Israele verso l‘ esportazione dell‘Iron Dome

Mentre l’Iran “continua a minacciare Israele con missili balistici, attività marittime e cibernetiche, e attraverso gli Hezbollah libanesi“, come ha dichiarato il segretario della Difesa USA James Mattis in visita a Tel Aviv, Israele valuta di dover affrontare vecchie e nuove minacce.

Hamas e Hezbollah che  assomigliano sempre di più a eserciti convenzionali, ma anche nuove organizzazioni islamiste sub-statali, mentre l’Iran è impegnato a consolidare le sue posizioni nella regione sia dal punto di vista politico che strategico.

Se lo status quo non è a favore di Israele, come afferma Usi Rabi, Direttore del Moshe Dayan Center for MEA Studies a Tel Teviv, gli Stati Uniti mantengono “un assoluto e deciso impegno a favore della sicurezza di Israele e del suo vantaggio militare sull’Iran”.

Il sistema di difesa aerea anti – missile di Israele è già potentissimo e comprende l’Iron Dome (La Cupola di Ferro) progettato per intercettare razzi, proiettili di artiglieria e missili a corto raggio, il sistema anti-missile David Sling, conosciuta come la “Fionda di David” e progettato per intercettare missili balistici tattici dai 40 ai 300 km, ed il sistema Arrow – con la prossima versione 4 – per missili balistici a lungo raggio al di fuori dell’atmosfera.

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Ma oltre che sull’espansione della difesa ABM, Israele punta ora a suggellare la special relationship con Washington e con diversi paesi dell’area asiatica attraverso la vendita di Iron Dome.

Secondo quanto descritto dall’azienda produttrice, RAFAEL Advanced Defense Systems, Iron Dome è “un sistema di difesa mobile progettato per intercettare e distruggere granate, proiettili d’artiglieria e razzi balistici a corto raggio. E’ operativo in qualsiasi condizione meteo ed è studiato per la difesa di punto di piccole città e obiettivi militari dai 3 ai 72 km d’estensione”.

 

Il programma

La Cupola di Ferro, fin dalla sua origine, era destinata sia ad un uso interno che alla vendita. Il sistema era stato dichiarato operativo nel 2011 ed ha visto un continuo upgrade: già dopo 3 anni le forze della difesa israeliane sostenevano che il tasso di intercettazione di Iron Dome fosse salito al 90%. Dal 2011 in poi, Iron Dome avrebbe effettuato almeno 1500 intercettazioni.

Nella stragrande maggioranza dei casi è stato usato per intercettare colpi di mortaio e razzi lanciati da Hamas dalla Striscia di Gaza e si è dimostrato particolarmente efficace nella protezione della popolazione civile, come nel corso dell’operazione ‘Margine di protezione’ condotta dalle forze di difesa israeliane nell’estate del 2014 in cui le perdite umane sono state minime.

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Nonostante le critiche di molti, tra cui Theodore Postol – esperto di sistemi anti-missile e professore al MIT –  secondo cui la percentuale di successo di Iron Dome non può essere superiore al 6%, Iron Dome è divenuta ben presto secondo i media il fiore all’occhiello delle tecnologie di difesa militare e gode di ottima reputazione.

Certo è che Iron Dome impiega della tecnologia molto avanzata. Ogni batteria del sistema è composta da un radar per il rilevamento e l’intercettazione dei razzi, un sistema di gestione centrale costituito da un computer con un software dedicato all’ elaborazione dei dati e da un’unità di fuoco contenente 20 missili Tamir. Il radar deve funzionare 24 ore su 24 e in ogni condizione meteo.

Una volta identificato il razzo nemico, le informazioni sulla sua posizione e velocità vengono trasferite al software del computer del centro di controllo che definisce la traiettoria e il luogo dell’impatto.

Solo il missile costituisce una minaccia viene intercettato e abbattuto lontano dall’area da proteggere entro 15 secondi al massimo. Le vendite di Iron Dome faticano però a decollare.

 

Puntare all’export

Secondo le fonti israeliane, il problema sta nel fatto che pochi paesi si trovano a far fronte al tipo di minacce cui si trova esposto lo Stato ebraico. «Gli Stati devono riconoscere la minaccia prima di fare un investimento”, riporta Har- Even, CEO della Rafael Advanced Defense Systems, a Defense News  per il quale  il sistema sarebbe quindi tarato per esigenze troppo specifiche.

I rappresentanti della RAFAEL sostenevano nel 2016 di voler passare dallo status quo “vendite zero” allo sviluppo di una politica di export più aggressiva attraverso l’espansione del “mission set” grazie allo sviluppo della capacità di difesa marina e maggiori capacità di intercettazione.

Infatti recentemente è stata testata una versione marina del sistema, chiamata C- Dome, che sarà parte integrante del pacchetto. Tutti segnali del fatto che qualcosa di sta muovendo.

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A novembre 2016 i media riportavano di come Israele fosse pronto a vendere il sistema di difesa all’alleato regionale Azerbaijan. A dicembre, il primo ministro azero affermava la conclusione di un accordo per l’acquisto di Iron Dome, un mese dopo la firma di contratti a lungo termine del valore di 5 milioni di dollari con cui l’Azerbaijan si impegna ad acquistare materiale militare da Gerusalemme. L’accordo di parziale vendita di Iron Dome conferma e suggella una partnership strategica preferenziale.

Si tratterebbe della prima vendita ufficiale. Ufficiale perchè la prima vendita effettiva risalirebbe ad anni fa (forse il 2014) ma l’accordo è top secret ed esiste il massimo riserbo sull’identità del paese acquirente.

Un numero imprecisato di batterie sarebbero ora in possesso dell’esercito azero, in lotta contro il rivale regionale, l’Armenia, che poco prima aveva acquistato dei missili balistici a corto raggio Iskander russi.

Sulla stampa israeliana circolano già da un po’ anche voci sull’interesse del Kazakhstan per Iron Dome ma nessun accordo è stato ancora stipulato.

Netanyahu, all’indomani della conclusione dell’accordo con l’Azerbaijan, ha pubblicamente dichiarato la volontà del gigante asiatico di stringere legami più’ stretti con Israele, nonostante i suoi buoni rapporti con la Russia, la Cina e l’Iran, sottolineando che entrambi i paesi asiatici [Azerbaijan e Kazakhstan] ammirano Israele.

 

Iron Dome a stelle e strisce?

Anche se gli alleati regionali sono di primaria importanza, è chiaro però che Tel Aviv punta innanzitutto a vendere Iron Dome a Washington.

Har Even ribadisce in una recente intervista a Defense News che la priorità al momento è quella di vendere Iron Dome a livello internazionale. Specifica però che è stato adattato in particolare per gli Stati Uniti.

La necessità di scegliere in modo particolarmente selettivo i propri partner ed acquirenti è cruciale per Israele: trattandosi di un’arma strategica a tutti gli effetti, nel momento in cui la controparte si appropria di tale tecnologia e capisce come funziona, potrebbe divenire potenzialmente un rischio per Israele, anche se l’acquirente non è uno stato confinante.

Questo è il motivo per cui il sistema non sarebbe stato venduto agli stati del Golfo confinanti con l’Iran, potenzialmente interessati all’articolo ma ovviamente limitati da considerazioni politiche.

La vendita di Iron Dome agli USA potrebbe quindi essere imminente e, per quanto un possibile utilizzo di Iron Dome in territorio americano sia al momento remoto, gli USA potrebbero essere interessati al suo dispiegamento a tutela delle forze inviate all’estero nelle aree da bollino rosso.

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E come ricorda Har Even, i pericoli oggigiorno non sono più territoriali e le organizzazioni sub-statali hanno le stesse capacità militari delle nazioni.

Oltre al fatto che gli USA hanno finanziato Iron Dome con un milione di dollari, è da menzionare che il sistema è già prodotto al 50% negli Stati Uniti grazie alla partnership RAFAEL – Raytheon.

Secondo un recente rapporto di Defense News, l’esercito americano avrebbe inoltre bisogno di intercettori Iron Dome da installare nelle basi in Europa.

Lo scorso aprile l’organizzazione di difesa missilistica di Israele ha effettuato per la prima volta una serie di esperimenti con l’utilizzo di componenti americane durante i test di intercettazioni missilistiche.

A settembre l’Iron Dome è stato testato a White Sands, in New Mexico, con lo scopo di compararlo con altri sistemi, come il veicolo ruotato Stryker dotato di sistema di dfesa aerea a cortio raggio che nion avrebbe offerto risultati convincenti.

RAFAEL avrebbe già fornito dati e prezzi dettagliati al Pentagono in vista della conclusione della vendita che farebbe diventare l’Iron Done un sistema interamente americano.

Pochi giorni dopo la conclusione dell’esercitazione è stata inaugurata la nuova base militare statunitense vicino a Beer Sheva.

Lo scopo principale della base americana che ospiterà decine di soldati USA è quello di osservare le traiettorie dei missili balistici e fornire sistemi di difesa e informazione sul loro tragitto.

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Il comandante israeliano della difesa aerea, generale Tzvika Haimovitch, il giorno dell’inaugurazione ha dichiarato: “La base dimostra la lunga alleanza tra Usa e Israele e ci consente di aumentare le nostre difese, nella ricognizione, nell’intercettazione e nella capacità di reagire”

La base, tra l’altro, è la prima su cui gli USA dispiegheranno i propri missili intercettori e servirà anche ad integrare le tecnologie israeliane con quelle statunitensi. In un’intervista a Strictly Security, un rappresentante della RAFAEL ha affermato che le capacità di Iron Dome finora conosciute e testate non corrispondono neanche lontanamente all’intero raggio di quelle disponibili nei confronti di un spettro diversificato di minacce.

 

Conclusioni

Per il momento altri acquirenti per l’Iron Done sono meno probabili anche se Londra ha da pochi giorni mostrato interesse per il dispiegamento del sistema di difesa aerea alle isole Falkland/Malvinas rivendicate dall’Argentina.

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L’ipotesi di vendita a Corea del Sud e India è stata ventilata già da tempo. I più recenti investimenti indiani in tecnologia militare israeliana e potrebbero dare consistenza alle voci, soprattutto dopo la visita ufficiale di Modi a Gerusalemme in luglio. La IAI (Israel Aerospace Industries) di proprietà statale avrebbe concluso accordi per almeno 2,5 miliardi di dollari in progetti comuni che comprendono tra l’altro lo sviluppo di missili di superficie di media e lunga gittata basati sul sistema Barak-8.  Così si esprime Boaz Levy, vicepresidente esecutivo: «Stiamo portando la partnership strategica con l’India al prossimo livello e abbiamo una solida base su cui costruire ed espandere».

Nell’immediato futuro più che alle minacce regionali provenienti dal Pakistan, l’India potrebbe essere interessata a proteggere i suoi interessi in aree chiave, e soprattutto le sue risorse strategiche.

Anche la Corea del Sud potrebbe essere ora maggiormente interessata al sistema Iron Dome, anche se necessiterebbe di un vasto numero di batterie per far fronte alla minaccia della Corea del Nord: i costi sarebbero ingenti e quasi sicuramente il sistema da solo non sarebbe sufficiente.

La visita di rappresentanti della RAFAEL a Seul risale al 2014, quando un accordo pareva essere prossimo. Al contempo, un certo interesse era stato manifestato da parte di Singapore ma ufficialmente nulla è stato concordato.

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Con l’esportazione di Iron Dome in vista, la politica estera di Israele conferma di essere multivettoriale e di puntare, oltre che sul legame con gli USA sempre più inscindibile, sugli alleati e Paesi amici in area centroasiatica.

Nonostante i rapporti relativamente buoni che intercorrono tra questi ultimi e l’Iran, la chiave di lettura contenitiva nei confronti del colosso sciita è evidente. Anche alla luce dell’ovvia riluttanza di Mosca ad assumere tale ruolo nei confronti dell’Iran ribadita al vertice di Sochi in agosto.

Dovessero concretizzarsi le vendite a India, Corea del Sud ed altri paesi asiatici, si profilerebbe la creazione di un ‘outer ring’ che avrebbe come minimo comune denominatore l’alleanza con gli USA.

 

Foto: IDF, AP, Reuters, Rafael e Military Technology

 

Classe 1983, Master in Relazioni Internazionali e Dottorato di Ricerca in Transborder Policies IUIES, ha maturato una rilevante esperienza presso varie organizzazioni occupandosi di protezione internazionale delle minoranze, politica estera della UE e sicurezza internazionale. Assistente alla cattedra di Storia delle Relazioni Internazionali e Politica Internazionale presso l'Università di Trieste, ricercatrice post-dottorato presso il Centro di Studi Europei presso l'Università Svizzera di Friburgo, e junior member presso la Divisione Politica Europea di Vicinato al Servizio Europeo per l'Azione Esterna. Lavora attualmente presso Small Arms Survey a Ginevra come Ricercatrice Associata.

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