Ultima battaglia a Idlib: verso un nuovo blitz statunitense contro Assad?

La Russia ha accusato gli Stati Uniti di preparare un “falso attacco chimico” in Siria per giustificare un nuovo attacco contro le forze governative del regime di Damasco. L’ accusa è stata lanciata dal generale Igor Konashenkov, portavoce del ministero della Difesa russo, secondo il quale sono stati notati alcuni movimenti militari da parte delle forze statunitensi in Medio Oriente ed è stata ribadita dal vice ministro degli Esteri russo Sergei Ryabkov.

“Riteniamo che Jabhat al-Nusra, che attualmente si autodefinisce Hayat Tahrir al-Sham, stia per mettere in scena una provocazione molto grave nell’area Idlib utilizzando sostanze chimiche contenenti cloro, come già fatto in precedenza”, ha detto Ryabkov, citato da Interfax.

Il ministero della Difesa russo ha inoltre affermato che un gruppo di jihadisti, addestrati alla manipolazione di armi chimiche dai contractors della Private Military Company britannica Olive Group, è già arrivato a Jisr al-Shughur, nella “sacca di Idlib”. La PMC, con sede a Dubai, da un paio d’anni si è fusa col grippo statunitense Constellis incrementando commesse e fatturato.

 

Tornano i “finti” attacchi chimici?

Secondo Mosca i miliziani “metteranno in scena la decontaminazione delle vittime di un attacco di armi chimiche. L’attuazione di questa provocazione, condotta con l’assistenza dei servizi segreti britannici, è intesa come l’ultimo pretesto per gli Stati Uniti, la Gran Bretagna e la Francia per scatenare un attacco missilistico contro le strutture statali ed economiche in Siria”, ha detto il generale Konashenkov.

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Il cacciatorpediniere lanciamissili della Us Navy, Uss Ross (classe Arleigh Burke), è entrato nel Mediterraneo il 25 agosto armato dotato di missili da crociera Tomahawk mentre nel Golfo Persico il cacciatorpediniere The Sullivans, della stessa classe, sarebbe pronto per lanci missilistici analoghi. In aggiunta, secondo Mosca, sulla base qatarina di al-Udeid sono stati nuovamente schierati i bombardieri B-1B Lancer anch’essi impiegati nell’attacco missilistico dell’aprile scorso contro supposti “obiettivi legati alla produzione di armi chimiche” in Siria.

Va rilevato che la presenza di cacciatorpediniere classe Burke nel Golfo Persico e nel Mediterraneo, così come dei bombardieri Lancer in Qatar è da molti anni una consuetudine per le forze statunitensi anche se le preoccupazioni espresse da Mosca non possono venire sottovalutate per diverse ragioni.

La Russia ha rafforzato la flotta al largo delle coste della Siria (che comprenderebbe 8 navi e 2 sottomarini, come riporta il quotidiano russo Kommersant, citando una fonte “nell’ amministrazione militare”, il 25 agosto le fregate della Flotta del Mar Nero, “Ammiraglio Grigorovich” e “Ammiraglio Essen”, sono state inviate nel Mediterraneo. Entrambe le navi sono armate con missili da crociera Kalibr-Nk, Inoltre, ha aggiunto la fonte, dopo il precedente attacco della coalizione il 14 aprile, la Russia ha trasferito in Siria batterie del sistema missilistico antiaereo Tor-M2.

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Il 25 agosto Mosca aveva accusato i ribelli siriani di Hay’at Tahrir al-Sham, precedentemente noto come Fronte di Al-Nusra (già legato ad al-Qaeda) di preparare un attacco chimico nella provincia di Idlib per poter poi accusare il regime di Bashar al-Assad di essere il responsabile e usarlo come pretesto per un attacco delle potenze occidentali contro Damasco. In precedenza, il Consigliere per la sicurezza nazionale americano, John Bolton, aveva affermato che “se il regime siriano utilizzerà armi chimiche, risponderemo molto energicamente”.

Una minaccia riferita all’imminente offensiva per riconquistare Idlib, ultima sacca di resistenza dei ribelli jihadisti sostenuti direttamente o indirettamente in questi anni dall’Occidente, da Israele e dalla Turchia. Attualmente il territorio siriano è controllato per il 64% dall’Esercito Siriano e dai suoi alleati, per il 26,8% dalle milizie curde filo Usa (FDS) mentre le diverse milizie ribelli incluse quelle filo turche e i jihadisti dell’ex Fronte al-Nusra controllano il 7,35% del territorio e l’o Stato Islamico solo l’1,5%.

 

La vittoria di Assad

“I progressi fatti in Siria contro i terroristi, nonché il recupero delle infrastrutture colpite nel corso della guerra civile, consente a circa un milione di rifugiati di tornare nel loro paese d’ origine” ha detto il ministro della Difesa russo Sergei Shoigu. “Stiamo lavorando intensamente per recuperare le infrastrutture, le vie di trasporto, i ponti, in modo che la Siria inizi ad accogliere rifugiati”, ha detto Shoigu. Secondo il ministro, attualmente ci sono circa 1,5 milioni di rifugiati solo sul territorio della Giordania e del Libano.

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“Dal 2015, quando le città e villaggi hanno incominciato gradualmente ad essere liberati, più di un milione di persone sono tornate e ora abbiamo creato tutte le condizioni per il ritorno di circa 1 milione di rifugiati”, ha affermato Shoigu che ha invitato la comunità globale a partecipare alla ripresa sociale ed economica del paese.

Shoigu ha inoltre annunciato che le forze armate di Mosca sono in trattative con alcuni leader di gruppi armati presenti nella provincia settentrionale siriana di Idlib per giungere a un accordo.

Secondo l’agenzia di stampa russa Ria, l’obiettivo dei colloqui è quello di giungere a una soluzione pacifica simile ad alcuni accordi conclusi negli scorsi mesi nella Ghouta orientale e nella provincia meridionale di Deraa.La scorsa settimana, Abu Mohammed al-Golani, comandante del Comitato di Liberazione del Levante, un gruppo armato legato ad al-Qaeda e presente nella provincia di Idlib, ha fatto sapere che in quest’ area non avverranno accordi tra i ribelli e il regime di  Damasco.

La provincia di Idlib è controllata per il 60% da Hayat Tahrir al-Shaam, mentre il resto è diviso tra vari gruppi armati ribelli inclusi alcune migliaia di miliziani di gruppi armati ribelli evacuati negli scorsi mesi da altre aree della Siria liberate dalle truppe di Damasco.

 

Il precedente di Douma

I russi anticiparono già nel marzo scorso il rischio che i ribelli jihadisti (in quel caso la milizia filo-saudita di Jaysh al-Islam) con l’appoggio dell’intelligence della Coalizione a guida Usa costruissero un finto attacco chimico a Douma per giustificare un raid punitivo contro Assad come poi avvenne.

Allarme motisyria-chemical-attack-us-uk-france-military-action-russia-vladimir-putin-trump-may-douma-695031vato anche dal fatto che Assad non ha nessun ragione logica, politica o militare per impiegare armi chimiche.

Certo il raid anglo-franco-americano fu una sceneggiata, colpendo edifici e obiettivi vuoti dopo aver avvisato i russi circa i luoghi che sarebbero stati colpiti, ma un rapporto provvisorio dell’Organizzazione per la proibizione delle armi chimiche (Opac) ha annunciato il 6 luglio di non aver trovato la prova dell’utilizzo di gas nervino nell’attacco che secondo le milizie ribelli jihadiste filo-saudite sarebbe stato compiuto il 7-8 aprile scorso dalle truppe governative siriane nel sobborgo di Douma, nell’area di Ghouta Orientale.

Insomma, l’attacco coi gas nervini a Ghouta non ci sarebbe mai stato e del resto bastava osservare le immagini dei soccorritori in maniche di camicia e privi di protezioni adeguiate a operare in ambienti contaminati per capire che si trattava di pura propaganda.

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Il rapporto ammette che forse in quell’area potrebbe essere stato impiegato cloro che però non è un’arma chimica ma un prodotto chimico nocivo e anche potenzialmente letale ad elevate concentrazioni, impiegato nel conflitto siriano da diverse milizie oltre che dalle truppe regolari.

Definirlo un’arma chimica per giustificare un raid punitivo sarebbe ridicolo al pari delle pretese dei gruppi pacifisti occidentali e dei fans della resistenza sunnita irachena di accusare gli Usa di aver effettuato attacchi chimici per l’intenso uso delle granate illuminanti al fosforo bianco durante le battaglie di Fallujah, nel 2004.

L’ipotesi che Donald Trump (o la sua Amministrazione) possa alimentare nuovi finti attacchi chimici per giustificare un altro blitz (sarebbe il terzo contro la Siria da quando si è insediato alla Casa Bianca) sembra sostenuta anche da altri elementi.

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“Ne’ la Francia, ne’ nessun altro Paese deve indicare chi dovrebbe guidare la Siria”, tuttavia mantenere il al potere Bashar al-Assad sarebbe un “grave errore” ha detto ieri il presidente francese, Emamnuel Macron, parlando agli ambasciatori stranieri a Parigi. Macron ha spiegato la sua posizione ricordando che il presidente siriano è colpevole di atrocità contro il suo stesso popolo.

Inoltre Mrcron ha definito “allarmante” la situazione in Siria, dove il regime di Damasco “minaccia di provocare una crisi umanitaria a Idlib” e chiedendo di “rafforzare ulteriormente la pressione sul regime e sui suoi alleati” per una soluzione politica al conflitto ed evitare l’offensiva militare.

Il Presidente ha inoltre avvertito che la Francia risponderà militarmente a eventuali attacchi chimici condotti dal regime a Idlib. Avvertimenti in questo senso sono arrivati anche dalla Gran Bretagna.

 

Scenari complessi

Dietro il pretesto chimico si cela la volontà delle potenze occidentali di ostacolare l’intesa tra Russia, Turchia e Iran che stanno definendo ruoli e aree d’influenza prima che i militari di Assad, che stanno da tempo facendo affluire rinforzi nella zona, scatenino l’attacco a Idlib. Mosca e Ankara hanno rinsaldato i legami e ora più che mai, con la tensione con gli Usa alle stelle, Erdogan non può inimicarsi Vladimir Putin.

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Un’occasione propizia per la Russia per indurre la Turchia (che ha inviato rinforzi ai suoi reparti schierati a Tell Rifaat e Manbij, a nord di Aleppo) ad accettare che i governativi siriani riconquistino la provincia di Idlib, ultima grande area (circa il 6% del territorio siriano) in mano ai ribelli e da dove i jihadisti tentano di attaccare con piccoli droni armati di esplosivo la base russa di Hmeymin a Latakya. Attacchi che secondo Mosca non darebbero possibili senza il “supporto tecnico esterno”, cioè delle potenze occidentali.

I tempi dell’offensiva siriana non sono chiari ma probabilmente occorrerà attendere il vertice tra Iran, Russia e Turchia che il 7 settembre si terra a Teheran proprio per discutere del destino della provincia di Idlib.

Ankara (e l’Onu) teme tra l’altro che l’offensiva su Idlib possa causare la fuga forzata di circa 700mila civili verso i confini turchi. Lunedì Iran e Siria hanno annunciato di aver rafforzato la cooperazione militare in atto dagli anni ’80. L’agenzia governativa siriana Sana ha riferito dell’incontro delle ultime ore a Damasco tra il presidente siriano Bashar al Assad e il ministro della difesa iraniano Amir Hatami, rimasto per due giorni nella capitale siriana.

FILE - This Jan. 28, 2018 file photo, Turkish troops take control of Bursayah hill, which separates the Kurdish-held enclave of Afrin from the Turkey-controlled town of Azaz, Syria. Nearly a month into Turkey's offensive in the Syrian Kurdish enclave of Afrin, hundreds of thousands of Syrians are hiding from bombs and airstrikes in caves and basements, trapped while Turkish troops and their allies are bogged down in fierce ground battles against formidable opponents. (DHA-Depo Photos via AP, File)

L’ alto responsabile iraniano è giunto a Damasco mentre gli Stati Uniti e Israele chiedono da tempo il ritiro delle truppe iraniane e delle milizie filo-iraniane presenti in Siria da anni.

Nel quadro della guerra in Siria, l’Iran dal 2012 ha schierato consiglieri militari, truppe speciali e organizzato forze paramilitari a sostegno delle forze governative siriane osteggiate da gruppi armati delle opposizioni. Negli ultimi cinque anni, circa un migliaio di militari iraniani, tra cui alti ufficiali, sarebbero morti nel conflitto siriano.

La rafforzata intesa tra Damasco e Teheran e tra Mosca e Ankara crea o quindi le premesse ideali per un accordo che consenta alle truppe di Damasco con l’appoggio russo e iraniano di cancellare i ribelli da Idlib senza pregiudicare gli interessi turchi.

Uno scenario che vede tagliati fuori gli Stati Uniti e le due potenze europee che avrebbero quindi più di una ragione per creare un “diversivo chimico” che giustifichi raid punitivi con tutti in rischi del caso poiché non è detto che questa volta gli attacchi sarebbero solo dimostrativi né che i russi li consentano senza far intervenire il potente dispositivo di difesa aerea schierato in Siria.

 

Difese aeree Usa e incontri segreti

Ad innalzare le tensioni nella regione contribuisce anche la notizia che gli Stati Uniti starebbero installando un non meglio precisato sistema di difesa antiaereo nelle zone controllate dalle milizie curdo-arabe nel nord e nell’est della Siria (le Forze Democratiche Siriane -FDS).

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Lo hanno riferito ieri fonti locali, riprese da media turchi, che hanno anche diffuso le relative immagini. Fonti militari di Ankara hanno fatto sapere di seguire la situazione, senza confermare né smentire la notizia.

Secondo la ricostruzione, l’obiettivo americano sarebbe la creazione di una no-fly zone di fatto tra Manbij e Deir ez-Zor, per scoraggiare eventuali nuovi interventi militari turchi contro i curdi nel nord della Siria dopo quello ad Afrin

all’ inizio di quest’ anno, ma potrebbe avere anche l’obiettivo di scoraggiare azioni aeree russe o di Damasco nelle aree controllate dalle FDS affiancate da almeno 2mila militari americani. Le difese aeree, insieme a sistemi radar, sarebbe in fase di installazione a Kobane, a pochi chilometri dal confine con la Turchia, e nella base di al-Shaddadi nella provincia di Hassakah.

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Washington e Damasco sembra mantengano aperto un dialogo discreto, non solo attraverso Mosca. Una delegazione statunitense avrebbe incontrato due mesi fa per quattro ore Ali Mamluk, direttore dell’Ufficio per la Sicurezza Nazionale che coordina le 4 agenzie siriane d’intelligence (che nel gennaio scorso ebbe incontri anche a Roma).

Lo ha reso noto il quotidiano libanese al-Akhbar, vicino al movimento scita Hezbollah, alleato di Assad e dell’Iran e aveva lo scopo di negoziare il ritiro delle furze Usa da al-Tanf (area in mano ai ribelli siriani filo-occudentali ai confini giordani) in cambio di ritiro dalle forze iraniane che affisancano le truppe di Assad dal sud della Siria, nei pressi dei confini con Israele e Giordania.

Secondo lo stesso quotidiano, la riunione è stata facilitata da intermediari russi e degli Emirati Arabi Uniti. Alla riunione avrebbero partecipato altri esponenti dei servizi segreti e delle Forze armate siriani. Il Pentagono e il Dipartimento di Stato Usa non hanno per ora risposto alle domande poste sulla vicenda.

Foto: SANA, Douma Media Center, AFP,  Getty Images, US DoD e AP

 

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