Anche truppe di Londra in Niger dove resta incerta la missione italiana

da Il Mattino del 30 giugno 2018

Mentre l’Italia punta a inviare militari e poliziotti nel sud libico, non è ancora chiaro se il cordiale incontro del 20 giugno tra Giuseppe Conte e il presidente nigerino Mahmadou Issoufou, a Roma per un vertice della Fao, abbia davvero sbloccato l’imbarazzante impasse che caratterizza la missione militare italiana di supporto al Niger (Misin).

In attesa di comunicazioni ufficiali, fonti romane confermano l’interesse del Niger ad accogliere la missione italiana varata nel dicembre scorso dal governo Gentiloni, superando le opposizioni interne e l’ostruzionismo di Parigi, ma non si sbilanciano a ipotizzare in quali tempi questo potrà accadere.

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La missione ha un valore strategico per l’Italia, specie dopo l’avvio in questi giorni della ricognizione a Ghat, nel sud ovest della Libia, dove con i fondi europei Roma vorrebbe costituire un comando militare e di polizia che addestri le future guardie di frontiera di Tripoli e presidi 5 punti di confine con Niger, Algeria e Ciad attraversati dai convogli dei migranti illegali diretti verso il Mediterraneo.

Il mancato avvio della Misin costituisce un danno anche d’immagine per l’Italia, che pure ha sbloccato 100 milioni di euro a favore di Niamey, a cui si unisce la beffa dell’arrivo in Niger di truppe britanniche.

Le avanguardie di un contingente di un centinaio di militari di Sua Maestà con tre elicotteri da trasporto Chinook sono atterrate a Niamey il 14 giugno per essere inquadrate nell’Operation Barkhane che impegna in tutta la regione 4mila militari francesi nella lotta ai movimenti jihadisti.

170717115538-01-cnn-niger-agadez-imgl8960-super-169 L’invio di truppe nel Sahel, annunciato lo scorso gennaio da Theresa May, riafferma inoltre il peso della cooperazione militare franco-britannica che per Parigi costituisce anche una garanzia in caso di crisi dell’intesa con Berlino e di incapacità della Ue di far fronte alle sfide alla sicurezza.

Paradossale però il via libera ai britannici da parte delle stesse istituzioni nigerine che da mesi lo negano alla missione italiana lasciando 42 militari guidati dal generale Antonio Maggi accampati in modo posticcio nella base Usa dell’aeroporto di Niamey senza neppure un accordo scritto che li tuteli anche sotto il profilo giuridico.

foto-3-002-360x245Nei mesi scorsi neppure il tentativo di sbloccare la situazione con due donazioni di medicinali a Niamey ha avuto successo e non è detto che Roma intenda insistere ancora a lungo tenuto conto che M5S aveva votato contro il decreto missioni del precedente esecutivo e la Lega si era astenuta.

Anche se oggi per Roma la missione libica a Ghat (dove Parigi avrà meno opportunità di fare ostruzionismo) avrà certamente la priorità, la saga della Misin dovrebbe stimolare qualche spunto di riflessione circa la “solidarietà” europea.

Diversi esponenti del governo nigerino ricordano che la presenza militare straniera solleva aspre critiche nell’opposizione e nella società ma in Niger ci sono già migliaia di militari francesi, statunitensi, tedeschi, canadesi e ora perfino britannici: possibile che solo gli italiani (120 previsti a giugno, circa il doppio da settembre) rappresentino un problema?

6ca7e548-15fd-4a31-a13d-8644ffa3e55dimg-20180424-wa0011_Medium-360x245 La Francia ha un ruolo di indiscussa leadership nel Sahel ma, come confermano fonti qualificate, avrebbe accolto volentieri truppe italiane in Niger a patto che fossero poste sotto il suo comando e ricoprissero compiti di combattimento.

Roma ha invece preteso di non porre il suo contingente sotto comando francese, schierandolo nella Base 101 statunitense, e di limitarne le funzioni ad addestramento e consulenza evitando azioni di guerra.
Per questo il no di Niamey alla missione, celando malamente il ruolo di Parigi, umilia la credibilità politica e militare italiana.

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Le forze britanniche, completato lo schieramento, verranno in parte trasferite nella base di Gao, in Malì, dove sono arrivate anche truppe ed elicotteri canadesi e da dove stanno ritirandosi i contingenti tedeschi e olandesi assegnati alla forza dell’Onu che collabora con i francesi nella guerra ai jihadisti.

Avvicendamenti che indicano anche come l’ormai ossessiva pretesa italiana di non “sporcarsi le mani” in operazioni belliche, neppure quelle antiinsurrezionali a bassa intensità, precluda a Roma la possibilità di ricoprire un ruolo adeguato agli interessi nazionali.

@GianandreaGaian

Foto:  SAC Nicholas Egan RAF/MOD, US DoD, AFP, Ministero degli Esteri,

 

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Giornalista bolognese, laureato in Storia Contemporanea, dal 1988 si occupa di analisi storico-strategiche, studio dei conflitti e reportage dai teatri di guerra. Dal 1991 al 2014 ha seguito sul campo i conflitti nei Balcani, Somalia, Iraq, Afghanistan, Sahara Occidentale, Mozambico e Sahel. Dal febbraio 2000 dirige Analisi Difesa. Ha collaborato o collabora con quotidiani e settimanali, università e istituti di formazione militari ed è opinionista per reti TV e radiofoniche. Ha scritto diversi libri tra cui "Iraq Afghanistan, guerre di pace italiane", “Immigrazione, la grande farsa umanitaria” e "L'ultima guerra contro l’Europa". Presso il Ministero dell’Interno ha ricoperto dal 2018 l’incarico di Consigliere per le politiche di sicurezza di due ministri e un sottosegretario.

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