Il punto sulle minacce alla sicurezza di Taiwan

  

da Taipei,

NB:  Il presente articolo, per continuità di descrizione, è il seguito di quello pubblicato da Anailsi Difesa il 7 marzo 2023: “Taiwan: con la guerra all’orizzonte”.

 

“Taiwan fa parte del sacro territorio della Repubblica Popolare di Cina. È sacro dovere di tutto il popolo cinese, compresi i nostri connazionali a Taiwan, realizzare la grande riunificazione della madrepatria”

(Constitution of the People’s Republic of China – Preamble, November 20, 2019).

 

Taiwan nel corso della storia

Nel corso della storia nessun gruppo etnico (aborigeno, cinese Han) e Nazione (Olanda, Portogallo o Spagna) ha controllato l’intera Taiwan fino a quando i Giapponesi non la occuparono nel 1895 dopo la vittoria nella Prima Guerra sino-giapponese (trattato di Shimonoseki del 17 aprile 1895) e soggiogarono gli ultimi aborigeni indipendenti dell’isola tre decenni dopo.

Prima del Giappone, la dinastia Qing dell’antica Cina dichiarò Formosa (nome storico dell’Isola) una sua provincia, ma esercitò la giurisdizione solo sulla metà occidentale dell’isola, mentre varie tribù aborigene controllavano quella orientale.

Il Partito Comunista Cinese (PCC) prima della Seconda Guerra Mondiale considerava  i Taiwanesi una nazionalità distinta e il loro movimento indipendentista anti-giapponese una rivoluzione separata dalla propria (F. S. T. Hsiao and L. R. Sullivan, The Chinese Communist Party and the Status of Taiwan, 1928-1943, University of British Columbia, 2020).

Nel 1952, il Giappone rinunciò formalmente alle sue pretese su Formosa e firmò un trattato che cedeva Taiwan e le isole Pescadores alla Repubblica di Cina (ROC), nome ufficiale di Taiwan (Treaty of Peace between the Republic of China and Japan Signed at Taipei, 28 April 1952).

Decenni dopo, Mao Zedong considerava ancora Taiwan una questione secondaria: “È meglio che (Taiwan) sia nelle vostre mani“, disse a Henry Kissinger nel 1975, “Se me la rimandaste indietro ora, non la rivorrei, perché non è desiderabile. Lì c’è un’enorme massa di controrivoluzionari” (Office of the Historian, Memorandum of Conversation, Foreign Relations of the United States, 1969–1976, Volume XVIII, China, 1973–1976, Beijing, October 21, 1975).

Gli Stati Uniti, che avevano sostenuto il Kuomintang (KMT) nella guerra civile cinese, dopo il ritiro nel 1949 del Generalissimo Chiang Kai-shek a Taiwan persero interesse verso l’Isola.

Washington ritornò ben presto sulle proprie valutazioni allo scoppio della Guerra di Corea (25 giugno 1950), quando la Corea del Nord invase la Corea del Sud con l’approvazione sovietica e il sostegno cinese, considerando Formosa (e le sue isole minori) l’avamposto occidentale contro la temuta espansione del comunismo in Asia, salvando forse Taiwan da un’invasione del PCC.

Solo qualche mese prima, il 12 gennaio 1950, il Segretario di Stato Dean G. Acheson, in un controverso discorso tenuto al National Press Club (Washington D.C.) ed intitolato “Crisi in Asia”, aveva definito il “perimetro difensivo” americano nel Pacifico, volto a scoraggiare la “comunistizzazione” dell’Asia Orientale, secondo una linea che si estendeva dalle Isole Aleutine al Giappone, alle Ryukyu sino alle Filippine (Dean Acheson, Speech on the Far East, January 12, 1950), escludendo da questa “garanzia di protezione” la Corea del Sud, l’Indocina (francese) e Taiwan (alcuni storici attribuiscono a tale dichiarazione i presupposti che hanno contribuito all’invasione della Corea del Sud da parte del dittatore della Corea del Nord, Kim Il Sung).

 Taiwan è divenuta un “interesse fondamentale” (core interest) per Pechino a partire dagli anni ’80 (E. Friedman, China’s Changing Taiwan Policy, American Association of Chinese Studies, October 2007).

  

La Provincia Ribelle

Taiwan è sempre più al centro delle dinamiche geopolitiche internazionali per il crescente atteggiamento aggressivo della Repubblica Popolare di Cina (RPC) nei confronti di questa piccola e democratica Nazione insulare dell’Asia Orientale, considerata da Pechino una “provincia ribelle” e parte “inalienabile” del suo territorio da riunire anche con la forza, se necessario.

L’obiettivo di Pechino, sin dalla normalizzazione dei rapporti diplomatici con gli Stati Uniti nel 1979, è stato quello di ricercare la riunificazione con Taiwan (e delle isole sotto il suo controllo) in un momento imprecisato del futuro.

Un intendimento del governo comunista sin da quando Mao Zedong nel 1949 ha prevalso nella lunga guerra civile (1927 – 1949) costringendo il Generalissimo Chiang Kai-shek a ritirarsi con le sue truppe e oltre un milione di civili sull’sola di Formosa.

Tale interesse ha avuto un’accelerazione a partire dal 2013, sia nelle dichiarazioni ufficiali sia nella condotta di azioni intimidatorie di varia natura, da quando Xi Jinping è diventato Segretario Generale del Comitato Centrale del Partito Comunista Cinese (15 novembre 2012) e Presidente della Repubblica Popolare di Cina (14 marzo 2013): un leader considerato più energico, nazionalista e focalizzato sulla sicurezza.

In occasione del 130° anniversario (2023) della nascita di Mao Zedong (26 dicembre 1893), Xi Jinping aveva dichiarato che “Realizzare la completa riunificazione della Cina è conforme alla tendenza dei tempi e alla volontà del popolo cinese, nonché agli interessi generali della nazione cinese. La Cina deve essere e sarà sicuramente riunificata. È essenziale attuare la politica generale del Partito per risolvere la questione di Taiwan nella nuova era, aderire al principio di una sola Cina e al consenso del 1992, far progredire lo sviluppo integrato in tutti i campi attraverso lo Stretto di Taiwan, promuovere lo sviluppo pacifico delle relazioni tra le due sponde dello Stretto e impedire a chiunque di separare Taiwan dalla Cina in qualsiasi forma” (Symposium held to commemorate 130th anniversary of Comrade Mao Zedong’s birth, Xi delivers important speech – Xinhua 2023-12-27).

Nel suo tradizionale discorso di fine anno 2024 Xi Jinping si era rivolto alla Nazione assicurando che “Attueremo con fermezza la politica un Paese, due Sistemi per mantenere la prosperità e la stabilità a lungo termine a Hong Kong e Macao. Noi Cinesi su entrambe le sponde dello Stretto di Taiwan apparteniamo ad una stessa famiglia. Nessuno potrà mai recidere il legame di parentela che ci unisce e nessuno potrà mai fermare la riunificazione della Cina, una tendenza dei tempi.” (Ministry of Foreign Affairs – The People’s Republic of China, Full text of President Xi Jinping’s 2025 New Year message, December 31, 2024).

La stessa affermazione era stata pronunciata il 30 settembre 2024, in occasione del 75° anniversario della fondazione della Repubblica Popolare Cinese, quando Xi Jinping aveva ribadito che “[…] Taiwan è il territorio sacro della Cina. Il sangue scorre più denso dell’acqua e i compagni Cinesi su entrambe le sponde dello Stretto di Taiwan sono una famiglia legata dal sangue. È imperativo rimanere fedeli al principio di una sola Cina e al Consenso del 1992, approfondire gli scambi e la cooperazione economica e culturale tra le due sponde dello Stretto di Taiwan, creare legami più stretti tra le persone di entrambe le sponde e opporsi con forza alle attività separatiste “indipendentiste di Taiwan”.

“La realizzazione della completa riunificazione della Cina è una tendenza popolare in crescita. È l’interesse nazionale più grande ed è ciò che il popolo desidera. La ruota della storia non sarà fermata da nessun individuo o da nessuna forza.” (Ministry of Foreign Affairs – The People’s Republic of China, A Reception to Celebrate the 75th Anniversary of the Founding of the People’s Republic of China Grandly Held in Beijing Xi Jinping Delivers an Important Speech, September 30, 2024).

Una ferma e decisa posizione – che non lascia spazio a fraintendimenti – ribadita in precedenza nel corso dell’incontro con il Presidente degli Stati Uniti Joe Biden, avvenuto a margine del Summit APEC (Asia Pacific Economic Cooperation), tenutosi a San Francisco il 15 novembre 2023, per cercare di favorire una distensione tra i due Paesi e poter affrontare con maggiore serenità le rispettive situazioni interne e le ripercussioni dei conflitti in Ucraina e nel Medio Oriente sui relativi obiettivi di politica estera.

In quella circostanza, Xi Jinping aveva precisato (ancora una volta) la posizione di principio della Cina sulla questione di Taiwan, evidenziando che tale questione rimaneva la più importante e delicata nelle relazioni tra Cina e Stati Uniti. Egli aveva invitato pertanto gli USA ad intraprendere azioni concrete per onorare il loro impegno a non sostenere “l’indipendenza di Taiwan”, a smettere di armare Taipei e ad assecondare la riunificazione pacifica della Cina. “La Cina realizzerà la riunificazione e questo è inarrestabile”, aveva sottolineato Xi (Xi, Biden talk on strategic issues critical to China-U.S. relations, world – Xinhua 2023-11-16).

La Cina “non scenderà mai a compromessi o non farà mai marcia indietro sulla questione di Taiwan“: è quanto ha affermato la delegazione militare di Pechino alla controparte Usa nei colloqui avuti al Pentagono l’8 e 9 gennaio 2024, durante la prima visita a Washington del suo genere in quattro anni.

 

L’ossessione di Pechino

L’isola costituisce l’ultima porzione di territorio di cui Pechino ne rivendica la sovranità.

Un risultato da conseguire ad ogni costo entro il 2049, per l’anniversario dei 100 anni della vittoria della rivoluzione comunista e presa di potere in Cina, che è stato inserito tra i 6 core interests definiti dal governo cinese nel “Libro Bianco” del settembre 2011, che riassumeva in ordine d’importanza gli interessi fondamentali del Paese (China’s Peaceful Development, Information Office of the State Council The People’s Republic of China, September 2011) quali:

  1. sovranità dello Stato (state sovereignty);
  2. sicurezza nazionale (national security);
  3. integrità territoriale e riunificazione nazionale (territorial integrity and national reunification);
  4. sistema politico cinese stabilito dalla Costituzione (China’s political system established by the Constitution);
  5. stabilità sociale complessiva (overall social stability);
  6. garanzie essenziali per assicurare uno sviluppo economico e sociale sostenibile (basic safeguards for ensuring sustainable economic and social development).

L’annessione dell’isola in tale ordine di priorità era al punto 3 (territorial integrity and national reunification) mentre l’economia era al punto 6.

 

La riunificazione nazionale

Il 14 marzo 2005 la Third Session of the Tenth National People’s Congress ha approvato una legge anti-secessionista (Anti-Secession Law) che autorizza lo Stato ad impiegare “mezzi non pacifici (employ non-peaceful means) ed altre misure necessarie” (art. 8 della legge) per proteggere la sovranità e l’integrità territoriale della Cina al manifestarsi di tre casi, qualora:

  • le forze secessioniste “indipendentiste di Taiwan” agiscano sotto qualsiasi nome o con qualsiasi mezzo per provocare la secessione dalla Cina;
  • si verifichino incidenti gravi che comportino la secessione dalla Cina;
  • le possibilità di una riunificazione pacifica siano completamente esaurite.

Non riconoscendo a Taiwan lo status di Paese sovrano, e derubricando la sua posizione “ad affare interno”, Pechino ricorre appositamente all’espressione “mezzi non pacifici ed altre misure necessarie” in luogo di “uso della forza” che è utilizzata in caso di conflitto militare tra Stati.

Il Third Plenary Session of the 20th Central Committee of the Communist Party of China approvato nel luglio 2024 (Xinhua, 2024-07-18), che tracciava lo sviluppo del Paese nei successivi cinque anni, aveva ulteriormente confermato la politica di Pechino nei confronti di Taiwan, ponendola nel documento alla stessa stregua delle ex colonie britanniche e portoghesi, di Hong Kong e Macao (advancing work related to Hong Kong, Macao, and Taiwan).

Il fatto di aver citato l’Isola semplicemente dopo Macao, ne declassava automaticamente lo status considerandola a tutti gli effetti territorio cinese, come rimarcato anche nel recente Libro Bianco China’s National Security in the New Era (diramato il 12 maggio 2025 dal China’s State Council Information Office) che riporta: “Alcuni Paesi hanno interferito pesantemente negli affari interni della Cina, causando problemi nello Stretto di Taiwan, nel Mar Cinese Meridionale e nel Mar Cinese Orientale, e causando spesso problemi su questioni relative allo Xinjiang, al Tibet e a Hong Kong. Alcune forze esterne stanno deliberatamente giocando la “carta Taiwan”, mentre le forze “indipendentiste di Taiwan” si ostinano a mantenere le loro posizioni separatiste, correndo rischi e provocazioni.

Una completa riunificazione del Paese, secondo il principio del “consenso 1992”, precisata nel Libro Bianco tenuto conto di “L’effetto legale della Risoluzione 2758 dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite è indiscutibile. Taiwan è una provincia della Cina e non ha alcuna base, ragione o diritto di partecipare alle Nazioni Unite e ad altre organizzazioni internazionali a cui solo gli Stati sovrani possono partecipare. Ci opporremo fermamente alla secessione dell’“indipendenza di Taiwan” e alle interferenze esterne, reprimeremo gli irriducibili dell’“indipendenza di Taiwan” in conformità con la legge e scoraggeremo efficacemente le forze secessioniste dell’“indipendenza di Taiwan”. La Cina si è sempre adoperata per una riunificazione pacifica con la massima sincerità e ha fatto il massimo sforzo, ma non prometterà mai di rinunciare all’uso della forza e si riserva la possibilità di prendere tutte le misure necessarie.”

La Risoluzione 2758 dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite (25 ottobre 1971) in realtà non specificava che Taiwan fosse una provincia di Pechino ma si limitava a sancire che la Repubblica Popolare di Cina era l’unica legittima rappresentante della Cina all’ONU e di conseguenza espelleva immediatamente le rappresentative di Chiang Kai-shek dal posto che occupavano illegalmente (Restoration of the lawful rights of the People’s Republic of China in the United Nation).

 

Il controverso 1992 Consensus

Pechino vive nel timore che Taiwan proclami ufficialmente la propria sovranità come Stato indipendente, e sia prontamente riconosciuta come tale dalla Comunità Internazionale, annullando così la possibilità di unificazione secondo il “consenso del 1992”.

Il termine si riferisce ai negoziati dei primi anni Novanta tra il Kuomintang (KMT), allora al potere a Taipei, ed il Partito Comunista Cinese, durante i quali fu raggiunto un vago accordo sull’appartenenza di Taiwan e della Cina continentale ad “una sola Cina”, anche se con interpretazioni diverse del significato che questa espressione rappresentava (e rappresenta) per le due parti (se “Cina” si riferiva alla Repubblica di Cina/Taiwan o alla Repubblica Popolare di Cina).

Il Democratic Progressive Party (DPP) di Taiwan al governo dal 2016 (e in precedenza dal 2000 al 2008), tramite il Presidente della Repubblica pro-tempore Tsai Ing-wen (in carica dal 2016 al 2024), aveva respinto la formulazione “una sola Cina” all’interno del “consenso del 1992”, in quanto Pechino la collegava al progetto di unificazione sotto la sovranità della RPC “Un Paese, due sistemi”.

Da quando il modello “un Paese, due sistemi per Taiwan” è stato proposto nei “Cinque punti di Xi”, il “Consenso del 1992” è stato equiparato al principio “una sola Cina” ed è diventato un consenso volto a perseguire l’unificazione. In altre parole, il “Consenso del 1992” ha dato il via all’imposizione del principio di “una sola Cina” e di “un Paese, due sistemi” a Taiwan. Il governo aveva solennemente smentito questa proposta quando è stata formulata per la prima volta nel gennaio del 2019 (News Release, Taiwan has Turned a Page of History on the “1992 Consensus”, Mainland Affairs Council, Press Release No. 003, 2021-05-08).

Il DPP ha sostenuto che Taiwan era già indipendente e quindi non aveva necessità di dichiararlo formalmente. Di conseguenza, Pechino ha rifiutato ogni dialogo ufficiale con le amministrazioni taiwanesi da quando questo partito è al potere. Tale posizione è stata ribadita dal nuovo Presidente del DPP, Lai Ching-te (conosciuto anche come William Lai), insediatosi il 20 maggio 2024.

Secondo la Convenzione di Montevideo (Montevideo Convention on the Rights and Duties of States) del 26 dicembre 1933 (entrata in vigore il 26 dicembre 1934) Taiwan possiederebbe tutte le caratteristiche di uno Stato. L’articolo 1 del Trattato, in particolare, prevede che uno Stato per essere riconosciuto come tale a livello internazionale deve possedere i seguenti quattro requisiti:

  • popolazione permanente (che risiede stabilmente all’interno dei suoi confini);
  • territorio definito (area geografica chiaramente delimitata);
  • governo effettivo (autorità politica organizzata in grado di esercitare il controllo sul territorio e sulla popolazione);
  • capacità di intrattenere relazioni con altri Stati (essere in grado di avere relazioni diplomatiche e stipulare accordi con altri soggetti di diritto internazionale).

La mancanza, tuttavia, di un riconoscimento formale da parte della maggioranza della comunità internazionale limita lo status giuridico dell’Isola.

 

Sanzioni penali ai separatisti irriducibili della “indipendenza di Taiwan”

Il 21 giugno 2024, la Cina ha pubblicato un’istruzione legale che rafforza gli articoli 103 e 113 del Codice penale della RPC contro gli “irriducibili dell’indipendenza di Taiwan”.

Questa istruzione chiarisce le pene per coloro che sostengono l’indipendenza di Taiwan o organizzano, complottano o attuano piani o incitano alla secessione per “dividere lo Stato o minare l’unità del Paese”, consentendo anche un processo in contumacia nei casi pertinenti.

Il documento fornisce regole specifiche riguardanti la condanna e la pena in presenza di tali reati, nonché le relative procedure, fungendo da guida per la magistratura nella gestione dei casi rilevanti.

Il testo definisce le circostanze in cui “irriducibili separatisti”, attraverso atti come l’organizzazione, la pianificazione o la realizzazione di progetti di “indipendenza de jure”, o la ricerca dell’indipendenza facendo affidamento su un sostegno straniero o con la forza, dovrebbero essere ritenuti penalmente responsabili.

È precisato, inoltre, che coloro i quali risultano aver colluso con istituzioni, organizzazioni o individui stranieri o d’oltremare nel commettere tali crimini, devono ricevere una punizione più severa.

Secondo il documento, chi compie il reato di separazione dello Stato può essere anche condannato a morte se ciò causa un danno particolarmente grave allo Stato e al popolo o se le circostanze sono eccezionalmente gravi (L. Xin and L. Caiyu, China issues judicial guidelines on imposing criminal punishment on diehard ‘Taiwan independence’ separatists, Global Times, Jun 22, 2024).

 

La morsa su Taiwan

Per Xi Jinping l’annessione di Taiwan (l’Isola non è mai stata sotto il governo comunista) riguarda la propria legittimazione politica e di grande leader, al pari di Mao Zedong e Zhou Enlai, e si richiama sostanzialmente ai seguenti aspetti:

  • storico, simbolico e valoriale: ultimo territorio che mancherebbe al Dragone per completare l’unificazione al termine della vittoriosa guerra civile (1949); recuperare l’immagine di dignità del Paese, dopo il “secolo della umiliazione nazionale” dovuto al colonialismo occidentale (1839-1949), e ricostruire lo status di grande potenza;
  • economico: Taipei è una delle maggiori economie mondiali e principale produttore dei semiconduttori, fondamentali per la supply chain globale;
  • commerciale: controllo della navigazione nello Stretto di Taiwan (da trasformare in un mare interno);
  • strategico: estendere le acque di giurisdizione cinese oltre la “Prima Catena delle Isole” con proiezione nell’Oceano Pacifico, che gli USA tradizionalmente considerano un “proprio mare” e porre così termine al percepito accerchiamento statunitense e dei suoi alleati regionali (diverse basi ed assetti degli Stati Uniti sono situati all’interno della Prima Catena di Isole, tra cui le forze stazionate nella Corea del Sud, Giappone continentale, Okinawa e Guam).

Gli USA, al momento, godono del vantaggio della profondità marittima nel Pacifico e la possibilità d’intervenire dove e quando ritengono opportuno. Al contrario, la flotta cinese non ha spazio di manovra, essendo dislocata sulle coste continentali, e non ha alcun luogo dove rifugiarsi o occultarsi ed è, di fatto, più vulnerabile sin dal primo giorno di un ipotetico conflitto.

Con l’occupazione di Taiwan la Cina diverrebbe un Paese a “vocazione marittima”, conseguendo l’accesso all’Oceano Pacifico, affermandosi quale potenza sullo scenario internazionale; senza Taiwan Pechino rimarrebbe un Paese a prevalente connotazione “terrestre”.

 

Lo stretto di Taiwan

Lo Stretto di Taiwan si estende da nord-est a sud-ovest per circa 200 miglia nautiche e collega il Mar Cinese Orientale a nord con il Mar Cinese Meridionale a sud; la sua larghezza è pari a 70-220 miglia nautiche (larghezza media 108 miglia nautiche).

Lo Stretto è un’arteria strategica fondamentale per interessi economici, logistici e geopolitici, che facilita il commercio est-ovest, agevolando il collegamento tra alcuni degli approdi asiatici più importanti, e trova nei porti di Taiwan sulla costa occidentale un hub centrale per i traffici marittimi mondiali e centro logistico fondamentale (i suoi scali hanno movimentato circa 586 miliardi di dollari di merci nel 2022).

Nel 2022 sono transitati nello Stretto beni per un valore di circa 2,45 trilioni di dollari (prodotti energetici, elettronici, minerali, ecc.) pari a oltre un quinto del commercio marittimo globale (Center for Strategic and International Studies, Crossroads of Commerce: How the Taiwan Strait Propels the Global Economy”, October 10, 2024).

Circa un terzo delle importazioni cinesi, inclusi i prodotti energetici (petrolio e gas naturale) e materie prime industriali, passano da questa rotta. Un conflitto su larga scala per Taiwan, o una crisi o un blocco navale, avrebbe conseguenze catastrofiche per l’economia globale e destabilizzerebbe il commercio attraverso lo Stretto, con effetti immediati anche sull’economia e la logistica cinese.

Qualsiasi interruzione di tale commercio avrebbe ripercussioni ben oltre Taiwan e la Cina, colpendo i principali alleati degli Stati Uniti e ampie fasce del Sud del mondo.

A risentirne sarebbero inoltre altri Paesi asiatici come il Giappone e la Corea del Sud, le cui navi nel 2022 hanno attraversato lo Stretto per un totale rispettivamente di 444 e 375 miliardi di dollari, senza poi considerare che il 95% del petrolio giapponese e il 65% di quello sudcoreano percorrono questa via.

 

Il pivot dell’Indo-Pacifico

Taiwan, in virtù della sua posizione geografica, riveste un’importanza strategica ben superiore alla sua dimensione politico-militare ed economica, assumendo – di fatto – il ruolo di pivot per tutto l’Indo-Pacifico (chiamato Asia-Pacifico da Pechino).

La posizione dell’Isola, situata al centro della “Prima Catena di Isole” al largo delle coste dell’Asia Orientale, la rende fondamentale per le ambizioni cinesi.

Quale principale fornitore, inoltre, di semiconduttori agli Stati Uniti e ai suoi alleati (utilizzati per produrre microchip alla base dei sistemi militari avanzati), Taipei ricopre anche un posto di primo piano nell’economia globale.

La “Prima Catena delle Isole”, che si estende dall’arcipelago giapponese a Okinawa e, tramite Taiwan, si collega alle isole occidentali dell’arcipelago delle Filippine per poi proseguire nel Mar Cinese Meridionale verso la Malaysia ed il Vietnam, costituisce una sorta di “barriera virtuale” per il libero accesso della Cina all’Oceano Pacifico.

Ad ovest (della catena) l’acqua è poco profonda, dai 50 ai 200 metri; oltre essa ad est l’Oceano raggiunge una profondità di migliaia di metri (mediamente 4.000 m).

 

Lo Stretto di Miyako ed Il Canale di Bashi

Lo Stretto di Miyako a nord di Taiwan e il Canale di Bashi a sud dell’Isola, disposti sulla “Prima Catena delle Isole”, sono ritenuti strategicamente cruciali (chokepoints) per le operazioni militari quali principali vie d’accesso della Marina dell’Esercito Popolare di Liberazione (PLAN) per poter dispiegare le forze navali nell’Oceano Pacifico (F-S Gady, Why China’s Military Wants to Control These 2 Water ways in East Asia, The Diplomat, September 15, 2019).

Lo Stretto di Miyako, situato tra le isole giapponesi di Miyako e Okinawa, garantisce un passaggio nelle acque internazionali e nello spazio aereo attraverso la Zona Economica Esclusiva del Giappone.

Il Canale di Bashi (ampio 156 km), uno dei tre canali in cui si articola lo Stretto di Luzon, si trova tra l’isola Orchid di Taiwan a nord e l’isola Mavulis delle Filippine a sud ed è un’importante via marittima commerciale e militare, che mette in comunicazione il Mare delle Filippine con il Mare Cinese Meridionale, e per la presenza dei numerosi cavi di comunicazione sottomarini che trasportano dati e traffico telefonico per i Paesi asiatici.

I sommergibili nucleari cinesi, dislocati nella base navale di Yulin sull’isola meridionale di Hainan, per raggiungere il Pacifico devono passare attraverso il Canale di Bashi dove sarebbero facilmente visibili poiché le acque sono trasparenti e poco profonde (A. Brar, Satellite Images Show China’s Expanded Naval Base in the South China Sea, Newsweek, Nov 27, 2023).
Un sommergibile a propulsione nucleare (che gode di grande autonomia di navigazione in immersione) quando raggiunge la profondità operativa nelle acque dell’Oceano risulta di difficile individuazione (e neutralizzazione) e costituisce una minaccia imprevedibile in caso di conflitto.

Il controllo di queste due vie d’acqua consentirebbe sia di garantirsi la libertà di navigazione in uscita o in entrata nei mari della Cina sia di negarne l’uso ad altri in caso di crisi/conflitto.

Per tale ragione il PLA ha intensificato negli ultimi anni il ritmo operativo delle esercitazioni aeronavali intorno al Canale di Bashi e allo Stretto di Miyako, nell’ambito delle crescenti capacità di Anti-Accesso e di Negazione dell’Area, che offrono a Pechino l’opportunità di addestrarsi in scenari di “combattimento realistici” nel dominio aereo e marittimo e segnalare a Taiwan, Giappone e Stati Uniti la determinazione a difendere le proprie rivendicazioni marittime.

 

La “linea dei nove tratti”

L’acquisizione di Formosa permetterebbe alla Cina di raggiungere il “mare aperto” senza dover attraversare le acque tra le isole della Prima Catena che, in caso di crisi (o di conflitto), possono essere minate (come insegna il conflitto russo-ucraino sul Mar Nero) e soggette alla presenza di assetti navali ed aerei degli USA e dei suoi alleati.

Una estensione dei “confini marittimi” che consentirebbe a Pechino di ampliare il controllo su gran parte del Mar Cinese Meridionale e del Mar Cinese Orientale, seguendo la “linea dei nove tratti” (nine-dash line), sfruttando paradossalmente la linea tracciata nel 1947 dall’avversario del PCC Generalissimo Chiang Kai-shek, la cui sovranità (geografica) è rivendicata da tempo dalla Cina – sulla base di ragioni storiche – sul 90% delle acque della regione.

Si tratta di un bacino ricco di risorse naturali (riserve gas/petrolio ed ittiche) ed interessato dalle principali linee di comunicazione marittime fra Estremo Oriente ed Europa (attraverso gli stretti della Malacca e della Sonda), dove insistono una serie di arcipelaghi ed atolli considerati strategici, quali le isole Paracels, Spratly e Pratas, Tritone, il banco Macclesfield e James, la Secca di Scarborough, le Sandy Cay Reef, la cui sovranità è rivendicata anche dal BruneiFilippine, Malaysia, Taiwan e Vietnam.

La prima rappresentazione lineare di questa rivendicazione è apparsa negli anni ’30 in risposta all’annessione unilaterale delle Isole Spratly da parte dell’Indocina francese. Ciò si concretizzò nel 1947 quando l’allora governo nazionalista del Kuomintang pubblicò una mappa ufficiale delle sue pretese sul Mar Cinese Meridionale caratterizzata da una linea a forma di U con undici trattini. I due “tratti” tracciati nel Golfo del Tonchino furono in seguito rimossi nel 1952 dalla Repubblica Popolare Cinese a seguito di un negoziato con il neonato Stato del Vietnam.

Una vasta regione marittima dove la Cina sta consolidando da tempo la propria presenza con un monumentale progetto di costruzione e di militarizzazione di isole artificiali (tramite il pompaggio di sabbia dragata dai fondali marini) e degli atolli nell’arcipelago delle Spratly e delle Paracels, definito dall’Ammiraglio statunitense Harry Harris, Comandante del U.S. Pacific Command nel periodo 2015–2017, la “grande muraglia di sabbia” (S. Denyer, U.S. Navy alarmed at Beijing’s Great Wall of sand’ in South China Sea, Washington Post, April 1, 2015).

A seguito del procedimento avviato dal Governo delle Filippine il 22 gennaio 2013 contro la Repubblica Popolare Cinese per la sua espansione nel Mar Cinese Meridionale, per la violazione della Convenzione delle Nazioni Unite sul Diritto del Mare (UNCLOS – United Nations Convention on the Law of the Sea), la Permanent Court of Arbitration ha emesso nel 2016 un verdetto (Award 12 July 2016) sfavorevole alla Cina, in quanto Pechino – secondo la Corte dell’Aja – non ha “diritti storici” su quelle acque.

La Cina, adottando una posizione di non accettazione e di non partecipazione al procedimento, ha definito “infondata” la sentenza (che dovrebbe essere vincolante, ma la Corte non dispone degli strumenti per farla rispettare) continuando a rafforzare la propria presenza nell’area.

 

Le zone A2/AD

Il controllo su gran parte del Mar Cinese Meridionale e del Mar Cinese Orientale (dove si trovano anche le coste della Corea del Nord), consentirebbe alla Cina di contrastare in misura significativa la libertà d’azione degli USA, e dei suoi alleati e partner strategici, tra le due catene delle isole, mettendo in atto la strategia A2/AD, che prevede la creazione di “zone” (bolle) sovrapposte e contigue di Anti Access (A2) e di Area Denial (AD).

Una strategia che si propone di tenere le forze statunitensi (navali ed aeree) fuori dalla vasta regione marittima, soprattutto nell’eventualità che debbano intervenire a favore di Taiwan.

Il dispositivo Anti-Accesso (A2) tende ad impedire l’ingresso di potenziali avversari nell’area di operazioni considerata, mentre quello di Negazione dell’Area (AD) mira a ostacolarne i movimenti all’interno di essa.

Le zone A2/AD sono presidiate da un complesso di sensori, assetti di Intelligence, Sorveglianza, Ricognizione (ISR), sistemi d’arma a lungo raggio difensivi/offensivi antinave (e antisom), antimissile, antiaerei e terrestri per poter condurre azioni in aria, a terra, in mare (e sotto il mare) e nello spazio.

I sistemi ISR sono utilizzati per individuare le minacce in arrivo ed ingaggiarle alle lunghe distanze con i sistemi d’arma difensivi, mentre quelli offensivi devono essere in grado di colpire le basi operative/logistiche avversarie e le strutture di comando e controllo, al fine di ritardare l’allestimento e l’ammassamento delle forze.

Ad accrescere l’efficacia delle zone A2/AD sono le operazioni di guerra elettronica, cibernetiche, di controllo satellitare dallo spazio e di inganno che favoriscono la difesa e ne aumentano la sopravvivenza.

Il principale obiettivo non è quello di sconfiggere gli avversari in battaglia, ma di aumentarne i “costi operativi” del confronto sino a quando il potenziale guadagno politico sia superato dalle perdite subite e dal logoramento delle forze (J. Schogol, P. Nieberg, War with China ‘would result in large-scale casualties,’ Army general says, Task & Purpose, Jul 24, 2025).

Un elemento centrale di tale strategia è costituito dal decentramento degli assetti/sistemi d’arma così da renderne più difficile l’individuazione e la neutralizzazione da parte nemica (A. Krepinevich, B. Watts & R. Work, Meeting the Anti-Access and Area-Denial Challenge, Center for Strategic and Budgetary Assessments, 2003; A. Vershinin, The Challenge of Dis-Integrating A2/AD Zone, JFQ 97, 2nd Quarter 2020).

Le aspirazioni di Pechino si estendono anche a Nord sino al Mar Cinese Orientale con la rivendicazione delle isole Senkaku/Diaoyu contese con il Giappone e con Taiwan (chiamate Diaoyutai). L’arcipelago, che comprende cinque isole e tre scogli per una superficie di 6,3 kmq ed è situato a circa 120 miglia nautiche a Nord-Est di Taiwan ed a 200 miglia nautiche ad Est della Cina, riveste particolare valore sia economico, per le importanti riserve ittiche ed energetiche, sia strategico, per la sua posizione geografica (N. Aspinwall, Taiwan President Asserts Sovereignty Over Disputed Islands Claimed by Japan and China, The Diplomat, June 6, 2020).

 

La strategia della “zona grigia”

Taiwan vive da decenni in una condizione nota come “zona grigia” (gray zone) multidimensionale per le azioni coercitive della RPC che, rimanendo sempre al di sotto della soglia di un conflitto armato ed utilizzando in maniera calcolata e spregiudicata tutti gli strumenti a disposizione (politici, militari, economici, diplomatici, intelligence, cibernetici, propagandistici e sociali), mirano a diffondere timore ed incertezza nella società al fine di generare un sentimento popolare che costringa la leadership di Taipei ad accettare negoziati a condizioni sfavorevoli.

Si tratta di interventi/azioni di “ingerenza” e di “influenza” finalizzati a:

  • condizionare i processi decisionali del “sistema-paese” per influenzare i decisori politici e/o economici (operazioni di ingerenza);
  • manipolare le percezioni dell’opinione pubblica, al fine di inasprire le divisioni interne alla società e screditare e delegittimare le Istituzioni dello Stato (attività di influenza e di guerra cognitiva).

Le concomitanti iniziative adottate nel tempo da Pechino volte ad ottenere una “pacifica riunificazione” – che non escludono l’uso della forza – tendono a restringere progressivamente l’autonomia e la stabilità dell’Isola e prevedono di:

  • confrontarsi con gli Stati Uniti attraverso la “pedina” Taiwan (Taiwan chess between Pechino and Washington), che rimane un punto centrale di controversia;
  • escludere Taipei dalle organizzazioni internazionali e agire a livello diplomatico (con iniziative politiche, economiche, ecc.) per ridurre gradualmente il numero di governi che riconoscono il Paese (al momento sono 12, oltre allo Stato del Vaticano; alcuni anni orsono erano 21);
  • utilizzare società con sede in altri Paesi, non riconducibili direttamente alla Cina ma controllate da Pechino, per investire in Taiwan (ai cittadini cinesi non è consentito per la legge taiwanese) ed eludere così i controlli da parte di Taipei;
  • attirare società taiwanesi con investimenti sempre più ampi nel mercato cinese sotto forma di joint venture e poi usare queste joint venture per investire altrove (anche a Taiwan);
  • assumere in modo illegale ingegneri per accedere alle tecnologie destinate alla produzione di semiconduttori avanzati mediante società “ombra” con sede in altri Paesi (The Ministry of Justice Investigation Bureau Conducts Simultaneous Investigations into Illegal Poaching of High-Tech Talent by Chinese Enterprises in Taiwan, Release date 2025/03/28);
  • interferire nella vita quotidiana sfruttando i mezzi offerti dalla globalizzazione con pressioni sugli attori politici ed economici e con attacchi cyber (cosiddetto Sharp Power);
  • svolgere attività di propaganda pro-riunificazione con una sofisticata manipolazione delle notizie per suggestionare le percezioni della società taiwanese anche grazie a collaboratori locali, tra cui celebrità del mondo dello spettacolo, per aumentare la credibilità di quanto comunicato;
  • utilizzare applicazioni per social media prodotte nella RPC per raccogliere e trasferire dati personali, effettuare propaganda (contro il Governo), avendo come target soprattutto i giovani tra i 18 ed i 29 anni, che risulterebbero i principali fruitori di queste app;
  • reclutare personale delle istituzioni civili e militari (soprattutto in pensione) per creare reti di informatori e di “basisti”;
  • inviare regolarmente velivoli nella ADIZ (Air Defense Identification Zone), sia per logorare il sistema difensivo (uomini e mezzi) dell’Isola costringendo Taiwan a mantenere alto il livello di attenzione (Taipei non fa decollare gli aerei in scramble in risposta a tutte le violazioni ma mantiene il personale in stato di prontezza per intervenire rapidamente qualora necessario) sia per assuefare la difesa taiwanese a tali incursioni e rendere meno “attenta” la percezione della minaccia.

L’ADIZ è un’area geografica dichiarata dai Taipei, ma non riconosciuta dalla Cina, che si estende oltre lo spazio aereo territoriale all’interno della quale gli aeromobili sarebbero tenuti a rispettare speciali procedure d’identificazione. L’ADIZ, istituita nel 1953 nel contesto del trattato di mutua difesa tra Stati Uniti e Repubblica di Corea (del Sud), è delimitata nello Stretto da una “linea mediana” tra la costa continentale e Taiwan, quale demarcazione non ufficiale che per anni ha fatto da confine informale con la Cina.

 

Le infiltrazioni

Una situazione di rilevo, segnalata dal National Security Bureau (NSB) taiwanese, riguarda l’intensificarsi delle infiltrazioni cinesi in vari settori della società, tendenti sia a prendere di mira le unità militari e le agenzie governative sia a sviluppare reti di spionaggio sull’Isola.

Una metodica azione che si avvarrebbe anche della collaborazione con la criminalità organizzata locale, ricorrendo a “finanziamenti a fondo perduto” come incentivo, per identificare il personale della Difesa e delle Istituzioni con problemi di liquidità ed invogliarli a fornire informazioni ed a monitorare dispiegamenti strategici (Focus Taiwan CNA English News, China targets gangs, temples to infiltrate Taiwan: National Security Bureau, 04/23/2025).

Un fenomeno preoccupante per la sicurezza nazionale, in quanto secondo un rapporto del NSB il numero di individui perseguiti per spionaggio è aumentato da 16 nel 2021 a 64 nel 2024 dei quali l’85% militari e poliziotti in pensione.

I militari in pensione verrebbero spesso “agganciati” da agenti cinesi, con l’offerta di denaro per reclutare colleghi in servizio, realizzare connessioni online, offrire incentivi finanziari e disponibilità a coprire i loro debiti o per creare organizzazioni che siano di supporto armato e da basi operative in caso di invasione (C. Chun-hua, W. Su-wei and S. Lin, Majority of espionage cases involve active, ex-military personnel: NSB, Focus Taiwan, 04/08/2025).

 

La Strategia dell’Anaconda: la morsa si stringe

Negli ultimi anni le pressioni a scopo intimidatorio hanno avuto decise accelerazioni in concomitanza di particolari eventi che hanno interessato gli ambienti politici di Taiwan.

Un’azione condotta su più livelli e in tutti i settori della società definita dal comandante della Marina militare taiwanese la “Strategia dell’Anaconda” (Economist, China is using an “anaconda strategy” to squeeze Taiwan, Oct 3rd 2024).

Ciò è avvenuto a partire dall’agosto 2022 in occasione della visita a Taipei della speaker pro-tempore della Camera dei Rappresentanti statunitense, Nancy Pelosi, con iniziative su più fronti: esercitazioni militari, interventi diplomatici, cyberattacchi, campagne d’influenza cognitiva (manipolazione informazioni, propaganda, narrativa, disinformazione e fake news).

Dopo la visita di Nancy Pelosi le navi e gli aerei cinesi hanno iniziato a superare regolarmente l’ADIZ, mentre prima evitavano di attraversare questa linea mediana. Da quel momento, l’Esercito Popolare di Liberazione (People Liberation Army/PLA) è diventato sempre più aggressivo intorno allo Stretto e in tutta la regione con la condotta di esercitazioni aeronavali ad ampio raggio oltre la “Prima Catena di Isole” e la più lontana “Seconda Catena di Isole” (che si estende dal Giappone, est delle Filippine e lambisce il lato orientale dell’Indonesia, comprendendo Palau e Guam) nell’intento di realizzare l’accerchiamento (di Taiwan), includendo sia il lancio di missili sia il blocco simulato dei collegamenti internazionali e delle rotte di navigazione.

Nel 2023 la Cina ha inviato 1.709 aerei nella ADIZ rispetto ai 1.727 velivoli del 2022, ai 960 del 2021 e ai 380 del 2020 (China Deployed Over 1,700 Military Planes Around Taiwan in 2023, Newsweek Jan 05, 2024).

Tra fine marzo e inizio aprile 2023, allorché la Presidente Tsai Ing-wen si trovava negli Stati Uniti e, in particolare, dopo l’incontro con il Presidente della Camera Kevin McCarthy, il PLA ha effettuato esercitazioni su larga scala (anche a fuoco) di maggiore intensità di quelle svolte in risposta alla visita del Presidente Nancy Pelosi nell’agosto 2022 (China Power, “Tracking China’s April 2023 Military Exercises around Taiwan”, April 10, 2023, updated November 8, 2023).

Nel 2024 sono aumentate significativamente le attività militari intorno a Taiwan, quale intenzione della RPC di incrementare la pressione come “reazione” all’elezione del Presidente Lai Ching-te.

Il numero medio di incursioni dell’aviazione cinese nella ADIZ (senza considerare le navi e gli aerei intorno alle isole periferiche di Kinmen e Matsu) è passato da 141 al mese nel 2023 a oltre 300 al mese tra maggio e novembre 2024.

Nel 2025 il trend delle incursioni si è mantenuto oltre i 300 attraversamenti tra febbraio – luglio con una media di 338 al mese.

Tali azioni sono integrate con palloni aerostatici, le cui dimensioni e carico utile lascerebbero presupporre che siano dedicati alla raccolta di dati atmosferici per sistemi radar e missilistici, piuttosto che per ordinarie esigenze.

Il National Security Bureau dell’Isola ha, inoltre, rilevato che i cyberattacchi ai computer della Difesa, dei dipartimenti/agenzie governative e di aziende private di Taiwan sono raddoppiati nel 2024 rispetto all’anno precedente, soprattutto in concomitanza con l’aumento della tensione tra le due Nazioni, raggiungendo una media di 2,4 milioni di attacchi al giorno (1,2 milioni nel 2023), aggiungendo che la maggior parte di essi sono stati lanciati da gruppi informatici cinesi (Y. Lee, Chinese cyberattacks on Taiwan government averaged 2.4 mln a day in 2024, report says, Reuters, January 6, 2025).

Secondo Google, anche la Corea del Nord e l’Iran costituiscono una seria minaccia alla sicurezza informatica per la piccola Nazione insulare (J. Saballa, China’s Cyberattacks on Taiwan ‘Rising’: Google, The Defense Post, December 1, 2023).

 

Il sabotaggio dei cavi sottomarini: una nuova potenziale gray zone?

Con l’incremento delle attività cinesi attorno a Taiwan, hanno iniziato a verificarsi danneggiamenti ai cavi sottomarini che rischiano di interrompere la connettività internazionale (e con le isole periferiche) di Taipei. Una apparente forma di “guerra psicologica” che può avere conseguenze di ampia portata, come paralizzare i mercati finanziari, l’economia digitale, ostacolare le operazioni governative e limitare l’accesso ad informazioni critiche (dovendo fare affidamento solo sui collegamenti forniti dai satelliti).

Secondo la Guardia Costiera taiwanese le navi (cargo) sospettate di provocare tali danni sono soprattutto quelle che battono bandiere di “convenienza” (o bandiere “ombra”) non direttamente collegabili a Pechino ma con equipaggi (almeno in parte) cinesi, come nel caso di una imbarcazione registrata togolese ma con capitano di nazionalità cinese (K. Ewe and I-ting Chiang, Taiwan jails China captain for undersea cable sabotage in landmark case, BBC, 12 June 2025).

Pechino, tuttavia, ha più volte affermato di non essere responsabile di questi eventi e che il danneggiamento di cavi sottomarini è un “comune incidente marittimo” ed ha criticato le congetture di Taipei ed il “deliberato inquadramento delle minacce nella zona grigia”.

Nel novembre 2024, due importanti cavi sottomarini, uno che collega Finlandia e Germania ed un altro che collega Svezia e Lituania, sono stati danneggiati a distanza di 24 ore l’uno dall’altro.

Una nave portarinfuse cinese, la Yipeng 3, è stata poi scoperta mentre operava in modo sospetto vicino ad entrambi i cavi. Le indagini congiunte delle autorità marittime danesi, tedesche e svedesi hanno trovato prove fisiche di manomissione, sollevando il timore che Pechino stia impiegando tattiche simili di “zona grigia” sia nelle acque del Pacifico sia in quelle europee.

Queste interruzioni, che evidenziano la vulnerabilità di Taipei nel settore delle infrastrutture critiche, non sembra siano parte di uno sforzo per ostacolare seriamente la connettività di Taiwan con il mondo, anche se potrebbero rientrare in una campagna di azioni intimidatorie di bassa intensità e/o consistere in prove di attività più ampie in combinazione con altre operazioni quali forme di preparazione per un futuro isolamento dell’Isola.

 

La normalizzazione delle azioni anomale

A seguito dell’esito delle elezioni presidenziali taiwanesi (13 gennaio 2024), dove ha prevalso ancora una volta l’esponente del Democratic Progressive Party, Pechino ha ulteriormente inasprito l’atteggiamento aggressivo con una serie d’iniziative di natura militare, commerciale e di propaganda riconducibili a:

–      sempre più frequenti ingressi nell’ADIZ con un numero maggiore di vettori aerei, navali e palloni aerostatici;

–      sospensione (a partire dal 15 giugno 2024) delle concessioni tariffarie su 134 prodotti taiwanesi (tra cui oli di base per lubrificanti, biciclette da corsa e prodotti tessili) previste dall’Accordo Quadro di Cooperazione Economica (Economic Cooperation Framework Agreement – ECFA) siglato nel 2010. La Cina aveva già posto fine nel dicembre 2023 alle tariffe preferenziali su 12 prodotti, tra cui propilene, paraxilene e altri prodotti petrolchimici (Yi-feng Tao, Taiwan-U.S. Quarterly Analysis, Brookings, July 1, 2024);

–      azioni di disturbo e contrasto alla libertà di movimento aereo/marittimo nei cieli e nelle acque circostanti sia Formosa sia le isole periferiche prossime alla costa continentale;

–      apertura unilaterale di nuove estensioni della rotta aerea M503 nello Stretto, che si trova a meno di 8 km ad ovest della “linea mediana”, mettendo in discussione la capacità di Taipei di gestire il proprio spazio aereo e riducendo il tempo di preallarme e di reazione delle difese aeree. Qualora un velivolo civile dovesse deviare dalla rotta per condizioni meteorologiche avverse o per problemi meccanici, infatti, i controllori di volo del traffico di Taiwan avrebbero solo pochi secondi per reagire in modo appropriato all’evento (Y. Wai Yee, China’s change to flight path in sensitive Taiwan Strait raises safety concerns, The StraitsTimes, Jul 10, 2025).

Tale pressione ha avuto un incremento tre giorni dopo il discorso d’insediamento del nuovo Presidente taiwanese Lai Ching-te (20 maggio 2024) con la preannunciata (e pianificata verosimilmente da tempo visto l’ampio dispositivo dispiegato) esercitazione “Spada Congiunta 2024A” (Joint Sword-2024A), svoltasi nei giorni 23-24 maggio, che prevedeva come quella condotta l’8-10 aprile 2023 (United Sharp Sword), iniziata un giorno dopo il ritorno del Presidente pro-tempore di Taiwan da un viaggio in America Centrale e negli Stati Uniti, l’impiego di consistenti forze aeronavali per creare una forma di blocco attorno a Taiwan.

Da evidenziare che queste esercitazioni avvengono in occasione di eventi significativi connessi con attività politiche e diplomatiche in ambito internazionale da parte dei vertici istituzionali di Taiwan, secondo quanto affermato dalle stesse autorità della RPC (L. Ying-yu, Analyzing the PLA’s ‘Joint Sword’ exercises, Taipei Times, May 28, 2024).

 

Prove d’invasione dell’Isola

Le esercitazioni “Joint Sword” hanno fornito al PLA la possibilità di attuare il dispiegamento su larga scala di assetti navali, aerei e altri mezzi in un contesto realistico e consentito ai comandanti di acquisire la necessaria esperienza di interoperabilità nella condotta di operazioni combinate.

Queste attività intendevano dimostrare la capacità di Pechino non solo di bloccare ma anche di impegnare in modo massiccio Taiwan da diverse direzioni d’attacco (S. Zulfiqar Ali, China’s Joint Sword Exercises, The Centre for Strategic and Contemporary Research, May 4, 2023).

Sebbene non indicassero un imminente attacco, come ha sottolineato Il Comandante del Comando U.S. dell’Indo-Pacifico, l’Ammiraglio Samuel Paparo, le esercitazioni hanno assunto le sembianze di una prova per l’invasione dell’Isola, anche in considerazione della velocità “allarmante” con cui le Forze Armate di Pechino procedono nel loro potenziamento (R. Nakamura and R. Tobita, China’s drills appear to be ‘rehearsal’ for Taiwan invasion: U.S. admiral, Nikkei Asia May 29, 2024).

L’esercitazione “Spada Congiunta 2024A” ha visto la presenza di tutte e quattro le componenti del PLA (Army, Navy, Air Force, Rocket Force), coinvolgendo 19 navi della Marina, 16 navi della Guardia Costiera e 49 aerei (35 dei quali hanno attraversato la ADIZ), ed ha interessato cinque aree intorno a Taiwan e quattro più piccole nei pressi della costa cinese, tra cui le isole di Kinmen e Matsu (J. Dotson & J. Harman, The PLA’s Inauguration Gift to President Lai: The Joint Sword 2024A Exercise, Global Taiwan Institute, June 12, 2024).

L’esercitazione è stata la più grande svolta dal PLA nelle vicinanze di Taiwan dall’aprile 2023 (in occasione della visita della Presidente Tsai Ing-wen negli USA) ed ha evidenziato alcune nuove caratteristiche:

  • pur essendo di dimensioni e portata inferiori a quella dell’aprile 2023, ha investito una zona più ampia rispetto a quella dell’agosto 2022 (visita di Nancy Pelosi a Taipei) e si è concentrata su cinque aree chiave, fondamentali per interrompere con un blocco aeronavale le linee commerciali per le importazioni di energia, “strangolare” il commercio con l’estero, bloccare le rotte per il supporto che alcuni alleati degli Stati Uniti forniscono all’Isola e prevenire un intervento straniero qualora la RPC dovesse invadere o isolare Taiwan;
  • l’attività, oltre ad avere una forte connotazione propagandistica, si proponeva di verificare e migliorare le procedure di coordinamento interforze, concentrandosi sul perfezionamento delle capacità di attacco di precisione e sull’integrazione della Guardia Costiera per praticare il “controllo congiunto dell’area di operazioni”;
  • per la prima volta è avvenuto un significativo impegno della Guardia Costiera (16 navi), quale forza di supporto alle operazioni, intorno alle isole periferiche di Kinmen, Matsu, Wuqiu e Dongyin, nella condotta di attività addestrative di Ordine e Sicurezza Pubblica (Law Enforcement) in simulate ispezioni di navi straniere.

Il 14 ottobre 2024 la Cina ha lanciato l’esercitazione Joint Sword-2024B, in risposta al discorso tenuto il 10 ottobre dal Presidente Lai Ching-te per la Giornata Nazionale della Repubblica di Cina, coinvolgendo Marina, Aeronautica, Forze Missilistiche e Guardia Costiera.

Nel corso della esercitazione, condotta in sei ampie aree operative (cinque nella precedente Joint Sword-2024A), il PLA ha effettuato 153 sortite con 125 velivoli (aerei, elicotteri e droni) intorno a Taiwan, di cui 111 sono entrati nella ADIZ; 17 navi della Marina e 17 navi della Guardia Costiera hanno operato attorno all’Isola, con imbarcazioni che si sono spinte sino nelle immediate vicinanze della costa (D. Mahadzir, China Targets Taiwan in Major Military Exercise, Pentagon Condemns ‘Irresponsible’ Action, USNI, October 14, 2024).

La Joint Sword-2024B ha visto anche l’impiego della portaerei Liaoning (con decolli ed appontaggi) e delle navi di supporto a est di Taiwan nello strategico Canale di Bashi (il cui controllo è fondamentale per interdire potenziali transiti navali stranieri), nonché una circumnavigazione dell’Isola da parte delle navi della Guardia Costiera.

L’esercitazione del 14 ottobre, sebbene di dimensione relativamente ridotte in termini di durata (1 giorno) e di assetti coinvolti, ha mostrato:

  • un maggior numero di sortite aeree rispetto alla precedente esercitazione di maggio;
  • la prosecuzione negli scenari di accerchiamento e di blocco dell’Isola con operazioni aeree e navali, piuttosto che orientati verso un’invasione anfibia;
  • il progressivo avvicinamento delle attività militari sia all’isola principale (Formosa) sia alle isole periferiche. Le sei aree di esercitazione dichiarate confinavano e/o sconfinavano nella zona contigua di Taiwan (compresa tra le 12 e le 24 miglia nautiche dalla costa), quale significativa escalation della pressione contro la sovranità territoriale di Taipei;
  • la conferma del nuovo ruolo della Chinese Coast Guard (CCG) che, integrata nel dispositivo interforze, ha operato con proprie unità nei pressi delle isole periferiche di Matsu e Dongyin.

Il 9-11 dicembre 2024 il PLA ha condotto un’esercitazione (senza nome) esclusivamente navale nei pressi di Taiwan e intorno alla Prima Catena delle Isole, in occasione del ritorno del Presidente William Lai dalla sua visita agli alleati diplomatici nel Pacifico.

L’attività, non interforze e non su larga scala come le precedenti Joint Sword-2024, mirava verosimilmente anche ad inviare un segnale alla nuova Amministrazione statunitense (subentrante a gennaio 2025) di dimostrazione di proiezione coinvolgendo 60 navi, quale prova di capacità navali nel Pacifico Occidentale paragonabili a quelle della 7a Flotta USA con sede in Giappone (Cheng-kun MaK. Tristan Tang, Instead of Joint Sword-2024C, PLA Intensifies Winter Naval Training, The Jamestown Foundation, December 20, 2024).

A gennaio 2025 sono proseguite con regolarità operazioni aeronavali non preannunciate nei dintorni dell’Isola, volte (probabilmente) a ribadire alla Comunità Internazionale che si trattavano di attività militari di routine condotte in “acque interne” della RPC.

Un discorso del Presidente Lai Ching-te del 13 marzo 2025, in cui ha esposto un programma di 17 misure per combattere lo spionaggio e le azioni di intrusione del PCC, e il viaggio a Washington del Presidente del Consiglio di Sicurezza Nazionale (Joseph Wu), hanno originato la prima esercitazione interforze su larga scala del 2025, denominata Strait Thunder-2025, svoltasi l’1-2 aprile.

L’attività prevedeva, oltre alle manovre di blocco navale come le precedenti, la condotta di simulati attacchi di precisione contro infrastrutture energetiche, strutture portuali, centri di comando e siti di difesa aerea dell’Isola.

Gli assetti del PLA hanno operato principalmente nella parte centrale e meridionale dello Stretto di Taiwan, ma hanno inviato alcune navi, comprese quelle della Guardia Costiera, oltre la Prima Catena delle Isole. La Strait Thunder-2025A si è concentrata principalmente sull’addestramento alla identificazione e verifica, all’avvertimento ed espulsione, all’intercettazione e detenzione per testare le capacità delle forze nel controllo regionale, nel blocco congiunto e nell’attacco di precisione (J. Dotson & J. Harman, The PLA’s “Strait Thunder-2025A” Exercise Presents Further Efforts to Isolate Taiwan, Global Taiwan Institute, April 16, 2025).

 

Kinmen: la Berlino Ovest dell’Asia

Taipei amministra una serie di isole minori distanti pochi chilometri dalla costa cinese quali Kinmen (12 isolette per 157 km2), a 3 km dalla città di Xiamen, e Matsu (19 isolette per 29 km2), a 16 km dalla città di Fuzhou, e le Penghu (90 isolette per 140 km2) nell’arcipelago delle Pescadores a 50 km a ovest di Taiwan.

Gli arcipelaghi delle isole di Kinmen e delle Matsu sono stati oggetto in passato sia di tentativi falliti di sbarco nel 1949 da parte delle truppe comuniste sia d’intensi bombardamenti sino agli anni ’70, che stime locali valutano in circa un milione di colpi di artiglieria (cannoneggiamenti limitati negli ultimi anni al solo lancio di proietti con volantini di propaganda).

Queste isole sono state anche al centro delle crisi dello Stretto di Taiwan del 1954-1955 e del 1958.

Kinmen (“porta dorata” in mandarino), in particolare, era considerata durante la Guerra Fredda la “Berlino Ovest dell’Asia” in quanto, circondata da tre lati dalle spiagge cinesi, risultava la località più avanzata del fronte internazionale anti-comunista in Estremo Oriente (Fulbright Taiwan, A Brief History of Kinmen).

In entrambe le crisi, gli Stati Uniti hanno impiegato propri assetti militari, comprese navi della Settima Flotta, per garantire alla guarnigione le capacità operative per difendere l’isola e per mostrare la volontà americana di sostenere Taiwan: una linea di confronto tra Cina e USA.

Negli anni ’50 e sino ai primi anni ’60 l’isola è stata la base di partenza delle incursioni sul territorio cinese da parte di partigiani nazionalisti (supportati da consiglieri statunitensi), gran parte dei quali originari delle città e dei villaggi della costa sud orientale cinese (A. Rosselli, La resistenza anti comunista in Cina dopo il 1949, Storia Verità, 30 ottobre 2024).

La situazione di queste isole periferiche viene paragonata al Donbass ucraino, tenuto conto che nel corso degli anni si è rafforzato il rapporto tra le popolazioni delle due sponde, che parlano lo stesso dialetto ed hanno comuni identità storico-culturali e legami personali e familiari. Kinmen, tra l’altro, riceve acqua potabile ed energia elettrica dalla Cina continentale.

Recentemente è stato riattivato il servizio di ferryboat tra le due isole e la Cina (avviato nel 2001 quando le relazioni tra Pechino e Taipei erano temporaneamente migliorate), sospeso nel febbraio 2020 a causa del covid 19, soprattutto per agevolare il rientro a casa nel tempo libero degli uomini d’affari taiwanesi (Ferry connections between countries, China to continue, Taipei Times, Mon, Feb 06, 2023).

L’atteggiamento di Pechino verso queste isole è cambiato a partire dalla visita a Taipei di Nancy Pelosi del 2-3 agosto 2022. Il 25 agosto di quell’anno le Forze Armate di Taiwan hanno abbattuto – per la prima volta – un drone civile non identificato (ma proveniente dalla costa cinese) entrato nello spazio aereo nei pressi di Kinmen (the Guardian, Taiwan shoots down drone off Chinese coast for first time, 1 Set 2022).

Progressivamente la pressione è aumentata, secondo la tattica del “salami slicing” (affettare il salame), soprattutto dopo l’elezione del nuovo Presidente taiwanese (13 gennaio 2024), con la regolare presenza di navi della Guardia Costiera cinese, il pattugliamento di velivoli e l’invio di palloni areostati  intorno a queste isole per confermare che non esistono zone “off-limit” per Pechino nello Stretto di Taiwan, considerato un “mare interno”.

La morte (per annegamento) di due pescatori cinesi, avvenuta il 14 febbraio 2024, a seguito del rovesciamento del battello, mentre era inseguito da una nave della Guardia Costiera taiwanese in quanto si era avvicinato troppo alle spiagge di Kinmen e rifiutava di farsi ispezionare, ha provocato un ulteriore inasprimento della tensione offrendo il pretesto a Pechino di iniziare a ispezionare i battelli turistici e pescherecci taiwanesi (K. Ng, Taiwan: Two Chinese fishermen die after sea chase with coastguard, BBC, 15 February 2024).

Il rafforzamento delle attività di controllo (law enforcement) da parte della Guardia Costiera cinese ha portato ad abbordare il 19 febbraio 2024 un’imbarcazione turistica taiwanese nei pressi delle isole vicine alla costa continentale per esaminare i documenti di navigazione, lasciandola ripartire dopo mezz’ora (Reuters, China coast guard boarded Taiwanese boat near frontline islands, Taiwan says, February 19, 2024), ed a sequestrare nelle sue acque territoriali il 2 luglio 2024 un peschereccio per pesca illegale, costringendolo a raggiungere un porto sulla costa della Cina (C. Buckley and A. Chang Chien, China Seizes Taiwanese Fishing Boat in Latest Uptick in Tensions, July 3, 2024). La Cina aveva già sequestrato 17 pescherecci taiwanesi dal 2003 ma l’ultimo evento risaliva al 2007.

L’importanza di Kinmen e Penghu, anche per aspetti di fermezza nei confronti della pressione cinese, ha determinato – come ammesso dal Ministro della Difesa di Taipei – lo stazionamento di forze speciali statunitensi per addestrare unità taiwanesi dislocate sulle isole secondo il U.S. National Defense Authorization Act for Fiscal Year 2023 (K. Everington, Taiwan confirms presence of US Green Berets on outer islands, Taiwan News, Mar. 15, 2024).

La presenza permanente di truppe statunitensi nel Paese, riconosciuta per la prima volta dalla Presidente Tsai Ing-wen in un’intervista alla CNN del 28 ottobre 2021, assume anche una funzione di deterrenza nei confronti della Cina qualora intenda intervenire militarmente.

 

La Grande Strategia Cinese

La “grande strategia cinese”, quale approccio generale di Pechino nel perseguire i propri interessi nazionali con l’utilizzo coordinato di mezzi politici, militari, economici, infrastrutturali, diplomatici e culturali, è caratterizzata da una visione strategica a livello mondiale contraddistinta da una condotta penetrante ma paziente e di basso profilo, a differenza degli strateghi occidentali che vedono il mondo come una partita a scacchi (alla ricerca della battaglia decisiva).

Una impostazione che ricorda il gioco da tavolo Wei Qi (scritto anche Wei-Ch’i), considerato dalla maggior parte degli esperti orientali il più grande gioco di abilità strategica del mondo, superando di gran lunga gli scacchi per complessità e portata.

Le regole di Wei Qi, che significa “gioco di accerchiamento” (del nemico a lungo termine) o “scacchi di accerchiamento”, prevedono di catturare un territorio posizionando segnalini sulla scacchiera, secondo il primo principio del trattato di strategia militare “L’ Arte della Guerra” del generale e filosofo cinese Sun Tzu (vissuto probabilmente fra il VI e il V secolo a.C.) di “vincere guerre senza battaglie” (raggiungere l’obiettivo senza distruggerlo).

Una delle principali pedine della grande strategia cinese è rappresentata dalla Marina Militare.

Come affermava nella seconda metà del XVI secolo Sir Walter Raleigh (1552-1618), navigatore, corsaro e poeta inglese (componente di spicco dei famosi Sea Dogs), “[…] perché chi comanda il mare comanda il commercio; chi comanda il commercio del mondo comanda le ricchezze del mondo e, di conseguenza, il mondo stesso”. E solo una adeguata Marina Militare è in grado di tutelare la propria Marina Mercantile.

 

L’approntamento delle Forze Armate Cinesi

L’Ufficio Informazioni del Consiglio di Stato della Repubblica Popolare Cinese ha pubblicato il 24 luglio 2019 il Libro Bianco “La Difesa Nazionale nella Nuova Era” (China’s National Defense in the New Era).

Il Libro Bianco sottolinea che America e Cina sono ormai superpotenze in competizione e che le Forze Armate di Pechino si stanno potenziando per essere in grado di sfidare Washington.

Il documento indica i “separatisti” di Taiwan, del Tibet e dell’Est Turkestan (Regione autonoma dello Xinjiang) le principali minacce per la Cina, unitamente ai pericoli delle dispute territoriali, e pone in evidenza il ruolo degli Stati Uniti sottolineando che “Paesi esterni alla regione conducono frequenti ricognizioni ravvicinate sulla Cina per via aerea e marittima ed entrano illegalmente nelle acque territoriali cinesi e nelle acque e nello spazio aereo vicino alle isole e alle barriere coralline cinesi, minando la sicurezza nazionale della Cina“. In tale contesto, gli obiettivi della difesa nazionale per salvaguardare con determinazione la sovranità, la sicurezza e gli interessi di Pechino sono definiti in ordine prioritario:

  • dissuadere e resistere alle aggressioni (to deter and resist aggression);
  • salvaguardare la politica di sicurezza nazionale, la sicurezza della popolazione e la stabilità sociale (to safeguard national political security, the people’s security, and social stability);
  • opporsi e contenere la “indipendenza di Taiwan” (to oppose and contain “Taiwan independence”);
  • reprimere i sostenitori di movimenti separatisti come la “indipendenza del Tibet” e la creazione del “Est Turkistan” (to crack down on proponents of separatist movements such as “Tibet independence” and the creation of “East Turkistan”);
  • salvaguardare la sovranità nazionale, l’unità, l’integrità territoriale e la sicurezza (to safeguard national sovereignty, unity, territorial integrity, and security);
  • salvaguardare i diritti e gli interessi marittimi della Cina (to safeguard the PRC’s maritime rights and interests);
  • salvaguardare gli interessi di sicurezza della Cina nello spazio, nello spettro elettromagnetico e nel cyberspazio (to safeguard the PRC’s security interests in outer space, the electromagnetic spectrum, and cyberspace);
  • salvaguardare gli interessi della Cina all’estero (to safeguard the PRC’s overseas interests);
  • supportare lo sviluppo sostenibile del Paese (to support the sustainable development of the country).

I tre traguardi strategici per lo sviluppo della difesa nazionale e delle Forze Armate nel citato Libro Bianco del 2019 (“Nuova Era”) sono:

  • entro il 2020 (meccanizzazione): raggiungere la “meccanizzazione” con un’informatizzazione significativamente potenziata e con capacità strategiche notevolmente migliorate;
  • entro il 2035 (modernizzazione): completare l’aggiornamento della dottrina, della struttura organizzativa, del personale militare, degli armamenti e degli equipaggiamenti, di pari passo con la modernizzazione del Paese, e completare il processo di rinnovamento della difesa nazionale e delle Forze Armate;
  • entro il 2049 (Forza Armata di livello mondiale): trasformare l’Esercito Popolare di Liberazione (PLA) in una Forza di “livello mondiale” per renderlo in grado di sostenere con successo un confronto militare (peer to peer) con una potenza di pari capacità, in coincidenza con il centenario della Repubblica Popolare di Cina (S. TRADOC, How China Fights in Large-Scale Combat Operations, 30 April 2025).

 

Nel 2020 è stata aggiunta anche una nuova fase intermedia per il 2027: accelerare lo sviluppo integrato della meccanizzazione, dell’informatizzazione e dell’intelligenza artificiale, per garantire una Forza pronta al combattimento entro il centenario dell’Esercito Popolare di Liberazione.

Secondo i Libri Bianchi sulla Difesa Nazionale (China’s National Defense in 2010; China’s Military Strategy 2015) ed i materiali didattici del PLA, come “La Scienza della Strategia Militare” (The Science of Military Strategy 2001, 2013) la meccanizzazione è definita come segue:

Le forze di combattimento sono equipaggiate principalmente con armi meccanizzate moderne, possiedono un certo grado di mobilità tridimensionale e capacità di combattimento coordinato e sono in grado di svolgere operazioni congiunte in condizioni di informatizzazione”.

Lo sviluppo di un sistema GNSS (Global Navigation Satellite System) di navigazione satellitare autonomo, il BeiDou System, consente a Pechino di non dipendere più dal sistema statunitense GPS che gli USA potrebbero bloccare in caso di crisi o di conflitto, come è avvenuto in occasione della “terza crisi dello Stretto” (luglio 1995-marzo 1996). La crisi era stata originata dalla decisione del Presidente della Repubblica di Taiwan di cercare un maggiore riconoscimento internazionale come “Paese separato”.

Questa azione è stata vista come una sfida alla politica della “una sola Cina” di Pechino, secondo la quale Taiwan era (ed è) parte integrante della Cina. In risposta, la RPC ha avviato una serie di esercitazioni nello Stretto di Taiwan (esercitazioni a fuoco, test missilistici e simulazioni di invasioni anfibie) con l’obiettivo di intimidire Taipei e dimostrare la propria determinazione a riunificare l’Isola.

Con il BeiDou System la Cina ha raggiunto l’indipendenza satellitare, che garantisce una copertura globale ad alta precisione nel settore civile, industriale e, soprattutto, militare. I dati di posizionamento e di sincronizzazione del sistema consentono di migliorare l’accuratezza dei missili balistici con correzione della traiettoria in tempo reale, aumentando la precisione dell’impatto e l’efficacia e letalità dell’arsenale missilistico.

Pechino ha, inoltre, lanciato il 5 agosto 2024 il primo lotto di 18 satelliti della Costellazione G60, quale primo passo per la creazione di una rete di 15.000 satelliti in orbita terrestre bassa entro il 2030 in grado di fornire servizi a banda larga e multimediali. Questa costellazione dovrebbe supportare varie applicazioni come l’innovazione dei dispositivi mobili, la guida autonoma, la prevenzione delle catastrofi e l’accesso ad Internet. Le applicazioni in campo militare della G60, simile alla Costellazione Starlink, riguarderanno il comando e controllo, la guerra elettronica e l’impiego dei droni.

 

Il grande sogno

Il Presidente Xi Jinping ha avviato la riforma delle Forze Armate nel 2016 con l’obiettivo di realizzare “il sogno di un esercito potente” in grado di affrontare alla pari le Forze Armate statunitensi.

Il 31 dicembre 2015, Xi Jinping ha presieduto alla cerimonia di consegna delle bandiere dell’Esercito, delle Forze Missilistiche e delle Forze di Supporto Strategico. Il giorno di Capodanno del 2016, il Partito Comunista Cinese ha pubblicato le “Opinioni sull’approfondimento della riforma della Difesa Nazionale e delle Forze Armate”.

Con l’aumento delle spese per la Difesa sono stati innovati nel tempo l’organizzazione e gli equipaggiamenti del PLA, superando le Nazioni vicine in termini di capacità militari (U.S. Department of Defense, Military and Security Developments Involving the People’s Republic of China, 2023).

La riforma ha anche accentrato nel Chairman del CMC (Central Military Commission), Xi Jinping, il pieno controllo del People’s Liberation Army (PLA), People’s Armed Police (PAP) e Militia.

La Repubblica Popolare Cinese ha iniziato a modernizzare le Forze Armate già a partire dal 1993, avendo riscontrato il significativo divario con gli Stati Uniti dopo la Prima Guerra del Golfo (1990-1991). L’Esercito Popolare di Liberazione ha di conseguenza avviato un programma di rinnovamento che consenta entro il 2035 di raggiungere la parità (se non la superiorità) con gli USA o con qualsiasi altra potenza concorrente entro il 2049, anno del centenario della RPC e termine della vittoriosa guerra civile. La Cina ritiene di poter raggiungere questi obiettivi perseguendo un triplice approccio:

  • trasformazione dottrinale e rigore ideologico;
  • sfruttamento della tecnologia per modellare il carattere dei conflitti moderni (strategie, modalità di condotta, mezzi ed equipaggiamenti);
  • innovazione dei metodi di addestramento per compensare la mancanza di esperienza in combattimento ( M. McInnis, Russia and China look at the future of war, Institute for the Study of War, September 2023).

L’11 aprile 2023, il Presidente Xi ha tenuto un discorso al Comando del Teatro Sud in cui ha ordinato alle Forze Armate di “[…] potenziare l’addestramento in condizioni di combattimento reali, approfondire lo studio della guerra e degli aspetti operativi, rinnovare i concetti di combattimento e i metodi di combattimento e addestramento, e intensificare l’addestramento force-on-force sulla base dei piani operativi”.

L’addestramento “force-on-force” è una forma avanzata di addestramento operativo che simula situazioni di combattimento reali utilizzando armi non letali, come softair o simunition, contro avversari che interagiscono attivamente. Questo tipo di attività mira a testare le capacità di risposta di un individuo in situazioni di stress elevato, sia a livello fisico sia psicologico.

Xi ha proseguito sottolineando inoltre che (le Forze Armate) “[…] dovrebbero sviluppare nuove tipologie di forze e di mezzi da combattimento e accelerare gli sforzi per incorporare nuovi equipaggiamenti e nuove forze nelle capacità di combattimento attuali” (Xinhua, Xi inspects navy of PLA Southern Theater Command, 2023-04-13).

Nella circostanza, il Presidente Xi ha dato istruzioni al PLA di essere pronto entro il 2027 per una “contingenza Taiwan”, anche se ciò non significa che abbia deciso di procedere con l’invasione dell’Isola nel 2027 o in un altro anno (T. Hosoda, Japan and the Taiwan ‘Contingency’, Sinopsis, 3.5.2023).

 

In preparazione del piano di “contingenza Taiwan”

In previsione della “contingenza Taiwan” la Cina avrebbe ampliato uno dei suoi centri di addestramento nella Mongolia Interna con nuove strutture (mock-up) simili ai palazzi governativi di Taipei. L’iniziativa segnala il crescente impegno di Pechino nella condotta di realistiche esercitazioni volte a preparare le forze del PLA ai combattimenti nella Capitale ed in particolare alla “decapitazione” della leadership taiwanese, oltre che intimidire ulteriormente i leader e l’opinione pubblica (ISW, China-Taiwan Weekly Update, October 10, 2025).

Tenuto conto, inoltre, delle difficoltà nella condotta di un’operazione anfibia su larga scala in quanto le aree idonee allo sbarco di truppe ed equipaggiamenti pesanti sono condizionate dalla natura delle coste e dalla limitata capacità di scarico sulle spiagge, L’Esercito Popolare di Liberazione sta individuando soluzioni per diversificare sia i metodi sia i luoghi in cui possa immettere le forze in Taiwan. Ciò anche nella considerazione che, come ha scoperto la Russia durante l’invasione dell’Ucraina, la conquista degli aeroporti per consentire alle truppe di affluire per via aerea potrebbe non risultare di facile attuazione poiché le piste di atterraggio possono essere difese e rapidamente rese inutilizzabili.

Nel 2023 la Russia avrebbe fornito al PLA armi ed attrezzature per equipaggiare reparti aviotrasportati, nonché attrezzature speciali necessarie per l’infiltrazione aviotrasportata delle forze speciali, unitamente all’addestramento degli operatori e del personale tecnico all’uso di tali materiali ed al trasferimento di tecnologie che dovrebbero consentire alla Cina di aumentare la produzione di armi e attrezzature militari analoghi.

Il supporto di Mosca avrebbe previsto anche la possibilità di paracadutare mezzi corazzati sui campi da golf o su altre aree aperte con terreno solido nei pressi dei porti e degli aeroporti di Taiwan per consentire alle truppe d’assalto aereo d’incrementare significativamente la loro capacità di combattimento e prendere rapidamente il controllo di queste infrastrutture per aprire la strada allo sbarco delle aliquote di rinforzo.

I materiali forniti sono compatibili con gli aerei Il-76/78 di fabbricazione russa e con attrezzature e piattaforme paracadutabili utilizzate per l’atterraggio dei veicoli (capacità dimostrata dalle forze russe durante la recente esercitazione Zapad). Gli accordi prevedono anche l’invio di istruttori per addestrare i piloti e i membri dell’equipaggio cinesi all’atterraggio con tale tecnica (O. Danylyuk and J. Watling, How Russia is Helping China Prepare to Seize Taiwan, RUSI, 26 September 2025).

 

La “malattia della pace”

Il timore, tuttavia, di Xi Jinping è che le Forze Armate non siano pronte a sostenere un conflitto convenzionale su larga scala (simile a quello russo-ucraino) perché afflitte, a suo dire, dalla sindrome della “malattia della pace”.

Il PLA, infatti, ha sostenuto gli ultimi combattimenti oltre 40 anni fa a seguito dell’offensiva lanciata nel febbraio-marzo 1979 contro il Vietnam, considerata la più grande operazione dai tempi della Guerra di Corea (1950 – 1953), in risposta all’invasione della Cambogia da parte di Hanoi, che aveva posto fine al regime di terrore dei Khmer Rossi sostenuto da Pechino.

L’esercito cinese già allora aveva dimostrato sul campo limiti nelle proprie capacità operative per le tattiche utilizzate (attacchi ad ondate con elevate perdite).

Gli scontri di confine sono proseguiti per tutti gli anni ’80, compreso un significativo combattimento nell’aprile 1984. Nel 1988 Cina e Vietnam hanno sostenuto anche una cruenta battaglia navale al largo delle isole Spratly. Il conflitto è terminato definitamente nel 1989 quando i Vietnamiti si sono ritirati dalla Cambogia.

Il Giornale Ufficiale dell’Esercito Popolare di Liberazione (edizione del 21 giugno 2018) riporta una delle prime esternazioni di Xi Jinping relativa al fatto che i militari cinesi soffrirebbero di una sorta di “malattia della pace” (heping bing) che li renderebbe inadeguati a combattere. Tale affermazione risale al marzo del 2018, durante la doppia sessione annuale dell’Assemblea Nazionale del Popolo e della Conferenza Politica Consultiva del Popolo Cinese, quando il Presidente Xi, intervenendo in una riunione plenaria dell’Esercito Popolare di Liberazione e della delegazione delle forze di polizia, ha sottolineato come bisognasse “curare” vigorosamente la “malattia della pace” ed addestrare i Cinesi a fare la guerra e ad esercitarci in modo mirato.

Nel luglio 2016, durante la battaglia di Juba (Sud Sudan), tra le forze governative e i ribelli, le Nazioni Unite avevano incaricato i peacekeeper cinesi di proteggere i civili dalle formazioni di insorti. I soldati del PLA avrebbero invece abbandonato le loro posizioni unitamente alle armi e munizioni, lasciando i civili, di cui erano responsabili, alle violenze dei guerriglieri, come è emerso da alcune investigazioni indipendenti (J. Burke, UN peacekeepers refused to help as aid workers were raped in South Sudan – report, The Guardian, Thu 6 Oct 2016). Il governo cinese ha tuttavia smentito questa versione dei fatti, rigettando le accuse come “speculazioni maliziose” (Reuters, China denies allegations its peacekeepers abandoned South Sudan posts, October 11, 2016).

Secondo Xi, la “malattia della pace” è un corrosivo fatale per l’efficacia del combattimento, erode la predisposizione dei soldati nei confronti della guerra e mina l’entusiasmo per l’addestramento.

Solo rimuovendo tale “malattia” con provvedimenti efficaci, trattando sia i sintomi sia le cause profonde, sarà possibile – a suo dire – concentrarsi sulla preparazione ad un conflitto. L’espressione “malattia della pace” è stata riutilizzata in tempi più recenti, soprattutto dopo lo scoppio del conflitto in Ucraina (The Economist, Xi Jinping worries that China’s troops are not ready to fight, Nov 6th 2023).

 

Corruzione e purghe

Il processo di rinnovamento delle Forze Armate ha consentito di modificare il sistema organizzativo di controllo, collocare in pensione e sostituire gradualmente molti ufficiali generali e funzionari di alto rango (Politico, China’s Xi goes full Stalin with purge, December 6, 2023) ed accentuare la campagna anti-corruzione avviata da Xi Jinping sin dal 18th Central Committee del PCC (18th CPC National Congress on Nov. 14, 2012).

Il recente rapporto del Director of National Intelligence USA (DNI) evidenzia come il fenomeno della corruzione, malgrado gli sforzi di Xi, continui ad essere presente a tutti i livelli del governo della Repubblica Popolare di Cina (RPC) e in tutto il Partito Comunista Cinese (PCC). Il rapporto sottolinea che “[…] la corruzione in Cina è dovuta principalmente a caratteristiche strutturali che centralizzano il potere, evitano controlli indipendenti o responsabilità – specialmente a livello provinciale – e producono incentivi perversi per l’avanzamento politico e l’arricchimento finanziario”.

Il resoconto del DNI ha rilevato che dal 2012 al 2022 sono stati indagati quasi 5 milioni di funzionari del governo della RPC e del PCC, dei quali 4,7 milioni sono stati giudicati colpevoli; nel 2024 la campagna anticorruzione ha preso di mira più di cinquanta alti dirigenti governativi.

La corruzione, sempre secondo tale rapporto, sarebbe fortemente radicata in tutti i settori dell’Esercito Popolare di Liberazione e dell’industria della Difesa, anche dopo che Xi ha avviato la campagna anti-corruzione dal 2012 (Office of the Director of National Intelligence, Wealth and Corrupt Activities of the Leadership of the Chinese Communist Party, March 2025).

Il fenomeno corruttivo riguarderebbe promozioni a pagamento, la supervisione di programmi di ricerca, acquisizione e sviluppo di nuovi equipaggiamenti e di progetti relativi alla modernizzazione di silos missilistici terrestri nucleari e convenzionali (U.S. Department of Defense, Military and Security Developments Involving the People’s Republic of China, Annual Report to Congress 2024).

Dal XX Congresso Nazionale del Partito, tenutosi nell’ottobre 2022, più di 20 alti ufficiali del PLA provenienti da tutte e quattro le Forze Armate (Esercito, Marina, Aeronautica e Forze Missilistiche) sono scomparsi dalla scena pubblica o rimossi dai loro incarichi.

Un recente provvedimento ha visto il Partito Comunista Cinese rimuovere nove generali di alto rango (la maggior parte dei quali generali a tre stelle) che facevano parte del Comitato Centrale del Partito in quella che è stata una delle più grandi operazioni di “risanamento pubblico” delle F.A. degli ultimi decenni. I nove ufficiali, sospettati di gravi reati finanziari secondo quanto riportato in una dichiarazione rilasciata dal Ministero della Difesa cinese, sono stati anche espulsi dalle forze armate.

L’epurazione risulterebbe fa parte di un’importante ristrutturazione della leadership dell’Esercito Popolare di Liberazione (PLA) e riflettere il continuo scetticismo di Xi Jinping riguardo alla lealtà politica dell’élite militare (T. Wong, Chinese Communist Party expels top generals in sweeping military crackdown, BBC, 17 October 2025).

Tali epurazioni costituiscono, tuttavia, una battuta d’arresto per Xi, che ha investito un ingente budget nello sviluppo di nuovi equipaggiamenti come parte degli sforzi di ammodernamento per avere Forze Armate “di classe mondiale” entro il 2050, con il bilancio della Difesa aumentato ad un ritmo più veloce dell’economia (la spesa nel 2024 è cresciuta del 7% per raggiungere i 314 miliardi di dollari, la metà del totale regionale e secondo bilancio mondiale dopo quello USA di 997 dollari (SIPRI Yearbook 2025).

Tra le possibili motivazioni di queste “purghe”, oltre alla lotta alla corruzione, vi sono la gestione dei contrasti tra fazioni, l’affermazione del proprio ruolo di autocrate anziano, il superamento della limitata esperienza militare e il seguire precedenti storici per il pieno controllo della Difesa.

È da ritenere, tuttavia, che tali provvedimenti porteranno a nomine basate sulla fedeltà e potrebbero compromettere l’efficacia operativa del PLA, generando insicurezza e dissapori tra gli ufficiali ed indebolendo il morale e la prontezza al combattimento.

Analisti ritengono che il periodico “giro di vite” (che ha interessato anche due ministri della Difesa e uno degli Esteri e soprattutto i vertici delle Rocket Force) e il problema cronico della corruzione all’interno delle Forze Armate potrebbero dissuadere Xi dal rischiare confronti peer to peer (capacità uguali o simili) con altre Forze Armate nei prossimi 5-10 anni per mancanza di fiducia nei propri diretti comandanti (Indo-Pacific Defense Forum, Xi may not control, trust the CCP’s military, analysts say, May 18, 2025).

 

Il potenziamento delle capacità operative del PLA

Consapevole della mancanza di “esperienza sul campo” Pechino ha avviato da tempo una serie di iniziative per migliorare l’approntamento, la coesione e le capacità combat delle Forze Armate, incrementando sensibilmente le attività addestrative congiunte, prevalentemente con la Russia a partire dal 2003 e di recente con altri Paesi “amici”. Dal 2024 la Cina ha esteso le esercitazioni con la Bielorussia, Egitto, Iran, Laos, Tanzania e recentemente con il Vietnam.

Quasi un terzo delle oltre 90 esercitazioni terrestri, navali, aeree e multidominio svolte dal 2003 tra Russia e Cina sono avvenute dal febbraio 2022 dopo l’invasione dell’Ucraina da parte di Mosca con un maggiore impegno in termini di dimensioni, unità coinvolte e portata geografica (H. von Essen, Joint military exercises signal deepening Russia-China strategic alignment, Mercator Institute for China Studies, May 07, 2025).

Pietra miliare di questa nuova concezione è stata l’esercitazione a fuoco “Zapad 2021” (Ovest o Occidente 2021) condotta dal 9 al 13 agosto 2021 nella Cina Occidentale, con l’obiettivo di consolidare il partenariato strategico Cina-Russia nella “nuova era”, approfondire la cooperazione sul campo, salvaguardare la sicurezza e la stabilità regionale. La “Zapad 2021” è stata la prima a guida PLA e la prima esercitazione svoltasi interamente in Cina con l’utilizzo di armi prevalentemente cinesi. Per la prima volta, il PLA ha costituito tre livelli di centri di comando bilingue (russo-cinese) per garantire il coordinamento tra i 10.000 militari cinesi e i 13.000 russi che si sono addestrati in unità miste (L. Desheng and Z. Xiaoyu, China-Russia joint exercise ZAPAD/INTERACTION-2021 wraps up, China’s Ministry of National Defense, 2021-08-13).

La crescita maggiore si è registrata nelle esercitazioni navali ed aeree, che rappresentano 22 delle 27 avvenute dal 2022, quando i due Stati hanno condotto 16 esercitazioni navali, di cui sette nel 2024 (alcune con la partecipazione dell’Iran), con il primo pattugliamento congiunto nell’Oceano Artico e la prima collaborazione tra guardie costiere, e 9 pattugliamenti aerei dal 2019, quale risposta al potenziamento militare degli Stati Uniti nella regione dell’Indo-Pacifico.

Mentre le esercitazioni terrestri sono diventate meno frequenti per l’impegno russo nel conflitto ucraino, le manovre aeronavali avvengono periodicamente sia per acquisire maggiore interoperatività sia quale segnale verso gli Stati Uniti e suoi alleati/partner di un legame politico Pechino-Mosca sempre più stretto.

Nel 2024, i due Paesi hanno svolto 11 esercitazioni, un numero superiore a quello degli anni precedenti. Queste esercitazioni sono diventate più sofisticate ed effettuate sempre più spesso in regioni strategicamente sensibili dove la Cina deve affrontare tensioni marittime, quali il Mar Giallo, il Mar Cinese Orientale e il Mar Cinese Meridionale.

Il 3-6 agosto 2025 è stata condotta l’esercitazione multidomio ed a fuoco “Joint Sea-2025” nelle acque antistanti il porto russo di Vladivostok sul Pacifico nell’ambito del piano di cooperazione annuale tra le due Forze Armate che ha avuto inizio nel 2012 con la serie “Joint Sea” (Ministry of National Defense of the People’s Republic of China, Chinese, Russian naval taskforces conclude maritime drill of Exercise Joint Sea 2025, 2025-08-06).

Il PLA ha intensificato, inoltre, lo studio e l’addestramento dei combattimenti nei centri abitati basandosi sulle osservazioni/lezioni apprese da altre Forze Armate per indirizzare la propria preparazione, mancando di esperienza in tale settore (E. B. Kania and I. B. McCaslin, The PLA’s evolving outlook on urban warfare: learning, training, and implications for Taiwan, ISW, April 2022).

Qualsiasi operazione per ottenere la “riunificazione” con Taipei, infatti, potrebbe richiedere intensi combattimenti nelle città, tenuto conto dell’elevata urbanizzazione dell’Isola (oltre il 90% della popolazione vive in aree urbane).

Nell’aprile 2025, l’Agenzia Reuters ha riferito che ufficiali cinesi hanno visitato varie località prossime alla linea del fronte russo-ucraino per trarre insegnamenti, migliorare le tattiche e conoscere le caratteristiche di armi e mezzi occidentali (affrontati in combattimento o catturati), il loro funzionamento, i punti deboli e i modi di fronteggiarli.

Il progetto di questi “tour” risponderebbe alla direttiva di Xi Jinping di approfondire lo studio della guerra e di migliorare l’addestramento al combattimento del PLA (A. Fratsyvir, Reuters: Chinese military officers have been present behind Russian lines with Beijing’s approval, The Kyiv Indipendent, 12 apr 2025).

La necessità di ridurre il gap capacitivo della propria aeronautica (soprattutto rispetto agli USA) ha indotto Pechino ad avviare da alcuni anni una campagna di reclutamento di ex piloti di caccia di Nazioni occidentali (Australia, Canada, Germania, Gran Bretagna, Nuova Zelanda, USA) per addestrare gli aviatori cinesi nell’apprendere le tecniche di combattimento aereo americane ed alleate ed avere anche una preziosa conoscenza su come contrastare le tattiche occidentali.

L’iniziativa, secondo funzionari d’intelligence statunitensi, è realizzata utilizzando aziende private situate in varie Paesi del mondo, che hanno creato centri di addestramento nominalmente indipendenti dal PLA, tra cui il Sudafrica, Kenya, Laos, Malesia, Singapore e Tailandia, e che offrono al personale reclutato elevati stipendi. L’addestramento sarebbe avvenuto anche in Cina (nel 2022 un aereo cinese si è schiantato al suolo e uno dei piloti eiettato parlava inglese).

La Cina ha, inoltre, intensificato il monitoraggio delle esercitazioni USA utilizzando droni, palloni aerostatici e altre tecnologie, nei pressi delle basi militari e delle portaerei per apprendere come i velivoli decollano/appontano e conducono le operazioni (J. E. Barnes and H. Cooper, Allies Warn Former Fighter Pilots Not to Train Chinese Military Members, The New York Times, June 5, 2024).

 

Le missioni di Peacekeeping

Negli ultimi anni, infine, la Cina ha intensificato il contributo di truppe alle operazioni di Peacekeeping delle Nazioni Unite in Africa e in Medio Oriente tra cui MINURSO, UNIFIL (nella foto sotto), UNISFA, UNMISS), soprattutto nei Paesi in cui Pechino può anche curare la protezione dei propri interessi e dei propri cittadini.

Una forte partecipazione alle missioni delle Nazioni Unite è il modo migliore per la Cina di acquisire esperienza operativa sul campo, costruire una cooperazione multilaterale, potenziare le relazioni bilaterali e promuovere un’immagine positiva a livello mondiale.

In occasione del 50° anniversario dell’ingresso della Cina nell’ONU (1971), il ministro degli Esteri Wang Yi ha sottolineato che il Paese aveva partecipato a 29 missioni di mantenimento della pace passate e presenti con un impegno di oltre 50.000 militari (The Associated Press, China touts role in UN peacekeeping, Middle East peace, June 25, 2021).

Attualmente Pechino è l’ottavo Paese contributore per numero di truppe e forze di polizia (1.876 unità ad agosto 2025) e il secondo per budget finanziario, che fornisce più Caschi Blu degli altri quattro membri permanenti del Consiglio di Sicurezza messi insieme ed il 18,7% dei fondi destinati al programma di mantenimento della pace delle Nazioni Unite.

 

I “volontari cinesi”

Nell’aprile 2025 il Presidente Ucraino, Volodymyr Zelenskyy, ha riportato ai media (a suo dire con documentazione probatoria) che l’intelligence ucraina aveva identificato 168 cittadini cinesi (età 19-56 anni) che combattevano con le forze russe, anche se riteneva molto più alto il loro numero.

Questi Cinesi, nel grado di soldato, sottufficiale e ufficiale, sarebbero stati impiegati quali fucilieri, tiratori scelti, artiglieri (addetti ai cannoni, lancia-razzi e missili), esploratori/ricognitori ed operatori di droni. L’incarico ed i gradi rivestiti lasciavano intendere che molti di questi avevano una precedente esperienza militare nel PLA (C. Miller, Ukraine says more than 150 Chinese nationals fighting for Russia, The Financial Times, Apr 9 2025).

Il governo di Pechino, nello smentire fermamente le dichiarazioni del Presidente ucraino, ha affermato che si tratterebbe di “volontari” i quali, a titolo personale e per mera attrazione economica (mercenari), si erano arruolati nelle unità russe e che non avevano nulla a che fare con il PLA.

Fonti giornalistiche di Taiwan, non confermate, riportano un numero ben superiore (alcune migliaia) di militari o ex militari cinesi impiegati nei combattimenti in Ucraina (G. Lailari, Implication of PLA soldiers fighting for Russia in Ukraine, Taipei Times, Apr 28, 2025).

Durante la guerra di Corea (1950-1953) Mao Zedong asserì che i Cinesi che combattevano contro le forze delle Nazioni Unite erano parte dell’“Esercito Volontario del Popolo” per celare la loro appartenenza al PLA.

L’esperienza e gli insegnamenti tratti dall’invasione russa dell’Ucraina rappresentano un problema per Taiwan (e altri Paesi dell’Indo-Pacifico), in quanto presuppongono che le F.A. cinesi:

  • realizzino processi organizzativi efficaci per identificare gli errori dottrinali e operativi ed adottare gli opportuni provvedimenti correttivi;
  • apprendano dall’esperienza ucraina per migliorare le capacità operative per prevalere su Taiwan;
  • correggano le tattiche relative all’uso di droni, missili anticarro ed armi a lunga gittata;
  • utilizzino le soluzioni sviluppate dalla Russia per operazioni psicologiche contro Taiwan e i suoi alleati.

 

La componente navale

La “Grande Strategia Cinese” si basa su di una forte ed articolata componente navale risultato di una grande trasformazione negli ultimi decenni, evolvendo da una forza di difesa costiera ad una moderna marina d’altura (blue-water navy) in grado di proiettare le proprie potenzialità ben oltre le sue coste. Tale evoluzione riflette la crescente influenza economica e geopolitica della Cina, così come le sue ambizioni di assicurare le vitali rotte marittime.

La Strategia navale si basa su di una combinazione delle teorie dell’Ufficiale di Marina e Storico statunitense Alfred Thayer Mahan (Dominio Navale) e dello storico navale britannico Julian Stafford Corbett (Controllo del Mare).

Particolare rilievo a questa visione è stato attribuito da Pechino con la pubblicazione nel 2015 del documento strategico “Difesa dei mari vicini e protezione dei mari lontani” (Near Seas Defense and Far Seas Protection), al potenziamento delle capacità navali con l’espansione dell’ambito geografico e delle operazioni. Una strategia che prevede:

  • il mantenimento del controllo sulle acque territoriali (mari vicini), compresi il Mar Giallo, il Mar Cinese Orientale e il Mar Cinese Meridionale, sino alla Prima Catena delle Isole, al fine di scoraggiare qualsiasi tentativo di bloccare l’accesso all’Oceano Pacifico e salvaguardare i diritti e gli interessi marittimi cinesi in queste regioni;
  • l’espansione oltreoceano, per proteggere gli interessi all’estero, garantire l’accesso alle risorse critiche, assicurare partnership strategiche, salvaguardare la sicurezza nazionale, rispondere efficacemente alle emergenze (evacuazione concittadini come in Libia nel 2011, ecc.) mediante la costituzione di una rete di “punti di supporto strategico” dual-use (strategic support points) in vari continenti (centri logistici, basi, porti ed infrastrutture a terra), a sostegno delle operazioni lontane dalla madrepatria.

 

Al fine di creare una rete globale di infrastrutture e di partnership economiche in tutta l’Eurasia, l’Africa (ed il Sud America) Pechino ha avviato il (segreto) Progetto 141, quale piano indirizzato ad creare una serie di avamposti (militari) in Guinea Equatoriale, Gibuti, Emirati Arabi Uniti, Cambogia e Mozambico: uno già operativo (Gibuti) due sarebbero in costruzione ed altri due in attesa di approvazione (D. Pandey, Leaked Pentagon documents give insight into China’s secret ‘Project 141’, India Today, Apr 28, 2023).

L’ambizioso progetto prevederebbe di realizzare almeno cinque basi all’estero e dieci siti di supporto logistico entro il 2030, che potranno garantire vantaggi quali l’accesso a rotte marittime critiche, rotte logistiche sicure e la capacità di rispondere rapidamente a minacce alla sicurezza marittima, migliorando così la capacità di proiettare il proprio potere ben oltre le proprie acque territoriali (C. Woody, China’s newest military base abroad is up and running, and there are more on the horizon, Breaking Defense, July 12, 2024).

In tale contesto, la Cina ha posto in atto una iniziativa, denominata “fusione militare-civile” (Military-Civil Fusion), volta a mettere le risorse e le capacità delle imprese civili a disposizione delle Forze Armate, o ad integrare aziende civili, militari ed istituzioni, per supportare il PLA a proteggere gli investimenti ed il commercio.

Questo modello dual-use delle infrastrutture economiche portuali è finalizzato a consentire alla Cina di fronteggiare la rete di alleati degli Stati Uniti nel mondo e facilitare la raccolta di informazioni sui movimenti e attività militari USA in quelle aree.

Sulla base di una legge approvata nel 2017, cittadini e società commerciali cinesi sarebbero obbligati a condividere, se richiesto, informazioni con i militari (Chinalawinfo Database, National Intelligence Law of the People’s Republic of China, 28th Session of the Standing Committee of the 12th National People’s Congress, on June 27, 2017, amended on April 27, 2018).

Per soddisfare la “Difesa dei mari vicini e protezione dei mari lontani” la forza navale del PLA è articolata su tre componenti: la Marina Militare (PLANavy), la Guardia Costiera (China Coast Guard/CCG) e la Milizia Marittima (Maritime Militia).

La Marina Militare ha i compiti più impegnativi che riguardano le missioni sia nei mari vicini sia nelle acque lontane, quali:

  • condurre operazioni di mantenimento della pace, soccorso in caso di calamità, evacuazione connazionali, operazioni anti-pirateria e diplomazia navale;
  • assicurare la libertà di movimento delle rotte marittime strategiche;
  • contrastare e ridimensionare il potenziale intervento militare degli Stati Uniti nelle dispute sulla sovranità marittima o negli scontri con Taiwan;
  • negare (agli Stati Uniti) il dominio dei mari o il controllo delle vie navigabili e dei punti strategici vitali (chokepoints).

L’impiego delle navi della Guardia Costiera e della Milizia Marittima è invece limitato ad attività nella “zona grigia” di Taiwan, in quanto Pechino ritiene di poter ottenere il controllo del Mar Cinese Meridionale e Mar Cinese Orientale attraverso la solo pressione e coercizione non letale; in questo modo eviterebbe le imprevedibili dinamiche di escalation e le condanne internazionali che potrebbero seguire qualsiasi uso intenzionale della forza.

La Milizia, pur non essendo autorizzata ad abbordare o ispezionare le navi commerciali, complica il controllo dello spazio marittimo di Taipei con la sua diffusa presenza in alcune aree attorno all’Isola.

 

La Marina cinese

La People’s Liberation Army Navy (PLAN) è considerata la più grande marina militare del mondo (the International Institute for Strategic Studies, The Military Balance 2025). Una moderna forza di combattimento di oltre 370 navi (di cui almeno 140 navi maggiori di superficie) e sommergibili (12 dei quali a propulsione nucleare; gli USA ne hanno 72). Nel 2022, la PLAN ha varato la terza portaerei e si appresta a varare la quarta (H. Wong, China’s aircraft carrier No 4 on track with ‘no technical bottleneck’, admiral reveals in first official confirmation, South China Morning Post, 6 Mar, 2024).

Due delle portaerei sono in servizio (Liaoning e Shandong), una terza (Fujian) dovrebbe entrare in servizio entro la fine 2025, mentre una quarta è in fase di allestimento.

L’obiettivo della PLAN sarebbe quello di disporre di sei portaerei entro il 2030-35 (R. Johnson, 6 Carriers: China’s Superpower Aircraft Carrier Fleet Is Rewriting the Rules of Naval Warfare, 19FortyFive, 28th May 2025).

Le attuali capacità militari a lungo raggio della Marina, tra cui proiezione, supporto e allerta preventiva, tuttavia, sono ancora limitate a causa della carenza di basi all’estero; gli USA hanno 21 istallazioni navali principali oltre a 4 strutture in fase di allestimento nelle Filippine (B. D. Sadler, The U.S. Navy, Marine Corps, and Coast Guard, The Heritage Foundation Research, 2023).

 

Guardia Costiera

Nelle due esercitazioni Joint Sword 2024 e in quelle successive, la Guardia Costiera è stata integrata nel dispositivo interforze in compiti di pattugliamento e di sorveglianza del traffico navale attorno a Taiwan e alle sue isole periferiche, in quanto acque considerate “interne” da Pechino che ne rivendica il controllo. Il compito, che in precedenza sarebbero stato affidato alla PLAN, ampia il ruolo della CCG e conferisce a tali attività una connotazione di operazioni di polizia marittima.

Questo (ulteriore) ruolo della Guardia Costiera ha avuto una ufficializzazione con l’entrata in vigore il 15 giugno 2024 di un nuovo regolamento (USINDOPACOM J06/SJA TACAID SERIES, China Coast Guard Order No. 3, 30 May 2024) quale implementazione della legge sulla China Coast Guard del 2021 (Coast Guard Law of the People’s Republic of China, January 22, 2021) che autorizza a trattenere imbarcazioni e persone straniere in “acque sotto la giurisdizione della Cina” per un massimo di 60 giorni (Provisions on Administrative Enforcement Procedures for Coast Guard Agencies 2024).

Il regolamento, che tuttavia rimane generico nella definizione dell’ambito di applicazione geografica, fornisce ai comandanti della CCG le basi giuridiche per l’esercizio dei poteri di detenzione e per l’uso della forza (other law enforcement actions) per atti che violano la sovranità nazionale o la giurisdizione della Cina, a conferma di un comportamento sempre più assertivo della RPC nell’uso di leggi e regolamenti nazionali quali strumenti di coercizione in un contesto internazionale.

 

Milizia Marittima

La terza componente navale è costituita dalla Milizia Marittima, chiamata “navi da pesca della milizia marittima” (haishang minbing yuchuan), quale forza ausiliaria della PLA Navy e della Guardia Costiera.

Con una delle più grandi industrie ittiche del mondo, la Cina vanta circa 564.000 imbarcazioni che rappresentano il 15% della flotta mondiale. Nonostante una significativa riduzione rispetto al 2013, quando Pechino contava oltre un milione di pescherecci, il settore mantiene un valore di rilievo soprattutto grazie all’impiego della più grande flotta d’altura, con circa 3.000 navi in grado di operare su grandi distanze e spesso in prossimità o all’interno delle zone economiche esclusive (ZEE) di altri Paesi.

Il ricorso ai pescherecci non è un fatto nuovo per Pechino. Negli anni ’50 la Milizia Marittima, per la mancanza di una componente navale, fu utilizzata dalla Cina comunista per difendere le coste dalle incursioni delle forze nazionaliste.

Nell’occupazione nel 1974 delle isole Paracel nel Mar Cinese Meridionale, rivendicate dal Vietnam del Sud, la presenza di navi della Milizia Marittima – molte delle quali con equipaggio armato – ha contribuito al trasporto di truppe, a rallentare il processo decisionale del governo di Saigon ed a scoraggiarne una risposta armata (Z. Fillingham, Backgrounder: The People’s Armed Forces Maritime Militia, Geopolitical Monitor, September 11, 2024).

La posizione ufficiale della Milizia Marittima è quella di una flotta non militare (o perlomeno non letale) della Riserva, per lo più di proprietà dello Stato e completamente finanziata dai governi locali, provinciali e centrali, che può dipendere dalle Forza di Polizia, dalla Guardia Costiera o dalle Provincie costiere, mentre opera su istruzioni della PLAN e dal Governo Cinese nelle acque contese del Mare Cinese Meridionale e del Mar Cinese Orientale.

I pescherecci della Milizia non sono armati; alcuni sono dotati di potenti cannoni d’acqua mentre altri hanno lo scafo rinforzato in acciaio adatto allo speronamento; per garantirne l’efficienza quale componente ausiliaria nelle operazioni navali in crisi/guerra, riceve un (modesto) addestramento di base con la CCG o la PLAN.

Una realtà “ambigua”, in quanto questi pescherecci agiscono come flotta civile mentre conducono operazioni “para-militari”, che ne rende difficile l’inquadramento secondo il diritto internazionale – essendo nominalmente “navi non militari” – per mancanza di chiarezza dello status giuridico sotto il quale operano. Una situazione che rischia di aumentare l’escalation del confronto in quanto, confondendo i limiti tra azioni militari e civili, potrebbe originare maggiori incomprensioni (e scontri involontari) con altre Nazioni.

La Milizia partecipa ad attività di ISR (Intelligence, Surveillance and Reconnaissance), ricerca e salvataggio (SAR), pattugliamento dei confini marittimi, protezione dei pescherecci;

Utilizzando, inoltre, tattiche a “sciame”, la Milizia è un’alternativa economica che distrae le Marine avversarie e rappresenta una minaccia asimmetrica per le navi da guerra con il dispiegamento di un gran numero di pescherecci che può creare un ambiente operativo complesso da cui è difficile, se non impossibile, difendersi.

L’impegno della Milizia è sempre più assertivo nella sua crescente presenza operativa e si manifesta con manovre pericolose, creando intenzionalmente rischi di collisione e, occasionalmente, speronamenti o accostamenti ad altre navi (militari e civili), come avvenuto nelle contestate acque del Mar Cinese Meridionale contro i pescherecci e la Guardia Costiera delle Filippine o a nord nel Mar Cinese Orientale nei pressi delle isole di Senkaku contro gli assetti navali del Giappone (N. Swanström, The role of the People’s Armed Forces Maritime Militia: Implications for Maritime Security and European interests, EuroHub4Sino Policy Paper 2024/10, September 2024).

 

L’incremento delle capacità anfibie

La Cina ha recentemente acquisito la disponibilità di mezzi navali particolari che ne incrementano le capacità anfibie e ne ampliano in modo significativo la flessibilità per un’eventuale invasione dell’Isola. Si tratta di chiatte da sbarco e di hovercraft di grandi dimensioni utili per condurre un’operazione su larga scala attraverso lo Stretto, in conformità alle istruzioni impartite al PLA da Xi Jinping di essere in grado di assolvere la “contingenza Taiwan” a partire dal 2027.

Immagini satellitari hanno rivelato nel gennaio 2025 la costruzione di una imbarcazione composta da tre chiatte autopropulse, tra loro collegabili con elementi modulari estensibili tipo “ponte Bailey”, per formare un “pontile mobile” lungo sino a 820 metri, che ha una singolare somiglianza con i porti artificiali Mulberry utilizzati dagli Alleati durante gli sbarchi del D-Day in Normandia del 6 giugno 1944.

Le piattaforme, soprannominate “Shuiqiao” (letteralmente “ponte d’acqua” in cinese), sarebbero state progettate (tenendo probabilmente conto anche dei risultati fallimentari dell’iniziativa statunitense a Gaza nel giugno 2024) per poter sbarcare rapidamente sulle spiagge grandi volumi di veicoli, equipaggiamenti pesanti, materiali, carburante, strutture sanitarie e truppe, evitando la necessità di conquistare porti intatti in grado di accogliere imbarcazioni di grandi dimensioni.

Pali retrattili consentono a queste chiatte di ancorarsi ai fondali (fino ad oltre 30 m), sollevando e sostenendo lo scafo fuori dall’acqua, e di fornire stabilità sufficiente per resistere alle correnti e ridurre i danni provocati da forti onde. Una volta in posizione, gli Shuiqiao permetterebbero l’attracco di traghetti civili roll-on-roll-off (ro-ro) e di navi da sbarco di grosse dimensioni (Landing Ship Tank).

In tale prospettiva, un rapporto riservato dell’intelligence militare statunitense ha rivelato che la Cina sta rapidamente ampliando la propria flotta di traghetti commerciali, presumibilmente in vista di una possibile “contingenza Taiwan”, modificandoli per il trasporto di carri armati ed unità anfibie.

Il rapporto afferma che Pechino ha in corso di costruzione almeno 70 grandi traghetti ro-ro entro il 2026 (News.com.au, Analysts fear China’s rapidly expanding ferry program will lead to Taiwan invasion, September 29, 2025).

All’inizio di marzo 2025, la prima serie di tre chiatte ha effettuato prove in mare nel Guangdong (sud della Cina). Una seconda serie di tre chiatte sarebbe in fase di allestimento.

Nonostante le loro vulnerabilità (scarse protezione, velocità ridotta e suscettibilità ai danni causati dalle intemperie) le chiatte rappresentano una soluzione alle sfide connesse con complesse operazioni anfibie in aree di sbarco di limitate estensioni e contestate dalle difese (J. M. Dahm and T. Shugart, CMSI Note 14: Bridges Over Troubled Waters: Shuiqiao-Class Landing Barges in PLA Navy Amphibious Operations, U.S. Naval War College, 3-20-2025).

Il PLA, inoltre, ha acquisito negli ultimi anni almeno sei hovercraft di grandi dimensioni (classe Zubr di origine sovietica, lunghi 57 m e larghi 22,3 m), progettati per trasportare fino a dieci mezzi da combattimento, o tre carri armati o 500 soldati (o la loro combinazione) direttamente sulle spiagge.

I primi due hovercraft – di epoca sovietica – sono stati acquistati direttamente dall’Ucraina nel 2014; altri due scafi (copie del Zubr) sono stati costruiti in Cina e consegnati alla PLAN nel 2018. Recentemente risulterebbe che Pechino abbia ripreso la produzione di altri due mezzi similari.

L’autonomia e la velocità degli Zubr consente loro di raggiungere rapidamente le spiagge taiwanesi, tenuto conto che ogni hovercraft può percorrere fino a 480 km ad una velocità di 101 km orari (la costa occidentale di Taiwan dista circa 130 chilometri dalla Cina nel punto più vicino).

Questi hovercraft possono superare scogli sommersi e banchi di sabbia per trasportare le unità da sbarco sui litorali meno accessibili, prima di tornare in Cina per prelevare una seconda ondata d’assalto. Ogni Zubr è dotato di armi difensive e offensive in grado di neutralizzare le difese costiere mentre scarica truppe e mezzi. Le caratteristiche del mezzo dovrebbero consentire di non provocare l’esplosione della maggior parte della tipologia di mine marine mentre le supera.

Le spiagge della fascia costiera occidentale (quella verso lo Stretto) sono circoscritte da lunghi ed alti muraglioni e/o da rotabili sopraelevate che possono condizionare le operazioni di sbarco e la libertà di manovra verso l’interno; la costa orientale è montuosa con scoscesi versanti rocciosi e priva di località idonee a sbarchi di ampie dimensioni.

Come gli altri hovercraft, tuttavia, lo Zubr è sensibile alle condizioni del mare e in particolare all’intensità delle onde e del vento, che ne possono ridurre le prestazioni (M, Khanna, China’s Zubr class hovercrafts – an assessment, Issue No 4 dated 22 Jan 2025, National Maritime Foundation).

 

Le forze di Riserva

I recenti cambiamenti nella organizzazione delle forze di Riserva (che comprendono la Riserva del PLA e le unità paramilitari, quali le milizie) evidenziano l’importanza attribuita a questa componente ed al ruolo che i riservisti potranno avere all’interno delle Forze Armate, assicurando la disponibilità di una risorsa fondamentale in termini di personale addestrato.

L’iniziativa, che nasce dalle esperienze emerse dall’invasione dell’Ucraina da parte della Russia, ha indotto la Cina ad organizzarsi per una guerra “prolungata” nella regione dell’Indo-Pacifico, apportando modifiche legali per favorire l’integrazione della mobilitazione militare e civile.

La riforma, oltre ad essere un segnale degli sforzi in corso per la prontezza generale, consente il richiamo dei riservisti e dei veterani alle loro unità di origine e garantisce ai militari l’accesso alle infrastrutture civili e alle scorte di carburante.

Questi cambiamenti rifletterebbero la consapevolezza di dover affrontare un conflitto che potrebbe non concludersi con un rapido successo dopo un attacco a sorpresa, ma protrarsi in una guerra di logoramento in cui saranno necessarie risorse aggiuntive per rimpiazzare le perdite subite dai reparti in servizio attivo (R. Bartlett-Imadegawa, China preparing for ‘protracted’ war, says think tank, Nikkei Asia, February 14, 2024).

La strategia delle Forze Armate di Taiwan, infatti, si basa sulla “Resolute Defense and Multi-domain Deterrence” (Difesa Risoluta e Deterrenza Multidominio) che mira a sviluppare capacità congiunte e adottare misure di dissuasione a lungo raggio per creare le condizioni atte ad indurre alla rinuncia di occupare l’Isola (2025 Quadrennial Defense Review). Tale strategia si concentra sulla solidità delle difese e sulla capacità di reazione per infliggere un alto tasso di logoramento nella critica fase di assemblaggio/imbarco della forza anfibia, attraversata dello Stretto e di sbarco per fare in modo che l’offensiva risulti costosa e potenzialmente insostenibile e, soprattutto, consenta di guadagnare tempo in attesa dell’intervento (auspicato) degli Stati Uniti e suoi alleati e/o dell’adozione da parte della comunità internazionale di provvedimenti “punitivi” (sanzioni, ecc.) nei confronti della Cina (Deterrence throught Resilience).

La ristrutturazione prevede la riduzione della Riserva dell’Esercito a favore dell’incremento delle Riserve della Marina PLA (PLAN), della PLA Rocket Force (PLARF) e della PLA Air Force (PLAAF) in previsione di un maggior impegno in questi domini operativi.

Pechino, oltre a cercare di trattenere in servizio i veterani, prevede anche l’estensione del reclutamento a cittadini senza precedenti militari, quale tentativo di fusione militare-civile per sfruttare le competenze tecniche specifiche del settore civile (T.A. Tat, PLA Navy Reserve: Out of the Shadows and into the Forefront?, U.S. Naval War College, 8-5-2024).

 

Le possibili opzioni di Pechino

Data per scontata la ferma decisione di procedere – ad ogni costo – alla riunificazione entro il 2049, gran parte dell’attenzione del mondo si è concentrata sulla minaccia di una invasione, ma Pechino dispone di altre opzioni (oltre all’uso della forza) per annettere Taiwan.

La Cina potrebbe procedere secondo tre possibili linee d’azione anche tra loro combinate:

  • pacificamente;
  • isolamento aeronavale (quarantena o blocco);
  • operazione militare (anche per fasi successive).

La prima possibilità (pacificamente), con l’incremento degli scambi, della cooperazione e dei rapporti tra le due sponde dello Stretto, operando con partiti politici, aziende, associazioni e persone dei vari settori di Taiwan, per promuovere congiuntamente la cultura cinese e lo sviluppo pacifico delle relazioni bilaterali, secondo lo spirito del “Consenso del 1992”, che incarna il principio di “una sola Cina”. Questa soluzione appare la più auspicata da Pechino, che preferirebbe assorbire l’Isola senza l’uso della forza, come affermato più volte dal Presidente Xi Jinping, anche per non incorrere in alcun tipo di reazione da parte della Comunità Internazionale.

Una soluzione inserita nel comunicato finale del 20° Comitato Centrale del Partito Comunista Cinese tenutosi a Pechino il 23 ottobre 2025: “Dobbiamo lavorare per garantire prosperità e stabilità a lungo termine a Hong Kong e Macao, promuovere lo sviluppo pacifico delle relazioni attraverso lo Stretto di Taiwan e portare avanti la causa della riunificazione nazionale, nonché garantire ulteriori progressi nella costruzione di una comunità con un futuro condiviso per l’umanità” (Ministry of Foreign Affairs People’s Republic of China, Communique of the Fourth Plenary Session of the 20th Central Committee of the Communist Party of China, October 23, 2025).

La seconda (isolamento aeronavale), con l’interdizione delle linee di comunicazione marittime ed aeree per costringere la leadership di Taiwan ad accettare un dialogo per una soluzione politica.

L’Isola, per carenza di risorse naturali, dipende fortemente dalle importazioni dall’estero (petrolio, gas, componenti di prodotti elettronici, prodotti minerali, macchinari, prodotti chimici e alimentari, medicinali, ecc.).

L’autonomia alimentare era nel 2023 pari al 30,3% delle esigenze rispetto al 33% del 2013. Una delle maggiori ragioni di tale decrescita è dovuta alla riduzione della produzione di riso (principale fonte di alimentazione) causata dalla ridotta irrigazione dei campi dovuta alla siccità (Focus Taiwan, Taiwan’s food self-sufficiency rate drop to 30,3%, 10/15/2024).

Il 96% dell’energia è importata e ciò rappresenta il vero problema per la sicurezza nazionale. L’approvvigionamento è altamente vulnerabile ad un embargo o ad un’interruzione del traffico marittimo. L’Isola, inoltre, ha capacità di stoccaggio limitate. L’ubicazione in superficie dei principali serbatoi di gas e petrolio nella parte occidentale, unitamente alle principali centrali elettriche e alla rete di distribuzione, ne aumenta l’esposizione in caso di attacchi missilistici o di bombardamento. Consapevole del problema il governo sta operando per incrementare la propria indipendenza, incoraggiando lo sviluppo di energie rinnovabili, diversificando i fornitori di combustibili fossili, aumentando le capacità di stoccaggio e migliorando la sicurezza della rete elettrica (IFRI, Taiwan’s Energy Supply: The Achilles Heel of National Security, 22/10/2024).

Nessuna delle tre centrali nucleari dell’Isola è operativa; l’ultimo reattore è stato spento nel maggio 2025. Erano in costruzione altri due reattori avanzati, ma il progetto è stato cancellato (World Nuclear Association, Nuclear Power in Taiwan, 5 June, 2025). Il referendum tenutosi ad agosto 2025 sulla riapertura dell’ultima centrale nucleare è fallito perché non ha raggiunto la soglia legale (una netta maggioranza dei votanti sosteneva comunque il riavvio del reattore).

L’isolamento potrebbe realizzarsi tramite una “quarantena” (quarantine) o un “blocco” (blockade). Sebbene i due termini siano spesso usati in modo intercambiabile, è possibile distinguerli definendo la “quarantena” come un’operazione condotta da forze di polizia (law enforcement–led operation) per ispezionare il traffico marittimo in una specifica area, mentre il “blocco” sarebbe una operazione militare per limitare in modo significativo il flusso dei movimenti verso Taiwan.

Il “blocco” rischierebbe di provocare la reazione della Comunità Internazionale (o di parte di essa) con l’applicazione di sanzioni alla Cina (analogamente a quanto avvenuto per la Russia dopo l’invasione dell’Ucraina), il suo forzamento e/o la realizzazione di un “ponte aereo” modello Berlino nel 1948-1949 (entrambe le azioni potrebbero innescare un conflitto).

Lo scopo di una quarantena, invece, condotta dalla Guardia Costiera e da altre forze con lo status ausiliario di polizia (milizie marittime), non sarebbe quello di “sigillare” l’Isola, ma di dimostrare la capacità di esercitare il controllo su Taiwan definendo le regole per il traffico in entrata/uscita e costringere i Paesi e le aziende interessate ad accettare le condizioni stabilite. Se gli attori stranieri dovessero rispettare in larga misura tali vincoli, Pechino rafforzerebbe la sua posizione nei confronti di Taipei minandone le rivendicazioni di sovranità e renderebbe meno probabile la volontà degli Stati Uniti e suoi alleati di intervenire militarmente in caso di blocco o d’invasione dell’Isola.

La terza opzione (operazione militare), con un intervento rapido e risolutivo per prendere il controllo di Taiwan e conseguire il “fatto compiuto” che sarebbe difficile da far revocare (modello Crimea).

L’operazione, per non destare particolari allarmismi, potrebbe essere la prosecuzione di una periodica esercitazione aeronavale su vasta scala per poi procedere – senza soluzione di continuità – all’invasione.

Una prima atto della “riunificazione”, anche per testare le reazioni internazionali (USA innanzitutto), potrebbe riguardare l’occupazione degli arcipelaghi di Kinmen e Matsu prospicenti alla costa continentale cinese ed un concomitante isolamento aeronavale.

Questa situazione creerebbe un grande dilemma per il governo di Taipei circa il momento in cui dichiarare la mobilitazione generale, che potrà essere considerata (provocatoriamente) un “atto di guerra” da parte di Pechino (per evitare ciò, la mobilitazione potrebbe avvenire anche per fasi successive di impegno crescente).

Non sono da escludere l’indiretto supporto della Corea del Nord, con lancio di missili balistici nel Mar del Giappone (o nell’Oceano Pacifico) per distrarre l’attenzione regionale, e concomitanti manifestazioni a Taipei ed in altre località da parte di sobillatori che giustifichino l’arrivo di forze cinesi per riportare l’ordine e la legalità.

La soluzione militare rimarrebbe comunque l’estrema decisione, dopo il fallimento di ogni altra opzione, in quanto esaspererebbe la società taiwanese e richiederebbe di dover poi procedere alla ricostruzione del Paese con l’impegno di consistenti risorse economiche.

 

Quando la fiction rispecchia la realtà

Nel luglio 2025 è stata trasmessa su una TV taiwanese la serie televisiva taiwanese di 10 episodi “Zero Day Attack”, che immagina una crisi nello Stretto, propedeutica all’assimilazione (occupazione) dell’Isola da parte di Pechino.

La trama, ambientata nel 2028 nella fase di transizione del potere politico tra il precedente e il nuovo  Presidente (a gennaio 2028 ci sarà l’elezione del nuovo Presidente di Taiwan), prevede la delimitazione da parte cinese di una zona d’interdizione aeronavale attorno all’Isola per avviare una missione di ricerca e soccorso di un velivolo antisom della PLANAF (People’s Liberation Army Naval Air Force) scomparso nell’ADIZ in acque a sud-est di Taiwan (viene  ipotizzato un atto di sabotaggio del velivolo commesso con l’intento di attribuire la responsabilità ad altri – false flag operation).

La zona d’interdizione diventa ben presto un blocco navale attorno all’Isola che non consente l’afflusso di approvvigionamenti dall’esterno.

Tale situazione crea il panico generale nella società taiwanese, condizionata sempre più nelle proprie abitudini quotidiane e paralizzata anche da una serie di cyberattacchi, che si trova nell’impossibilità di fuggire dall’Isola, mentre le televisioni trasmettono messaggi “rassicuranti e patriottici” di una presentatrice cinese che esalta la “riunificazione pacifica”. Nelle strade si manifesta una “quinta colonna” pro-riunificazione che prende di mira i sostenitori dell’indipendenza.

 

Quale futuro?

Sebbene un’invasione sia spesso citata come lo scenario più probabile che porterebbe ad un conflitto con gli Stati Uniti, vale la pena di sottolineare che il trattato che regola le relazioni del governo statunitense con Taiwan non obbliga Washington ad intervenire (automaticamente) in difesa dell’Isola. Il Taiwan Relations Act del 1979 afferma che “[…] qualsiasi sforzo per determinare il futuro di Taiwan con mezzi diversi da quelli pacifici, compresi boicottaggi o embarghi, è considerato una minaccia alla pace e alla sicurezza dell’area del Pacifico occidentale e una grave preoccupazione per gli Stati Uniti“.

Molto dipenderà dalle decisioni del Presidente statunitense in carica in quel momento.

Durante l’amministrazione Biden, i Cinesi avevano chiesto a Washington di modificare la formula retorica da “gli Stati Uniti non sostengono l’indipendenza di Taiwan” a “gli Stati Uniti si oppongono” all’indipendenza. All’epoca i funzionari di Biden rifiutarono tale formulazione (D. Ignatius, How strategists think about keeping the peace in the Taiwan Strait, Washington Post, 24 Jul 2025).

Alcuni osservatori hanno espresso il timore che un eventuale riduzione del supporto all’Ucraina da parte degli USA (dopo l’abbandono dell’Afghanistan) possa incoraggiare Pechino a tentare di impossessarsi di Taiwan con la forza, visto anche l’ordine di Xi alle Forze Armate di prepararsi alla “contingenza Taiwan” entro il 2027.

L’eventuale conclusione del conflitto in Ucraina con l’accettazione delle perdite territoriali e limitazioni politiche da parte di Kiev, e di conseguenza da parte di USA ed Europa, potrebbe fornire a Xi una maggiore forza nelle rivendicazioni territoriali su Taiwan e sui mari Cinesi Meridionale e Orientale, poiché Taipei e gli altri alleati statunitensi nella regione metterebbero in dubbio la determinazione di Washington di proteggerli.

Pechino, al contrario, rischierebbe di dover affrontare una pressione geopolitica ed economica (sanzioni comprese) crescente se gli Stati Uniti dovessero approvare le garanzie di sicurezza (da definire) all’Ucraina per porre fine alla guerra con la Russia.

Le sanzioni secondarie, minacciate dal Presidente Trump a Mosca per la conclusione delle ostilità, sarebbero un pericoloso precedente in caso di uno scontro militare tra Cina e Taiwan, in quanto una simile risposta di ritorsione degli USA e dell’Occidente metterebbe a repentaglio le linee di rifornimento energetiche del Dragone, soprattutto dall’Asia Centrale.

Pechino avrebbe già individuato, sulla base dell’esperienza russa nel contrastare e/o evitare le sanzioni economiche imposte dall’Occidente, soluzioni per fronteggiare un analogo regime (di sanzioni) in caso d’invasione.

Il pericolo maggiore comunque potrebbe non essere un attacco “a sorpresa”, ma un lento “strangolamento” attraverso un blocco, controlli doganali o altri mezzi non militari, che potrebbero costringere gli Stati Uniti ad agire e dare inizio ad un ciclo di escalation.

Una recente richiesta del Pentagono al Giappone di chiarire il suo ruolo nell’eventualità di un conflitto tra Stati Uniti e Cina su Taiwan, lascerebbe prevedere – al momento – l’intenzione di Washington di intervenire militarmente in caso di aggressione cinese (J. Johnson, U.S. urges clarity on Japan’s role in potential war over Taiwan, report says, The Japan Times, Jul 14, 2025).

È da ritenere, comunque, che Pechino preferisca di gran lunga una soluzione “pacifica” proseguendo nel comprimere l’economia e la vita politica e sociale di Taiwan – una sorta di Strategia dell’Anaconda – fino a quando Taipei non accetti una qualche forma di autorità cinese.

Il 12 maggio 2025 il governo cinese ha pubblicato il “White Paper on National Security in the New Era” che, soffermandosi su Taiwan e sulle relazioni tra le due sponde dello Stretto, sottolinea la “sincerità” del Partito nel perseguire una riunificazione pacifica. La Cina continua la sua guerra legale affermando che la risoluzione 2758 delle Nazioni Unite implica il riconoscimento internazionale del principio di “una sola Cina”. Tuttavia, la risoluzione del 1971 si limitava a trasferire il seggio cinese alle Nazioni Unite dai “rappresentanti di Chiang Kai-shek” alla RPC e non faceva alcun riferimento sulla sovranità di Taiwan.

 

Conclusioni

La crescente pressione esercitata dalla Cina su Taiwan con navi e aerei che operano quasi quotidianamente intorno all’Isola e la condotta di complesse esercitazioni incentrate su scenari d’invasione possono apparire senza dubbio il segnale che Pechino stia accelerando i tempi per essere pronta ad agire nei prossimi anni.

Secondo fonti d’intelligence USA, infatti, il Presidente Xi potrebbe tentare di prendere il controllo di Taiwan a partire dal 2027, anno del centesimo anniversario della costituzione dell’Esercito Popolare di Liberazione.

Appare molto più verosimile che Xi Jinping attenda – per un eventuale invasione – sino a quando le PLA non diventino le principali Forze Armate del mondo.

Un concetto ribadito nella recente cerimonia del 2 settembre 2025 in occasione della commemorazione dell’80° anniversario della vittoria contro l’aggressione giapponese: “L’Esercito Popolare di Liberazione cinese è stato, ed è tuttora, l’eroica forza armata su cui il Partito e il popolo possono contare e fare pieno affidamento. Tutti i membri delle forze armate devono adempiere fedelmente al loro sacro dovere, accelerare la costruzione di un esercito di livello mondiale e salvaguardare con fermezza la sovranità, l’unità e l’integrità territoriale della Cina. Tutti i membri delle forze armate devono fornire un sostegno strategico alla grande rinascita della nazione cinese e dare un contributo ancora maggiore alla pace e allo sviluppo del mondo” (CGTN, Full text of President Xi’s speech at the commemoration to mark the 80th anniversary of the victory of the Chinese People’s War of Resistance Against Japanese Aggression and the World Anti-Fascist War, 04-Sep-2025).

Un’invasione dell’Isola potrebbe avvenire, tuttavia, in ogni momento – ed accettando tutti i rischi connessi – qualora il governo di Taipei dichiari ufficialmente la propria sovranità quale Stato indipendente.

La riunificazione alla Cina rimane uno dei principali “crucci” per Xi Jinping, il quale ha affermato che non lascerà la “questione di Taiwan” alla generazione successiva. Tenuto conto della sua età (72 anni), dovrebbe procedere con l’annessione dell’Isola verosimilmente entro il prossimo decennio, qualora restasse al potere per un altro mandato (e finché godrà di buona salute).

Le Forze Armate cinesi, tuttavia, sono ancora in fase di rinnovamento, secondo un programma avviato nel 2015 che prevede un processo di aggiornamento della dottrina, della struttura organizzativa, del personale militare, degli armamenti e degli equipaggiamenti, che dovrebbe concludersi entro il 2035.

Al momento, il PLA non disporrebbe delle capacità anfibie richieste per un’invasione su larga scala dell’Isola che, per la sua conformazione morfologica (naturale ed antropica), presenta poche località idonee a sbarchi ed aviosbarchi di grandi dimensioni.

Le difficoltà connesse con la geografia dell’isola, la logistica per sostenere le forze sbarcate, la tenace difesa degli accessi al litorale a alle teste di ponte e il conseguente rischio di subire forti perdite, sono stati gli elementi che convinsero lo Stato Maggiore Congiunto degli Stati Uniti a non invadere Taiwan (occupata dai Giapponesi sin dal 1895) nel settembre del 1944 (Operazione Causeway) e di concentrarsi sull’invasione di Okinawa (Operazione Iceberg).

L’annuale rapporto al Congresso statunitense evidenzia carenze nella preparazione e nelle capacità dei comandanti, definite dal PLA con il termine “le cinque incapacità”, che riguardano le aree in cui gli ufficiali cinesi dovrebbero migliorare, tra cui la capacità di valutare le situazioni, comprendere le intenzioni delle autorità superiori, prendere decisioni operative, dispiegare le forze e gestire situazioni impreviste (U.S. Department of Defense, Military and Security Developments Involving the People’s Republic of China, Annual Report to Congress 2024).

Nel prossimo futuro, la Cina continuerà a concentrare la maggior parte delle proprie risorse navali nel Pacifico Occidentale per affrontare le dispute di sovranità marittima, mantenendo una forte attenzione sui “mari vicini”, quale priorità essenziale per implementare le capacità A2/AD necessarie per proteggere gli interessi marittimi vitali.

A ciò si aggiunge il cronico problema della corruzione che impedirebbe al PLA di acquisire la prontezza, che Xi ha ordinato di raggiungere entro il 2027, in preparazione di un potenziale conflitto con Taiwan, e che potrebbe dissuaderlo dal rischiare una operazione nei prossimi anni per la mancanza di fiducia nei propri comandanti. Sono periodiche, infatti, le notizie di sostituzioni e purghe che hanno interessato i ministri della Difesa e degli Esteri e soprattutto i vertici militari e funzionari dell’industria della Difesa (D. Kirsten Tatlow, China’s Disappearing Generals Put Questions Over Xi’s Grip, Newsweek Magazine, Jul 03, 2025).

In ogni caso, Xi Jinping ha ribadito più volte che Taiwan dovrà riunirsi alla Cina entro il 2049, in occasione dell’anniversario dei 100 anni della vittoriosa rivoluzione comunista e presa di potere nel Paese. Un fermo intendimento inserito tra i 6 core interests definiti dal governo cinese nel “libro bianco” del settembre 2011.

Xi auspica di poter conseguire l’agognato risultato con una “riunificazione pacifica”, anche se ha affermato pubblicamente più volte che “[…] non prometteremo mai di rinunciare all’uso della forza” e “[…] non permetteremo in alcun modo a nessuno di separare Taiwan dalla Cina“.

Secondo i sondaggi di giugno 2025 della National Chengchi University (NCCU) la percentuale di Taiwanesi che preferisce lo status quo o l’indipendenza continua a crescere, arrivando oltre l’86%, mentre, la percentuale di coloro che vorrebbero l’“unificazione” con il PCC si sta riducendo ed è attualmente il 6,4% della popolazione, in calo rispetto al 2018 (15,9%) e al 1996 (22%).

Altri recenti sondaggi hanno rilevato, in un contesto di crescente incertezza globale, che tra il 63,7% e l’81% dei Taiwanesi combatterebbe per difendere il proprio Paese da un attacco militare cinese e si opporrebbe ad una invasione “a tutti i costi”. Tra gli intervistati di età compresa tra i 18 e i 30 anni la disponibilità a combattere varia dal 53,2% all’88% (The Diplomat, Taiwan’s Youth Are Not Defeatist — and The Data Proves It, April 09, 2025). Lo stesso sondaggio evidenzia che il 62,9% dei cittadini si dichiara taiwanese a fronte di un 2,4% che si identifica come cinese ed un 30,5% che si ritiene taiwanese e cinese.

Di conseguenza, Xi Jinping (o il suo sostituto) avrà una sola alternativa: applicare l’articolo 8 della legge anti-secessione del marzo 2005, la quale stabilisce che se “[…] le possibilità di riunificazione pacifica dovessero essere completamente esaurite, lo Stato (la Repubblica Popolare di Cina) impiegherà mezzi non pacifici e altre misure necessarie per proteggere la sovranità e l’integrità territoriale della Cina”.

Dal canto loro, le Forze Armate taiwanesi hanno affrontato negli ultimi decenni diversi scenari difensivi e sono in grado di fare fronte anche alla situazione attuale.

Le sfide per Taipei in questo momento non sono (solo) le iniziative che la Cina intraprenderà, ma ciò che la popolazione taiwanese sarà disposta a sacrificare per far fallire le intenzioni e gli obiettivi di Pechino.

 

Immagini: ISW , CSIS, PLA, Mod Taiwan, Limes, Planet Labs, INSS, China Military, Xinhua e Gianandrea Gaiani

 

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Giorgio BattistiVedi tutti gli articoli

Generale di Corpo d'Armata (Aus.), Ufficiale di Artiglieria da Montagna, ha espletato incarichi di comando nelle Brigate Alpine Taurinense, Tridentina e Julia ed ha ricoperto diversi incarichi allo Stato Maggiore dell'Esercito. Ha comandato il Corpo d'Armata Italiano di Reazione Rapida della NATO (NRDC-ITA), l'Ispettorato delle Infrastrutture e il Comando per la Formazione, Specializzazione e Dottrina dell'Esercito. Ha partecipato alle operazioni in Somalia (1993), in Bosnia (1997) e in Afghanistan per quattro turni. Ha terminato il servizio attivo nell'ottobre 2016.

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