Somalia: IS più forte, Mogadiscio usa bambini-spia

I jihadisti dello Stato Islamico (IS) stanno aumentando di numero in Somalia e stanno ricevendo sostegno finanziario e militare dal vicino Yemen. Lo ha detto un alto ufficiale dell’intelligence alla radio Voice of America in lingua somala, dopo che ieri l’Isis ha rivendicato il secondo attacco messo a segno in due settimane nel Paese del Corno d’Africa.

Secondo quanto riferito da Abdi Hassan Hussein, ex direttore dell’agenzia di intelligence del Puntland sostenuta dagli Stati Uniti, l’organizzazione somala dell’Isis contava tra 20 e 30 miliziani quando è nata, lo scorso ottobre, ma da allora ha allestito campi di addestramento e ha reclutato nuovi adepti, tanto da poter contare oggi su 100-150 combattenti. “Hanno formato le loro prime unità e hanno ricevuto forniture militari”.

Secondo Hussein, l’Isis avrebbe cominciato a sostenere il gruppo somalo attraverso i propri affiliati nello Yemen: “Hanno ricevuto forniture militari dallo Yemen: armi, uniformi; l’Isis ha inviato addestratori che hanno controllato le basi, e hanno iniziato a inviare aiuti finanziari.

I carichi di armi sono stati consegnati via mare dalla città di Mukallah, nell’Hadramouth, e sono arrivati sulla costa a febbraio e a marzo”.

“Le prove del sostegno economico sono chiaramente visibili nella zona, perchè stanno acquistando provviste, veicoli, bestiame, hanno investito portando acqua alla comunità vicina colpita dalla siccità”, ha raccontato l’ex direttore. L’organizzazione somala dell’Isis è guidata da un ex islamista degli Shebab, Abdikadir Mumin.

“Daesh (acronimo arabo di Isis) è più pericoloso degli Shebab – ha ammonito Hussein – è noto che portano maggiore distruzione. Che hanno più risorse.

E hanno maggiore impatto”. Una delle basi dell’Isis è sulla montagne Al Bari del Puntland, da dove vengono gestiti i rapporti con lo Yemen, e nei giorni scorsi l’esercito somalo ha dichiarato di aver distrutto un campo di addestramento Isis a circa 120 chilometri a Sud di Mogadiscio.

Ieri i miliziani hanno dichiarato di aver attaccato l’intelligence somala alle porte di Mogadiscio, mentre il 24 aprile scorso avevano attaccato un convoglio delle forze di pace africane (Amisom), sempre alle porte della capitale somala.

Un’inchiesta del Washington Post ha invece rivelato l’impiego di bambini come spie del governo somalo sulla base di decine di interviste a molti dei minori coinvolti e a funzionari dell’amministrazione di Mogadiscio e delle Nazioni Unite.

A sfruttare bimbi anche di soli 10 anni come piccoli agenti segreti è la National Intelligence and Security Agency (NISA), la più potente agenzia dei servizi somali, coadiuvata da consiglieri della CIA.

Venivano mandati nei quartieri-roccaforte dove si nascondono gli jiahdisti di al Shabab. Il loro compito quello di indicare alle forze Usa individui sulla lista dei ricercati e i loro rifugi.

Missioni molto pericolose in cui parecchi minori hanno perso la vita, sono stati uccisi. Il tutto – scrive il Wp – si configura come “una flagrante violazione della legge internazionale” da parte del governo somalo. E imbarazza anche l’amministrazione Obama che per anni ha finanziato e addestrato l’agenzia di intelligence somala attraverso la Cia.

In attesa di valutare quale peso potrà avere lo Stato Islamico in Somalia e se costituirà un problema più per i governativi o per gli Shabab, questi ultimi hanno registrato un incremento delle operazioni militari (dopo una stagione di continue sconfitte) con la conquista della cittadina di Runirgood, nella regione del Medio Scebeli, dove i jihadisti hanno ucciso 22 soldati governativi.

In quella stessa regione a inizio maggio un raid delle forze governative nell’area di Janale ha ucciso una dozzina di miliziani che secondo l’agenzia Mena, che cita fonti dell’esercito somalo, appartenevano allo Stato Islamico.

La scorsa settimana un attacco degli Shabab ha visto esplodere almeno 5 bombe di mortaio contro il quartier generale di Amisom, nella base di Halane, nei pressi dell’aeroporto di Mogadiscio, a conferma che i miliziani sono ancor ben presenti nei dintorni e all’interno della capitale.

Un problema, quello della sicurezza, con cui deva fare i conti anche la missione europea EUTM Somalia, guidata dall’Italia e con al comando il generale Maurizio Morena (nella foto a sinistra), paracadutista veterano di numerose missioni oltremare e terzo comandante italiano della missione.

“Il nostro ruolo è di addestrare parte delle forze armate somale e supportare, quali consiglieri, il loro Stato maggiore e il Ministero della difesa del governo riconosciuto  internazionalmente» ha spiegato Morena in una recente intervista.
“Siamo una missione di piccole dimensioni, circa 200 persone di 11 Stati membri della Ue  (Italia, Spagna, Germania, Svezia, Olanda , Ungheria, Portogallo, UK, Finlandia, Francia, Romania) più la Serbia, che fornisce il servizio medico. Gli italiani sono in netta maggioranza, circa 120 cioè il 60% della forza.

Con un team di circa 20 addestratori svolgiamo corsi specialistici, come quello di polizia militare o di amministrazione militare, per comandanti di compagnia o battaglione”.

Il ruolo guida dell’Italia nella missione militare addestrativa europea è confermato anche a livello politico dall’incarico di inviato speciale delle Ue all’ambasciatore Michele Cervone d’Urso.

Sul pino militare la fragile stabilità della Somalia resta affidata ai 20 mila militari africani di AMISOM, missione militare africana sostenuta dall’ONU e finanziata dall’Occidente presente in Somalia dal 2007 e costituita dai contingenti di Burundi, Uganda, Gibuti, Kenya ed Etiopia.

Una presenza non priva di ombre sia per le accuse di abusi e violenze sulla popolazione sia per i casi di corruzione che hanno riguardato alcun ufficiali del contingente del Kenya sospettati da Transparency International di aver facilitato il commercio illecito di zucchero e carbone in Somalia per un ricavato stimato tra 200 e 400 milioni di dollari che si presume abbia arricchito anche gli Shabab.

L’importanza della Somalia, in termini di posizione strategica e di risorse (dal petrolio all’uranio) sfruttabili una volta stabilizzato il Paese attira l’attenzione di molti Paesi.

Dalla Turchia che ha investito molti milioni di dollari e sta per realizzare una base militare in Somalia che ospiterà 1.500 militari ufficialmente col compito di istruttori, agli Stati Uniti la cui presenza a Mogadiscio è tangibile, ai britannici che hanno assunto iniziative diplomatiche di rilievo a sostegno di Mogadiscio fino a inviare una decina di militari, avanguardia di un gruppo di 70 uomini che avrà compiti di addestramento delle forze somale ma al di fuori della missione europea a guida italiana.

Londra intende far da sola, aggregando i suoi militari alla missione Amisom, nell’ambito di un rinnovato interesse di Londra per l’Africa Orientale che vedrà anche l’invio di 300 militari in Sud Sudan.

In un Paese che è ancora tra i tre più poveri del mondo (con Niger e Afghanistan) alla guerra si aggiunge la corruzione, piaga endemica in Africa, che non aiuta certo a stabilizzare i Paese.

Negli anni scorsi  centinaia di soldati somali hanno disertato unendosi agli Shabab perché da mesi non ricevevano lo stipendio di 100 dollari mensili mentre, a quanto denunciato da Transparency International, alcuni alti ufficiali avrebbero venduto sul mercato libero o direttamente ai guerriglieri Shabab le armi ricevute dalla comunità internazionale.

In vista delle elezioni che dovrebbero tenersi in agosto, almeno sui territori controllati dal governo, il Consiglio di sicurezza dell’Onu ha annunciato ieri che si recherà in visita in Somalia dal 17 al 21 maggio per sostenere il processo elettorale.

(con fonti ANSA, Askanews e Nuova Bussola Quotidiana)

Foto: Reuters, EUTM Somalia e Stato Islamico

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