Lo Stato Islamico si allarga in Congo nell’area devastata dall’Ebola

Con una serie di comunicati apparsi sui social media tra il 18 aprile e il 5 giugno, lo Stato Islamico ha proclamato per la prima volta l’esistenza di una nuova provincia – la Waylat Central Africa o Islamic State Central Africa Province (ISCAP) – quale emanazione del proprio Califfato in Africa Centrale. Collocandola, precisamente, nel nord-est della Repubblica Democratica del Congo (RDC), dove la provincia congolese del Nord Kivu confina con l’Uganda.

Nella stessa regione imperversa dallo scorso agosto un’epidemia di febbre emorragica da virus Ebola, che ad oggi conta 1.357 morti accertati il cui contenimento è stato finora ostacolato dall’escalation militare che vede contrapposto l’esercito congolese a una moltitudine di bande armate e milizie etniche. Dall’esordio del focolaio oltre mille attacchi sono stati portati ai villaggi e alle infrastrutture sanitarie dei centri di controllo per Ebola, culminati in aprile nell’omicidio di un’infermiera e un medico.

 

Scontri etnici e jihad

Le violenze sono state attribuite alle milizie Mai-Mai e, soprattutto, al gruppo ugandese d’ispirazione salafita Allied Democratic Forces (ADF). I più recenti episodi sono avvenuti nelle scorse settimane a Kamango, Bovata, Ngite, Beni e Butembo, causando la morte sotto i colpi di arma da fuoco e machete di 14 civili e cinque soldati, e ferendone molti altri.

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Secondo il resoconto di testimoni e autorità locali, i responsabili di questi atti sarebbero i ribelli delle ADF. Inaspettatamente però, attraverso una serie di messaggi postati su Twitter, Telegram e altre piattaforme digitali dall’agenzia Amaq e dal bollettino Al-Furqan – due organi di propaganda del Califfato – è stato lo Stato Islamico a rivendicare la paternità degli attacchi come inizio del processo di liberazione dell’ISCAP dagli infedeli.

L’idea che la bandiera nera del Califfato possa sventolare sullo sfondo dell’epidemia di un virus letale come Ebola è quanto di meno auspicabile e difficilmente immaginabile anche nel più drammatico degli scenari.

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Del resto, lo Stato Islamico non è nuovo a spontanei tentativi di apposizione in franchising del proprio marchio sulle altrui gesta, e ad oggi nessuno dei leader storici delle ADF ha annunciato l’affiliazione al Califfato.

Tuttavia, se il sodalizio con le ADF venisse confermato da fonti indipendenti, alla già pericolosa sovrapposizione tra una conclamata crisi securitaria regionale e un’emergenza sanitaria di portata potenzialmente globale, si aggiungerebbe l’ancor più preoccupante endorsement da parte della holding islamista di quelle istanze politiche che, presumibilmente, avevano finora motivato le azioni dell’insorgenza antigovernativa nei confronti delle operazioni di contenimento dell’epidemia di Ebola.

 

La penetrazione islamista

Non solo, è lecito aspettarsi che lo Stato Islamico possa individuare nel personale sanitario impiegato dei soft target per una nuova strategia del terrore. Sul fatto che l’agenda politica delle ADF stesse virando verso la causa jihadista, se non addirittura che il gruppo caldeggiasse un’affiliazione al Califfato, esistevano alcuni segni premonitori.

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Secondo un rapporto redatto dal Congo Research Group del Centre of International Cooperation presso la New York University e dalla Bridgeway Foundation, l’analisi di video postati in rete da esponenti dell’ADF rivelerebbe una nuova e marcata retorica di stampo islamista nei linguaggi e nei contenuti, accompagnata dallo sfoggio di una bandiera nera recante la denominazione Medina at Tauheed Wau Mujahedeen (MTM, letteralmente, città del monoteismo e dei combattenti del jihad).

Connessioni tra le ADF e i network dell’estremismo islamico sono emerse inoltre in seguito agli arresti nello scorso anno di due mediatori finanziari in Kenya e di una cellula di terroristi ugandesi in Tanzania, e il riscontro di legami tra Stato Islamico e le ADF sarebbe stato persino all’origine della chiusura temporanea dell’ambasciata americana di Kinshasa nello scorso novembre, per un non meglio precisato rischio terroristico.

Al momento, non è dato di conoscere se l’allineamento allo Stato Islamico coinvolga le ADF nella loro unitarietà o piuttosto solo alcune fazioni di esse.

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Peraltro, alle ADF viene genericamente attribuito ogni attacco sebbene a perpetrare razzie e violenze nella regione vi sia di fatto una variegata galassia di gruppi armati. D’altro canto, lo spettro del terrorismo islamico rappresenta un’opportunità per il governo di Kinshasa di rafforzare la propria posizione politica nei confronti degli oppositori radicatisi nella provincia del Nord Kivu.

Allo stesso modo, non sono chiare le dinamiche degli attacchi condotti a danno dei centri di controllo dell’epidemia. Infatti, secondo le dichiarazioni rese dal coordinatore delle Nazioni Unite per la risposta all’emergenza Ebola David Gressly, riportate in un recente articolo pubblicato dall’agenzia NPR, all’origine delle violenze non vi sarebbero più solamente l’isteria e la sfiducia di chi vive nelle zone colpite dal virus rispetto all’intervento sanitario messo in campo.

Bensì, dietro ai più recenti attentati si celerebbero gli interessi politici ed economici di figure locali in contrasto con il governo centrale e colluse con le milizie.

 

Ebola: difficile contenimento

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Quel che è certo è che l’epidemia di Ebola rappresenta di per sé un grande affare per il volume di risorse economiche che ha spostato nella regione mentre l’epidemia ha già sconfinato dalla Repubblica congolese con i primi tre casi trans-frontalieri registrati in Uganda.

Quali che siano i mandanti, gli sponsor o i beneficiari degli attacchi, il risultato netto è che il suo contenimento richiederà ancora molto tempo.

Il declino nell’efficacia della risposta sanitaria ha determinato infatti l’aumento del numero di casi infetti, che supera oggi le duemila unità nonostante la campagna di vaccinazione abbia immunizzato oltre centomila persone. Secondo quanto dichiarato alla BBC dal Dr. Michael Ryan, direttore esecutivo presso la World Health Organization, dobbiamo abituarci all’idea che simili calamità abbiano un lungo decorso.

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Il mondo sta entrando in una nuova fase in cui epidemie di vaste proporzioni rappresenteranno un fenomeno usuale.

Per questo motivo e per la convergenza di fattori quali il cambiamento climatico, la deforestazione, i movimenti migratori di massa e situazioni di conflitto armato o instabilità politica, le malattie infettive avranno un impatto sempre maggiore sulla sicurezza con inevitabili ripercussioni su scala globale.

Per gli addetti alla Difesa e alla Sicurezza Nazionale dei singoli paesi, tali previsioni dovrebbero risuonare come monito.

Fonti: Al Jazeera, Associated Press, BBC, Congo Research Group, DefenceWeb, Nature, NPR, The Defense Post, The New England Journal of Medicine, The New York Times, Reuters, The World Health Organization Ebola Situation Report.

Foto: Voa news, Quartz, AFP e BBC

 

Laurea con lode in Scienze Biologiche all'Università di Cagliari, dottorato di ricerca in Microbiologia medica e Immunologia alla Facoltà di Medicina dell'Università di Roma Tor Vergata, è ricercatore presso il Max Planck Institute of Biochemistry di Monaco di Baviera. Da oltre dieci anni svolge ricerche sulla biologia molecolare e strutturale dei virus Ebola e Marburg, per cui ha ricevuto premi e riconoscimenti internazionali. E' autore di diverse pubblicazioni scientifiche sui meccanismi di replicazione e inibizione della risposta immunitaria di questi virus e sullo sviluppo di agenti antivirali atti a contrastarli.

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