Restare in Iraq a dispetto degli iracheni?

Il 5 gennaio parlamento iracheno ha votato all’unanimità la risoluzione che chiede il ritiro delle forze straniere dal territorio nazionale.  Il fatto che alla votazione abbia preso parte solo poco più della metà dei parlamentari, peraltro quelli di fede sciita, e che la decisione del parlamento non sia di per sé formalmente vincolante (richiedendo poi che il governo compia i necessari passi diplomatici verso USA e NATO) è decisamente poco rilevante. È, invece, il segnale politico che conta.

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Dal 5 gennaio i soldati della Coalizione anti-ISIS (operazione “Inherent Resolve”)  e della NATO (NATO Training Mission Iraq) non sono più  benvenuti e, ove restassero in Iraq, sarebbero di fatto considerabili quali “forze d’occupazione”, con tutto ciò che questo comporta per la loro sicurezza, per la loro legittimità internazionale (della quale gli USA possono fregarsene ma non  molti alleati europei, Germania ed Italia in primis) e, non ultimo,  per la stessa possibilità di assolvere al proprio mandato .

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La risoluzione teoricamente si riferisce a tutte le forze militari non irachene, ma in pratica riguarda solo le forze militari della coalizione anti-ISIS (a guida USA) e della NATO (anch’essa in Iraq praticamente a guida USA).

Secondo al-Jazeera, il maggior generale Abdul Karim Khalaf (portavoce del primo ministro Adel Abdul Mahdi) avrebbe dichiarato che “le attività della coalizione internazionale in Iraq saranno limitate a consultazioni, agli armamenti e all’addestramento del personale militare, le truppe lasceranno l’Iraq” e che “il governo iracheno ha limitato gli spostamenti di terra e aerei delle forze della coalizione internazionale e non permetterà loro di riposizionarsi da nessuna parte”.

Trump, indignato, ha minacciato ritorsioni severissime in caso di messa in atto di questa decisione e ha dichiarato che le truppe USA non lasceranno l’Iraq fino a quando Baghdad non rimborserà le spese per la base aerea costruita dagli americani.

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Ciò stride con il compito dichiarato di “Inherent Resolve “(“Operation Inherent Resolve” defeats ISIS in designated areas of Iraq and Syria and sets conditions for follow-on operations to increase regional stability) . Compito che sembrerebbe implicare che la Coalizione operi in Iraq “in accordo” con la locale Autorità Governativa. Inoltre, formalmente, “Inherent Resolve” è in Iraq in risposta a specifica richiesta presentata il 20 settembre 2014 dallIraq al Consiglio di Sicurezza ONU.

Certe sottigliezze potrebbero apparire poco rilevanti, ma hanno implicazioni che vanno al di là sia dell’aspetto lessicale sia di quello del “diritto internazionale”. Il problema invece diventa anche politico, militare ed economico.

Ammesso anche che con la pistola di Washington metaforicamente puntata alla testa Abdul-Mahdi non dia seguito alla risoluzione parlamentare, il contesto operativo per i militari alleati si farebbe pesante e pericoloso.

Si tratterebbe in quel caso di fronteggiare sia eventuali rigurgiti del terrorismo islamico sunnita sia formazioni sciite filo iraniane (ovvero quelle stesse che erano state essenziali per combattere l’ISIS). Uno scenario molto complesso ove sicuramente non si potrebbe operare con poche migliaia di soldati, come oggi, ma ne servirebbero oltre centomila.

Uno scenario non accettabile per l’Italia così come per altri paesi europei, quali la Germania.

L’Italia è oggi presente in Iraq in tre forme diverse:

  • Operazione “Inherent Resolve” (noi la chiamiamo “”Prima Parthica”), una “coalizione di volenterosi” a guida USA che attualmente annovera tra i partecipanti 79 Paesi e 5 Organizzazioni Internazionali, tra cui NATO ed UE, dove noi siamo presenti con circa 900 uomini, dislocati a Baghdad, Erbil e nel Kuwait. Il nostro è numericamente il secondo contingente della Coalizione, ma non è impiegato direttamente in attività di counter-terrorism, essendo dedicato ad attività di Mentoring Training ed Assisting a favore alle Forze Armate e dalle Forze di Polizia irachene e dei i Peshmerga curdi. Inoltre supporta le operazioni della coalizione con attività di ricognizione e sorveglianza a mezzo droni e attività di rifornimento in volo
  • NATO Mission Iraq: che fornisce contributo alle FA irachene nelle attività di Train, Advice &Assist (12 italiani)
  • European Assistant Mission (EUAM) Iraq, finalizzata a offrire assistenza sull’implementazione degli aspetti civili nell’ambito del “Programma di Riforma del Settore della Sicurezza” (2 italiani).

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Di fatto, il nostro contributo è tutto in ambito coalizione anti-ISIS a guida USA. Stante la situazione e in mancanza di una radicale e possibilmente genuina inversione di rotta da parte di Baghdad appare necessario prendere atto delle mutate condizioni e ritirare il nostro contingente da “Inherent Resolve” che a questo punto cambierebbe radicalmente natura.

Sarebbe auspicabile che l’Italia ritiri i propri assetti in autonomia anche se questo comportasse qualche frizione con gli USA dal momento che la presenza statunitense in Iraq ha ormai più lo scopo di contrastare l’influenza iraniana (e russa) nella regione che di stabilizzare l’Iraq annientando quanto resta dell’Isis.

L’Italia deve fronteggiare oggi rischi geopolitici ben più vicini e più imminenti quali la Libia e l’espansionismo turco nel Mediterraneo.

Restare in Iraq nel momento in cui gli USA assumono  un atteggiamento conflittuale nei confronti del regime di Teheran, impone invece di adottare le necessarie misure per incrementare la sicurezza dei nostri militari in Iraq ma anche di quelli schierati in Sud Libano (UNIFIL) e a Beirut (Missione Militare Bilaterale Italiana in Libano -MIBIL), dove le milizie filo-iraniane Hezbollah sono molto forti. Oppure a Herat (Operazione NATO Resolute Support), area ad importane presenza sciita e sotto diretta influenza iraniana.

Foto Difesa.it

 

Antonio Li GobbiVedi tutti gli articoli

Nato nel '54 a Milano da una famiglia di tradizioni militari, entra nel '69 alla "Nunziatella" a Napoli. Ufficiale del genio guastatori ha partecipato a missioni ONU in Siria e Israele e NATO in Bosnia, Kosovo e Afghanistan, in veste di sottocapo di Stato Maggiore Operativo di ISAF a Kabul. E' stato Capo Reparto Operazioni del Comando Operativo di Vertice Interforze (COI) e, in ambito NATO, Capo J3 (operazioni interforze) del Centro Operativo di SHAPE e Direttore delle Operazioni presso lo Stato Maggiore Internazionale della NATO a Bruxelles. Ha frequentato il Royal Military College of Science britannico e si è laureato con lode in Scienze Internazionali e Diplomatiche a Trieste.

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