finanziare le loro operazioni terroristiche, così come quelle di altri gruppi terroristici in altre zone del mondo”.

Il Parlamento precisa in una nota che le milizie filo-islamiche di Fajr Libya, quelle di al-Faruk (attive a Misurata) e i jihadisti di Ansar al Sharia (in Cirenaica) “si sono alleate per impadronirsi del Paese”. Da qui l’appello alla comunità internazionale a “sostenere la Libia nella sua lotta al terrorismo”.

Appello rilanciato dai cinque Paesi del Sahel, Mauritania, Ciad, Niger, Mali e Burkina Faso, riuniti il 19 dicembre a Nouakchott, hanno chiesto “un intervento internazionale” contro i gruppi armati in Libia, “in accordo con il Consiglio di Sicurezza”. Lo ha annunciato il presidente mauritano Mohamed Ould Abdel Aziz, citato dalla Mena. Alcuni paesi limitrofi, ha aggiunto senza citarli, “hanno espresso delle riserve” su un eventuale intervento internazionale, ma “la decisione spetta alla Libia” che “lo ha richiesto.

Caldissima anche la situazione sul campo di battaglia più occidentale lungo il confine tunisino dove i militari hanno ripreso il controllo della frontiera dopo molti raid aerei e aspri combattimenti e grazie ai rinforzi giunti da  Zawiya e Sabrata.

Le milizie islamiste del fronte “Alba della Libia” hanno attaccato una base aerea nel profondo sud della Libia. Secondo quanto riferisce l’emittente televisiva “al Jazeera” le milizie di Misurata hanno attaccato la base aerea di Barak, 640 chilometri a sud di Tripoli con l’obiettivo di prendere possesso del deposito di armi e munizioni.

L’operazione è riuscita con successo e le milizie di Misurata si sono impossessate anche di missili anti-aerei necessari per respingere gli attacchi lanciati dai caccia bombardieri governativi.

Nelle scorse settimane era stato segnalato a Misurata lo schieramento di alcune batterie di missili terra-aria S-125 e sistemi SA-3 (foto sopra) prelevati dalla base aerea di Sebha, nel deserto del Fezzan e appartenute alla difesa aerea del regime di Gheddafi.

Questi missili sono considerati una grave minaccia potenziale anche per il traffico aereo civile a causa del loro raggio d’azione di 35 chilometri della possibilità di colpire aerei in volo fino a 18 mila metri di quota.

Intanto il sito al-Monitor ha confermato come l’appoggio dell’Egitto stia consentendo i successi registrati dalle alle forze governative libiche. “Ci sono indicazioni forti e rassicuranti sul fatto che possiamo strappare Bengasi alle milizie”  ha detto una fonte diplomatica egiziana anonima dichiarando che “Il Cairo sta fornendo informazioni di intelligence che stanno contribuendo alla definizione delle strategie dell’esercito libico nell’ambito dell’operazione “Dignità” del generale Khalifa Haftar (foto qui sotto)nella guerra al terrorismo.

Stiamo collaborando con l’esercito libico e con gruppi arabi provenienti dai Paesi vicini, soprattutto dall’Algeria, nel rispetto di un piano politico e militare che viene già applicato a Bengasi e che presto sarà applicato a Tripoli” ha aggiunto.

Negli ultimi due mesi, ricorda al-Monitor, funzionari della presidenza e del ministero degli Esteri egiziani, così come il personale della sicurezza, hanno accolto decine di politici e parlamentari libici per definire un’azione coordinata contro gli islamisti.

L’Italia invece continua a stare a guardare e in un’intervista al Corriere della Sera il ministro della Difesa Ro0berta Pinotti ha ribadito che Roma “vuole essere protagonista nella soluzione della crisi libica” ed è pronta a “fornire i suoi soldati a una forza di pace delle Nazioni Unite”, ma occorre prima chiarire il contesto interno perché “in Libia non c’è un solo interlocutore e anche dal punto di vista della legittimità la situazione rimane confusa”.

Dichiarazione che non riconosce il governo islamista di Tripoli ma al tempo stesso mette in discussione la legittimità di quello di Tobruk, sconfessato dalla Corte Suprema di Tripoli che oggi è però in mano agli islamisti. Una sorta di neutralità che, lungi dal promuovere l’Italia come protagonista, la mette al contrario ai margini rifilandole un ruolo irrilevante. Del resto chi si potrebbe fidare di un’Italia incapace di assumere una posizione netta e coerente e che nel 2011 tradì Gheddafi buittando alle ortiche  il Trattato di Amicizia bilaterale e muovendo guerra a Tripoli.

Infatti, nel dubbio di apparire schierata contro gli islamisti, la Pinotti ammette nell’intervista la collaborazione con Emirati Arabi ed Egitto che sostengono il governo di al-Thani e il generale Haftar, “ma anche con Turchia e Qatar” sponsor politici e militari dei gruppi islamisti.  Non spiega però perché Roma si mobiliti con aerei e soldati contro gli islamisti in Iraq ma non faccia altrettanto contro quelli in Libia, molto più vicini al territorio italiano.

Foto: Reuters, Emirato Islamico di Derna, Facebook via IHS Jane’s

Gianandrea GaianiVedi tutti gli articoli

Giornalista bolognese, laureato in Storia Contemporanea, dal 1988 si occupa di analisi storico-strategiche, studio dei conflitti e reportage dai teatri di guerra. Dal 1991 al 2014 ha seguito sul campo i conflitti nei Balcani, Somalia, Iraq, Afghanistan, Sahara Occidentale, Mozambico e Sahel. Dal febbraio 2000 dirige Analisi Difesa. Ha collaborato o collabora con quotidiani e settimanali, università e istituti di formazione militari ed è opinionista per reti TV e radiofoniche. Ha scritto diversi libri tra cui "Iraq Afghanistan, guerre di pace italiane", “Immigrazione, la grande farsa umanitaria” e "L'ultima guerra contro l’Europa". Presso il Ministero dell’Interno ha ricoperto dal 2018 l’incarico di Consigliere per le politiche di sicurezza di due ministri e un sottosegretario.

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