Via libera ai taliban: "brits" e marines lasciano Helmand

Helmand ultimo atto. Dopo 13 anni di conflitto afghano le forze britanniche e americane hanno passato ufficialmente il testimone e la responsabilità della sicurezza alle Forze locali nella regione del Sud-Ovest dell’Afghanistan, la più instabile del Paese. Simbolicamente, mentre viene ufficializzato il ritiro dei due più importanti contingenti militari alleati, l’Afghanistan compie l’ennesimo passo indietro lungo un sentiero che presumibilmente (ma non certo auspicabilmente) vedrà in breve tempo il Paese asiatico sprofondare nuovamente nel caos e nella barbarie islamista. Un processo in atto con l’avvio del progressivo ritiro delle forze militari alleate,  documentato anche nei giorni scorsi  da Analisi Difesa. Le truppe britanniche hanno concluso oggi le operazioni di combattimento in Afghanistan consegnando la base di Camp Bastion all’esercito di Kabul. Una cerimonia con l’ammainabandiera della Union Jack ha segnato la fine dell’intervento militare britannico in Afghanistan iniziato nel 2001 e costato a Londra 453 morti.

”E’ con orgoglio che annunciamo la fine delle operazioni militari in Helmand, dopo aver dato all’Afghanistan la migliore opportunità per un futuro stabile”, ha detto il ministro della Difesa britannico, Michael Fallon.

L’immenso compound  – la base britannica Camp Bastion e la statunitense Camp Leatherneck – costruito nel deserto nei pressi della capitale provinciale Lashkar Gah è la più grande infrastruttura realizzata dalla missione Nato in Afghanistan (Isaf); nel periodo  2010-2011, all’apice della presenza delle truppe Nato in Afghanistan, la base ospitava circa 40.000 militari stranieri.

Gli ultimi 300 militari britannici e 150 marines statunitensi hanno lasciato oggi ka base diretti a Kandahar per il rimpatrio. Si calcola che nei tredici anni del conflitto 140 mila soldati di Sua Maestà abbiano servito nel Paese asiatico e che Londra abbia speso in tutto 19 miliardi di sterline per la missione.Al momento rimangono in Afghanistan ancora 40 mila soldati stranieri. Nel 2015 si ridurranno a 12 mila, di cui 9.800 statunitensi, con compiti di sostegno e di addestramento all’esercito afghano
Il ritiro dei contingenti più agguerriti schierati dalla NATO nell’area più calda dell’Afghanistan aumenterà le prospettive talebane di passare al contrattacco con successo ora che di fronte ai miliziani sono schierati solo i reparti governativi afghani.

Quale clima si respiri nel Paese lo si intuisce anche dai disordini in atto in questi giorni a Kabul dove un articolo pubblicato dal  quotidiano in inglese a diffusione limitata Afghanistan Express dal titolo “L’Islam dei talebani e dell’Isis” ha scatenato dure reazioni e proteste.

L’articolo scritto dal 28 enne A.J.Ahwar, che anima dall’estero il blog di analisi politiche e sociali “The True Pen”. Nel commento, pubblicato dieci giorni fa, si sostiene  che le atrocità commesse dai talebani e dall’ISIS sono ispirate dal Corano e dal Profeta Maometto affermando che l’Islam non accetta le minoranze o diversità (dagli omosessuali agli sciiti Hazara} e sostiene che “gli esseri umani sono più importanti di Dio”.

Opinioni che in gran parte del mondo avrebbero stimolato un acceso dibattito culturale ma difficilmente digeribili in quasi tutti i Paesi islamici e soprattutto in un Afghanistan rimasto per molti versi “all’età della pietra” sul piano sociale, dei diritti umani e della libertà d’espressione. Non sorprende che a manifestare contro l’autore, l’articolo e il giornale che lo ha pubblicato siano movimenti sociali, parlamentari e gruppi estremisti e jihadisti: un po’ di più che tra coloro che definiscono “blasfemo” e “offensivo del Profeta e dell’Islam” l’articolo chiedendo severe  punizioni vi siano molti studenti e lo stesso “chief executive” (premier) Abdullah Abdullah.

In mattinata, centinaia di studenti si sono raccolti davanti all’ingresso dell’università chiedendo alle autorità di usare il pugno di ferro contro l’autore dell’articolo gridando slogan del tipo: “non vogliamo la democrazia ed i suoi sostenitori”, “Introdurre la democrazia è un insulto all’Islam” e “Lunga vita alla nostra religione”.

La direzione del giornale ha pubblicato sul sito una ‘dichiarazione di scuse’ in cui si spiega che “la nota è stata diffusa per errore a causa di un problema tecnico”. Questo non ha però placato gli animi e le manifestazioni si sono moltiplicate in varie città afghane. Ancora ieri una manifestazione molto affollata si è svolta davanti alla moschea Eidgah di Kabul sollecitando l’impiccagione dei responsabili dell’articolo che hanno “insultato il Profeta, il Corano e l’Islam”.

Davanti a tutto questo il presidente Ghani, che ha vissuto 23 anni negli Stati Uniti, è rimasto in silenzio. Durante la sua campagna elettorale aveva più volte sostenuto l’importanza fondamentale della libertà di stampa. E una delle prime misure prese dopo il suo insediamento è stata quella di annullare l’espulsione, ordinata dal suo predecessore Hamid Karzai, del giornalista di The New York Times, Matthew Rosenberg che aveva evidenziato come l’impasse politico afghano rischiasse di favorire un colpo di stato da parte dei militari.

Foto: UK Mod e ISAF

Gianandrea GaianiVedi tutti gli articoli

Giornalista bolognese, laureato in Storia Contemporanea, dal 1988 si occupa di analisi storico-strategiche, studio dei conflitti e reportage dai teatri di guerra. Dal 1991 al 2014 ha seguito sul campo i conflitti nei Balcani, Somalia, Iraq, Afghanistan, Sahara Occidentale, Mozambico e Sahel. Dal febbraio 2000 dirige Analisi Difesa. Ha collaborato o collabora con quotidiani e settimanali, università e istituti di formazione militari ed è opinionista per reti TV e radiofoniche. Ha scritto diversi libri tra cui "Iraq Afghanistan, guerre di pace italiane", “Immigrazione, la grande farsa umanitaria” e "L'ultima guerra contro l’Europa". Presso il Ministero dell’Interno ha ricoperto dal 2018 l’incarico di Consigliere per le politiche di sicurezza di due ministri e un sottosegretario.

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