ANKARA COME IL CAIRO: I MILITARI DIFENDONO LA LAICITÀ DELLO STATO

I militari turchi tornano nelle strade con i carri armati per la quarta volta negli ultimi 55 anni per garantire la stabilità e soprattutto la laicità dello Stato salvaguardando la Costituzione voluta da Kemal Ataturk che Recep Tayyp Erdogan punta a stravolgere completamente trasformando la Turchia in uno stato islamico retto dai principi della sharia.

Gli obiettivi dei golpisti, che non è chiaro quale percentuale delle forze armate rappresentassero realmente, si evincono dalle dichiarazioni rilasciate dal “Concilio di pace”, l’organismo costituito dai golpisti, che ha accusato il governo Erdogan di “aver eroso le basi democratiche e secolari del Paese”.

In uno dei primi proclami i militari golpisti hanno voluto rassicurare che la Turchia avrebbe tenuto fede alle alleanze di cui è membro e agli accordi internazionali che ha firmato: un tentativo di offrire garanzie all’Alleanza Atlantica e agli Stati Uniti, rimasti per molte ore a guardare gli eventi senza sbilanciarsi fino a quando è emerso chiaramente che Erdogan avrebbe vinto.

 

Anche molti reparti sono rimasti in attesa degli eventi senza difendere il governo né partecipare al golpe. La Marina ad esempio poco dopo mezzanotte ha preso le distanze dai golpisti ma senza assicurare il suo sostegno al governo.
Inoltre i golpisti non sono stati in grado di farsi appoggiare dalle opposizioni che pure subiscono il regime di Erdogan ma hanno tutte condannato il “pronunciamiento” militare.

Il fallito golpe ha comunque dimostrato che l’obiettivo di assumere il controllo delle forze armate perseguito negli ultimi anni dal partito islamista AKP guidato da Erdogan, e legato ideologicamente alla Fratellanza Musulmana, è fallito e ora il regime turco avrà l’opportunità di completare l’islamizzazione delle forze militari con nuove “purghe.

Neppure il ricambio dei vertici militari imposto con il carcere inflitto a diversi molti generali con l’accusa di cospirazione ha consentito a Erdogan di controllare pienamente le forze armate.

Il presidente le ha infatti sempre guardate con sospetto limitandone il ruolo nella crisi degli ultimi anni, dal conflitto siriano alla repressione della dissidenza interna, preferendo impiegare le forze di polizia e i servizi segreti posti ormai da tempo sotto il controllo di uomini fedelissimi ad Erdogan.

Non è un caso che le prime operazioni attuate dai golpisti in tutte le città dove hanno schierato truppe e mezzi fuori dalle caserme abbiano visto il disarmo dei poliziotti e l’attacco, a quanto pare anche con aerei ed elicotteri, alle sedi dei servizi segreti, esecutori delle ambigue trame che hanno visto negli ultimi anni la Turchia sostenere con armi e aiuti di ogni genere i movimenti jihadisti attivi in Siria, dalle milizie Salafite e dei Fratelli Musulmani a quelle qaediste del Fronte al- Nusra allo Stato Islamico.

Ambiguità mai digerite dai vertici militari che temevano la progressiva destabilizzazione del Paese e la recrudescenza del conflitto con i curdi del PKK, timori espressi in conversazioni non ufficiali da molti ufficiali turchi presenti nei comandi NATO fin dal 2011.

Se il golpe fosse riuscito la Turchia sarebbe divenuto il secondo Stato, dopo l’Egitto, in cui un governo islamista legato alla Fratellanza Musulmana veniva rovesciato dalle forze armate, che anche al Cairo hanno sempre rappresentato il baluardo della laicità dello Stato contro derive islamiste.

Il crollo del governo turco avrebbe rappresentato un grave smacco per il Qatar, grande alleato di Ankara e sponsor della Fratellanza Musulmana anche se ci vorrà tempo per comprendere se l’esito del golpe favorevole a Erdogan renda il suo regime più forte o lo veda comunque indebolito da quanto è accaduto.

@GianandreaGaian

Foto: Getty Images, AFP, AP e Reuters

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Giornalista bolognese, laureato in Storia Contemporanea, dal 1988 si occupa di analisi storico-strategiche, studio dei conflitti e reportage dai teatri di guerra. Dal 1991 al 2014 ha seguito sul campo i conflitti nei Balcani, Somalia, Iraq, Afghanistan, Sahara Occidentale, Mozambico e Sahel. Dal febbraio 2000 dirige Analisi Difesa. Ha collaborato o collabora con quotidiani e settimanali, università e istituti di formazione militari ed è opinionista per reti TV e radiofoniche. Ha scritto diversi libri tra cui "Iraq Afghanistan, guerre di pace italiane", “Immigrazione, la grande farsa umanitaria” e "L'ultima guerra contro l’Europa". Presso il Ministero dell’Interno ha ricoperto dal 2018 l’incarico di Consigliere per le politiche di sicurezza di due ministri e un sottosegretario.

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