L’Italia nel Mar Cinese tra presenza militare, diritto internazionale e diplomazia navale

 

 

Lo scorso 7 aprile è iniziata la crociera addestrativa del Pattugliatore Polivalente d’Altura (PPA) Francesco Morosini (P431) che nei prossimi quattro mesi solcherà il Mar Cinese Meridionale (SCS) ove Pechino avanza pretese egemoniche contestate da Filippine, Malesia, Giappone, Taiwan e Vietnam. L’Unità giungerà sino a Yokosuka in Giappone dove si trova la base della Settimana Flotta statunitense, facendo anche scalo, tra l’altro, nei porti di Ho Chi Min City (Vietnam), Bangkok (Thailandia), Langkawi (Malesia), Mumbai (India), Muscat (Oman) e Karachi (Pakistan).

La Forza armata potrà così sviluppare sinergie addestrative con Marine di Paesi amici nonché membri del G7, quali Giappone, Regno Unito, Stati Uniti. Questi nostri alleati, come anche la Francia, la Germania e l’Australia, sono impegnati da tempo nell’area per affermare il principio della libertà di navigazione il quale  è limitato da pretese marittime della Cina  che una Corte arbitrale, nel 2016, ha dichiarato illegittime.

La disputa – che oppone la Cina a Brunei, Filippine, Malesia, Giappone, Taiwan e Vietnam – riguarda varie rivendicazioni su materie come pesca, ricerca scientifica, risorse energetiche attinenti il possesso delle Isole Paracels e Spratly del SCS. La Corte arbitrale costituita su richiesta delle Filippine ha tra l’altro deciso, al termine di un procedimento cui la Cina non ha voluto prender parte, che:

1) i diritti reclamati da Pechino nell’area della cosìddetta Nine Dash Line (Linea dei Nove Tratti) esulano dall’ordinario regime della Convenzione del diritto del mare (Unclos) e dovrebbero perciò trovare fondamento in consolidati titoli storici che la Cina non è tuttavia in grado di dimostrare;

2) le formazioni come gli scogli disabitati o emergenti a bassa marea non possono, secondo l’Unclos, generare spazi marittimi né di acque territoriali né di zona economica esclusiva (ZEE) anche se essi siano state costruite installazioni fisse;

3) il ricorso a manovre pericolose da parte di unità navali cinesi impegnate in attività di law enforcemente non trova fondamento nel diritto internazionale.

Al di là delle questioni decise per via giudiziaria nel 2016, gli Stati Uniti contestano ulteriori rivendicazioni cinesi non conformi all’Unclos attinenti lo spostamento verso il largo delle acque territoriali con linee di base illegittime, la giurisdizione territoriale attorno ad isole artificiali, la richiesta di preventiva notifica del transito di navi militari nelle acque territoriali.

L’Unione Europea ha adottato una sua strategia per l’Indo-pacifico nel cui ambito si sostiene la piena applicabilità dell’Unclos nella soluzione dei contenziosi.  Ancor più decisa è la posizione del G7 che  da anni adotta una posizione basata sul principio del “Free and Open Indo-Pacific” (FOIP). Non a caso nel comunicato dei ministri degli esteri del prossimo G7 che si terrà in Giappone si afferma con forza che «Le pretese espansionistiche marittime della Cina non hanno base legale» e sono perciò contrastate dai Paesi membri del G7.

Il contrasto delle rivendicazioni cinesi è in effetti una realtà oramai affermata. Gli Stati Uniti lo fanno da anni nell’ambito del Freedom of navigation Program (FON).

Ma anche la Gran Bretagna conduce simili operazioni (FONOP) e così  Francia e Germania che le hanno svolte nel 2021: non a caso esse avevano in precedenza firmato una dichiarazione congiunta di condanna delle pretese cinesi. Per non dire di Giappone ed Australia che sono attivamente impegnate a condurre proteste in mare.

Varie sono le forme di FONOP che possono essere attuate. Sostanzialmente si va dal transito inoffensivo senza preavviso in acque territoriali al passaggio in prossimità di scogli che la Cina ha trasformato in isole artificiali con spazi di sovranità territoriale; oppure al transito in acque territoriali artatamente spostate verso il largo con linee di base non conformi all’Unclos. In ogni caso esse sono decise nella gran parte a livello governativo o caso per caso, o in via preventiva come avviene col FON statunitense.

In questo contesto si inserisce la missione che le Unità italiane dovrebbero svolgere, stando alle previsioni. Non sappiamo quale potrebbe essere il modus operandi loro assegnato, ma è evidente che sarebbe necessaria una decisione politica non dissimile da quella assunta dai partner occidentali.

Esempio di FONOP con transito inoffensivo di nave militare  senza preavviso  (Fonte: Us DoS)

Magari tenendo conto del fatto che l’Italia ha già assunto una posizione ufficiale nel 1984 in occasione dell’adesione all’Unclos depositando alle Nazioni Unite una dichiarazione secondo cui «Nessuna delle disposizioni della Convenzione, che corrispondono in questa materia al diritto consuetudinario internazionale, può essere considerata come autorizzante lo Stato costiero a far dipendere il passaggio inoffensivo di particolari categorie di navi straniere dalla preventiva notifica o consenso».

 L’Italia giunge ben ultima nell’Indo-Pacifico tra l’altro nel momento in cui, a breve, si dovrà decidere se rinnovare o meno il Memorandum sulla via della seta del 2019. Al di là di quali saranno i nostri rapporti futuri con la Cina, la presenza del nostro Paese in Estremo Oriente segna un cambio di passo diplomatico caratterizzato da matura consapevolezza degli interessi nazionali e delle responsabilità che si richiedono ad un Paese membro del G7.

Foto: Marina Militare e US DoD

 

 

E' Ufficiale della Marina Militare in congedo, esperto di diritto internazionale marittimo. Membro del CeSMar, è autore di vari scritti in materia, tra cui "Glossario del Diritto del Mare" (Rivista Marittima, V ed., 2020) disponibile in http://www.marina.difesa.it/media-cultura/.

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