Roma cambia posizione con l’India: da in ginocchio a sdraiata

Lo schiaffo della Corte Suprema indiana che ha respinto il prolungamento della convalescenza in Italia di Massimiliano Latorre e la richiesta di rimpatrio natalizio per Salvatore Girone ha proprio fatto arrabbiare il governo italiano. Rispetto alle valutazioni espresse la scorsa settimana in un editoriale, Analisi Difesa torna sull’argomento (spinoso e imbarazzante per ogni italiano) in seguito alle notizie apparse sul quotidiano indiano The Economic Times che cita “fonti governative indiane del massimo livello” in base alle quali il governo Renzi avrebbe offerto un “pacchetto” di proposte per risolvere amichevolmente dopo quasi tre anni la vicenda dei marò.

Le proposte italiane includerebbero la disponibilità a presentare pubbliche scuse da parte dell’ambasciatore italiano per l’uccisione dei due pescatori indiani, un importante risarcimento per le loro famiglie e il processo in Italia per i due marò.

Fonti del ministero degli Esteri indiano – si legge sul quotidiano – hanno ammesso che l’Italia ha presentato “alcuni elementi” per una soluzione amichevole della questione attraverso un negoziato fra i due governi.

Una fonte ministeriale ha commentato che “i più autorevoli consiglieri legali del governo ed il ministero dell’Interno debbono esprimere un parere sulla compatibilità della proposta con il sistema legale indiano. Il negoziato potrebbe cominciare solo quando vi fosse un via libera da parte degli esperti giuridici, dato che la questione è all’esame della Corte Suprema”.

I vertici di polizia indiani hanno però fatto sapere di essere contrari alla proposta, insistendo che i due militari riconoscano le loro responsabilità in India e poi, una volta condannati, siano inviati in Italia in base al Trattato bilaterale esistente per permettere ai condannati di scontare la pena nel proprio Paese.

Da Roma non è giunta nessuna smentita al documentato articolo dell’Economic Times  mentre l’ambasciata italiana a Nuova Delhi, interpellata dall’ANSA, ha detto di non avere commenti da fare sul tenore dell’articolo pubblicato all’indomani dell’ammissione da parte del governo indiano di avere allo studio una proposta italiana confermando implicitamente quanto riportato da The Economic Times e dimostrando un concreto cambiamento nell’atteggiamento nei confronti dell’India.

Se finora i tre governi italiani coinvolti nella vicenda (Monti, Letta e Renzi) sono stati in ginocchio di fonte alle pretese e alle angherie indiane ora l’attuale esecutivo pare pronto a un “salto di qualità” sdraiandosi letteralmente ai piedi degli indiani, quasi chiedendo “pietà”.
E’ vergognoso presentare scuse per colpe inesistenti, negate dagli stessi Fucilieri di Marina (la cui parola vale per noi più delle chiacchiere dei politici, quelli nostri e quelli indiani) e in ogni caso non provate dal momento che Nuova Delhi non è mai stata neppure in grado di imbastire un processo.

Al tempo stesso è ridicolo promettere indennizzi ai famigliari dei due pescatori uccisi anche perché già il governo Monti aveva pagato cifre cospicue (per gli standard indiani) ai parenti e al proprietario del peschereccio Saint Anthony, risarcimenti definiti all’epoca non ammissioni di colpa ma “gesti di buona volontà”.

A completare l’ennesima figura penosa dei nostri governanti c’è poi la pretesa di Renzi che sulla questione cali il silenzio. Strategia (per così dire) non nuova e applicata dai precedenti governi fin dall’inizio della vicenda dei marò con effetti catastrofici. Nelle prime 72 ore dal blocco nel porto indiano della “Enrica Lexie” da Roma non venne pronunciata una sola parola mentre l’India inondava i media del mondo intero con il ritornello degli “italian marines” assassini.

Sul caso marò “tutto quello che dobbiamo dire lo abbiamo già detto. Ora è il momento di non aprire la bocca”  ha detto ieri Matteo Renzi a Rtl 102.5. Ma che senso ha tacere se i giornali indiani hanno già rivelato il nostro “ardito piano”?

Non è una novità purtroppo, siamo governati da dilettanti allo sbaraglio. Pensate che solo nelle ultime settimane per motivi incomprensibili il Ministero della Difesa ha cercato di non rendere note le caratteristiche della missione italiana in Kurdistan iracheno (che impegnerà anche forze speciali ed elicotteri), ha nascosto l’addestramento curato dai nostri incursori del 9° reggimento Col Moschin a militari somali e persino il comando italiano della Pattuglia Aerea Baltica della NATO in Lituania dove l’Aeronautica sta inviando 4 caccia Typhoon.

Molte di queste notizie sono state rivelate o anticipate da Analisi Difesa ma quello che dimostra l’estrema pochezza dei nostri governanti è il fatto che la loro visione del mondo si ferma al Grande Raccordo Anulare romano. Cercano di nascondere ai media italiani (troppo spesso compiacenti con i politici) notizie che il mondo intero conosce e così si coprono di ridicolo facendosi sorprendere da un giornale indiano che svela la “proposta oscena” dell’Italia per portare a casa i marò.

Il governo italiano è impegnato “in un clima di rispetto istituzionale” con quello indiano perché “possano tornare a casa tutti e due i marò ha aggiunto il premier ammettendo quindi che Roma continua a supplicare gli indiani rinunciando al più volte annunciato ricorso all’arbitrato internazionale suggerito dai nostri migliori giuristi .

Che dire poi del ministro degli Esteri  Paolo Gentiloni che in visita a Baghdad e Erbil in concomitanza con l’arrivo nel capoluogo curdo dei primi 34 consiglieri militari italiani (dei 200 che verranno schierati in Kurdistan più altri 80 a Baghdad)  ha specificato che per i nostri militari in Iraq «non saranno necessarie regole di ingaggio» perché non verranno coinvolti nei combattimenti.

Una bestialità perché le regole d’ingaggio le hanno persino i soldati impegnati nell’operazione “Strade Sicure” sul territorio nazionale e perché anche in Kurdistan i nostri soldati dovranno provvedere all’autodifesa se necessario e a proteggersi da azioni terroristiche e sempre possibili attacchi delle milizie dello Stato Islamico.

Il ministro Gentiloni vuole farci credere l’impossibile e cioè che il contingente in Iraq non ha ricevuto indicazioni circa l’uso delle armi?  Come può un governo inviare militari in zona di guerra senza regole d’ingaggio?
Come può un ministro che vuole esprimersi su questioni militari (che peraltro non gli competono)  non avere la più pallida idea di ciò di cui parla ?
Perdoniamoli perché non sanno quello che fanno e neppure quello che dicono.
Buon Natale a tutti.

Foto: Ansa, AGI, Lapresse, Andreja Restek APR

Gianandrea GaianiVedi tutti gli articoli

Giornalista bolognese, laureato in Storia Contemporanea, dal 1988 si occupa di analisi storico-strategiche, studio dei conflitti e reportage dai teatri di guerra. Dal 1991 al 2014 ha seguito sul campo i conflitti nei Balcani, Somalia, Iraq, Afghanistan, Sahara Occidentale, Mozambico e Sahel. Dal febbraio 2000 dirige Analisi Difesa. Ha collaborato o collabora con quotidiani e settimanali, università e istituti di formazione militari ed è opinionista per reti TV e radiofoniche. Ha scritto diversi libri tra cui "Iraq Afghanistan, guerre di pace italiane", “Immigrazione, la grande farsa umanitaria” e "L'ultima guerra contro l’Europa". Presso il Ministero dell’Interno ha ricoperto dal 2018 l’incarico di Consigliere per le politiche di sicurezza di due ministri e un sottosegretario.

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