Il caso “Diciotti 2” tra politica internazionale e ambiguità giuridiche

La gestione quotidiana del salvataggio (SAR) dei migranti riserva sempre nuove sorprese. Il quadro di situazione giuridico-diplomatico appare costantemente in movimento senza raggiungere mai un ordinato assetto governato da regole certe e condivise.

Libia e Malta hanno più volte cambiato negli ultimi tempi  il loro approccio. L’Italia appare caratterizzata da linee di frattura governative tra l’Interno ed i Trasporti per via del modus operandi adottato dalla nostra Guardia costiera nell’interpretare/applicare le norme vigenti che regolano la sua missione istituzionale.

E’ giunto inaspettato, in effetti, il recente rifiuto di Tripoli di essere il luogo sicuro di sbarco (POS) delle persone raccolte dall’Aquarius, dopo aver assunto a giugno piena titolarità delle prerogative SAR nella sua zona di responsabilità, e dopo aver accolto i migranti ivi salvati dal rimorchiatore Asso 28.

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Apparentemente, la Libia potrebbe aver fatto questa scelta-pur continuando a coordinare i soccorsi- come reazione alle polemiche internazionali sul mancato rispetto dei diritti umani. In realtà, si può anche immaginare che sia stata l’imbarcazione dell’Ong ad interpretare come un rifiuto le incerte comunicazioni con il centro di soccorso (IMRCC) tripolino.

Molto apprezzato è stato invece il ruolo di Valletta nell’ottenere il ricollocamento delle persone sbarcate provvisoriamente dallo stesso Aquarius, anche se si coglie una sottile astuzia nell’annunciare l’adesione dell’Italia, prima di un nostro comunicato, nonostante il rifiuto preannunciato dal Ministro Salvini.

Purtroppo, l’apertura di Malta si è rivelata di breve durata. Qualche ora dopo, Valletta ha infatti negato l’approdo al nostro Guardacoste “Diciotti” che aveva preso a bordo 177 migranti raccolti nella SAR maltese dopo che l’IMRCC di Roma aveva ricevuto una richiesta di soccorso. Come mai, in breve tempo, Malta è passata dall’accoglienza alla chiusura dei porti?

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La contraddizione è solo apparente. Nel caso dell’Aquarius, Valletta ha scelto di presentarsi come attore benevolo per rompere l’isolamento e trarre vantaggi a livello europeo. Diversa la posizione verso il Diciotti: il pattugliatore aveva effettuato il salvataggio nella SAR maltese; sicchè, autorizzarne l’ingresso, avrebbe messo in discussione radicate policy nazionali in materia di scelta del POS e di nozione di pericolo (distress) delle persone da salvare.

E’ nota la questione del POS che Malta, in barba alla regolamentazione Imo che privilegia le responsabilità del Paese titolare della SAR, considera il luogo più vicino a quello di salvataggio (nella gran parte dei casi Lampedusa).

Per il distress il problema sta nell’interpretare gli obblighi di soccorso in modo non stringente, lasciando proseguire la navigazione delle imbarcazioni che, per quanto insicure perché sovraccariche e non idonea alla navigazione, non appaiano in pericolo, a meno che non richiedano espressamente di essere soccorse.

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Questo è accaduto tante volte, quando i Maltesi si sono avvicinati alle barche dei migranti, hanno fornito viveri e combustibile, e hanno fatto continuare il viaggio.

L’Italia interpreta invece diversamente la normativa della Convenzione Amburgo 79 intervenendo comunque in soccorso a titolo precauzionale, anche se non si configuri una situazione in cui “vi sia una ragionevole certezza che un’imbarcazione sia minacciata da grave ed imminente pericolo e richieda immediata assistenza”.

Per comprendere la posizione italiana bisogna considerare sia il tradizionale nostro approccio umanitario, sia il fatto che il Codice della Navigazione prevede il reato di omissione di soccorso (e questo non c’è sicuramente nella legislazione maltese) con quel che ne consegue in termini di obbligo di prevedere un pericolo. La policy italiana del SAR è avvalorata da consolidati indirizzi giurisprudenziali che esprimono un alto grado di civiltà giuridica, ed è anche teorizzata in documenti governativi concertati a livello interministeriale come il Protocollo tecnico-operativo sulle procedure da adottare in mare in applicazione del Regolamento 303-2004 della “Fini-Bossi”.

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E’ chiaro a questo punto come la nostra Autorità nazionale di soccorso ex DPR 662/1994 sia la gelosa custode di tali principi che nessun altro Paese mediterraneo osserva con eguale diligenza e convinzione: essa, ricevuta una chiamata di soccorso o ritenendo che si configuri comunque una situazione di pericolo, interviene in SAR, anche in zone di competenza di altri Paesi, continuando la sua attività sino allo sbarco delle persone in un POS.

E’ evidente anche come il Corpo delle Capitanerie-Guardia Costiera, per quanto faccia parte della Marina, sia  una sorta di Autorità indipendente, soggetta soltanto all’imperio della legge. Insomma, un’entità non dissimile, almeno nei fatti, dai Carabinieri che godono tuttavia, secondo il D. Lgs. 297-2000, di una collocazione autonoma nella Difesa con il rango di Forza armata.

Non è passata inosservata, in proposito, la visita del Comandante generale del Corpo fatta autonomamente, per cortesia istituzionale, al Presidente della Camera.

Riflessi di questa collocazione ordinativa e del prestigio trasversale che ne consegue si colgono sia a livello istituzionale che politico-sociale, ed in particolare nel mondo cattolico. Non a caso il Presidente della repubblica non ha esitato ad intervenire personalmente per consentire l’approdo a Trapani del Diciotti lo scorso luglio, con a bordo i migranti salvati dalla “Vos Thalassa”.

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L’iniziativa adottata qualche giorno fa dalla Guardia costiera nella SAR maltese, non è dunque isolata ma è espressione di un consolidato modus operandi improntato a fede nella propria missione istituzionale, al di là di qualsiasi direttiva politica o ragion di Stato.

E’ per questo che ci saremmo aspettati da parte di Malta -che con la nostra Guardia costiera intrattiene da anni proficue relazioni sul piano operativo e che con l’Italia può vantare, nonostante tutto, rapporti privilegiati – maggiore cautela nei giudizi.

La Valletta si è invece lanciata in una reprimenda definendo del tutto ingiustificato l’intervento del Guardacoste italiano nella propria SAR.

Il rischio è, a questo punto, che la nostra Guardia Costiera divenga un pericoloso fattore di contrapposizione tra fazioni politiche e gruppi di opinione, oltre che un involontario player internazionale. Comprensibile perciò la preoccupazione che traspare nella recente interrogazione presentata, in materia, dall’onorevole Franco Gasparri.

Ma soprattutto, quanto mai opportuna l’iniziativa diplomatica del Ministro Moavero Milanesi per europeizzare il caso Diciotti, in modo non dissimile da quanto fatto da Malta per l’Aquarius, sì da privarlo della potenziale carica di destabilizzazione. Per il futuro, non c’è che da sperare che si rafforzi la coesione governativa, magari attribuendo alla Presidenza del consiglio il coordinamento delle attività SAR riguardanti i migranti.

Foto: Guardia Costiera, Next Quotidiano, Ansa, Getty Images

 

E' Ufficiale della Marina Militare in congedo, esperto di diritto internazionale marittimo. Membro del CeSMar, è autore di vari scritti in materia, tra cui "Glossario del Diritto del Mare" (Rivista Marittima, V ed., 2020) disponibile in http://www.marina.difesa.it/media-cultura/.

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