Guerra dell’informazione e società civile

La società dell’informazione ha donato agli attivisti della società civile i mezzi per invertire i rapporti di forza, pere ribaltare la relazione tra forte e debole.

Fino all’avvento di Internet il forte, spesso simboleggiato dal governo o dalla classe imprenditoriale, disponeva di tutti i mezzi coercitivi per imporre il proprio punto di vista: relazioni privilegiate con le forze al potere; partecipazioni azionarie nei media principali; il peso finanziario capace di influenzare le istituzioni pubbliche e private; la conoscenza della prassi giuridica e la possibilità di appellarsi ai migliori studi di consulenza; senza tenere in conto il ricorso alle lobby specializzate, servizi segreti e, di conseguenza, servizi di intelligence economica.

Dopo gli insuccessi politici di fine anni Settanta come la perdita di vigore e la dissoluzione di numerose organizzazioni di estrema sinistra, l’indebolimento dei sindacati e una nuova messa in discussione della classe lavoratrice, il debole ha scoperto nuovi metodi di influenza. La prima tappa di questo cambiamento nell’atteggiamento è costituito dalla sua reattività rispetto all’informazione.

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Un dipendente insoddisfatto o un cittadino in protesta hanno potuto prendere subito la parola sul web, ottenendo un effetto ingigantito. Il forte ci ha messo del tempo prima di capire questo cambio di paradigma. Spesso chiuso nelle problematiche delle sue attività principali, il suo modo di reagire è rimasto sempre uguale a causa della lentezza nella validazione del contenuto delle immagini da diffondere in nome dell’impresa.

Essendo la catena di comando più complessa e talvolta molto burocratica, il forte era meno dinamico rispetto al debole nel guadagnarsi l’opinione pubblica. Questa differenza era molto evidente quando si andava a valutare la risonanza: di fatto, il forte comunicava meno rapidamente di quello debole. Si noti a questo proposito che molte aziende ancora non sanno come padroneggiare la comunicazione su Internet.

Avendo conservato negli scontri una naturale aggressività, il debole è andato alla ricerca di una nuova forma di legittimazione denunciando i problemi ambientali causati dal sistema produttivo o dal ritmo sregolato della società dei consumi. Ha così conferito nuovamente un senso costruttivo e non più distruttivo al suo atteggiamento offensivo precedente.

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Il forte, minacciato dalla denuncia di un debole, ha trovato rifugio nelle giustificazioni. Mentre il debole puntava il dito contro un errore e non aveva nulla da difendere al di là della sua buona fede, il forte era sospettato immediatamente di essere sia il giudice che il giudicato, perché proteggeva un interesse economico. Il forte è stato dunque indebolito dall’handicap della sua immagine di potente che cerca di nascondere qualcosa; al contrario, il debole si è forgiato, in base alle situazioni, con il vantaggio di essere il rivelatore della “verità”.

Con gli strumenti operativi della guerra dell’informazione, il debole può molto rapidamente giocare sugli effetti della risonanza del suo messaggio e quindi trarre profitto dalle risorse adeguate dei militanti. Un’associazione, una ONG, un gruppo politico possono mobilitare numerose persone nel loro tempo libero, a volte a tempo pieno, intraprendendo una forma di guerriglia informativa sotto la copertura della campagna di protesta.

All’inizio di questo processo, che è stato accentuato dall’aumento del potere di Internet, le grandi aziende hanno concesso pochissime risorse umane a questo tipo di problema. Da parte sua, il debole ha gradualmente acquisito più conoscenza e competenza. Disponeva inoltre di più risorse finanziarie, materiali e umane, mentre il forte rimaneva invischiato nella competizione economica.

Ancora oggi, i dirigenti di vecchia scuola aspettano che una crisi di informazione si manifesti prima di indicare chi sarà la persona incaricata di gestire l’urgenza. Nella maggior parte dei casi osservati, il dirigente designato ha già un carico di lavoro considerevole e riceve missioni di questo tipo come dei fardelli aggiuntivi. È così che nella guerra di informazione il forte si indebolisce.

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Il debole si è rafforzato grazie a un insieme di attività, alla redazione di opuscoli tesi all’espansione del know-how individuale e collettivo, alla professionalizzazione degli attivisti più esperti con i social network e con l’organizzazione delle operazioni da intraprendere.

La competenza richiesta per le questioni logistiche e il supporto legale è stata presa in considerazione in modo sempre più sistematico. Il forte ha dato a questo tipo di problematiche solo un’attenzione molto relativa.

A crisi passata, i direttori o i responsabili di progetto si sono affrettati a tornare alle loro preoccupazioni prioritarie: l’innovazione, il loro posizionamento sul mercato e il bilancio finanziario.

Ci sono volute sconfitte spettacolari, come la questione degli OGM o le ripetute guerre di informazione sull’industria dell’acqua, perché il forte finalmente iniziasse a pensare alla possibilità di invertire l’equilibrio di forza e alle conseguenze di questo stato di cose sulla sua attività.

 

Un caso di studio

Il divario crescente tra la percezione del forte e la visione del debole è stato identificato in occasione di uno dei primi confronti tra forte e debole trattati dai media.

Si trattava di un boicottaggio lanciato da Greenpeace contro il gruppo petrolifero Shell. All’inizio degli anni Novanta, nel Mare del Nord, la società Shell UK possedeva una piattaforma non più operativa, la Brent Spar, che s’intendeva dismettere affondandola. Nel maggio 1995 Greenpeace dichiarò lo stato di pericolo nello smantellamento della piattaforma petrolifera, sostenendo che contenesse 5000 tonnellate di petrolio, una quantità pericolosa per i fondali marini.

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Shell smentì le  accuse, dicendo che la stazione non rappresentava alcun pericolo per l’ambiente: il petrolio era stato scaricato nel 1991 in una petroliera quando la stazione non era operativa.

La piattaforma non conteneva più di 130 tonnellate di petrolio e non c’erano conseguenze ecologiche. Per sostenere la sua posizione, Shell ottenne il sostegno di esperti scientifici incaricati dal governo britannico e favorevoli allo smantellamento.

Anche il premier John Major si è pronunciato per l’affondamento, secondo lui più sicuro ed economico. Di fronte a queste argomentazioni sfavorevoli alle sue analisi, Greenpeace ha intrapreso una campagna mediatica molto aggressiva dasata sui seguenti punti:

  • denuncia della faziosità degli scienziati inviati dal governo britannico;
  • occupazione dello spazio mediatico tramite operazioni dal carattere spettacolare (come l’assalto della Brent Spar diffuso a livello mondiale);
  • pubblicazione di un rapporto scientifico che sottolineasse i rischi di una catastrofe ecologica senza precedenti;
  • appello per il boicottaggio di Shell.

In Germania la diffusione della protesta, a volte molto aggressiva, ha portato il Cancelliere Kohl a chiedere a John Major di rinunciare allo smantellamento. Il 20 giugno 1995, di fronte all’aumento delle proteste in Europa, Shell UK rinunciò allo smantellamento della Brent Spar per non compromettere sul lungo periodo la propria immagine: la filiale tedesca aveva già perso ben 35 milioni di marchi al giorno.

La società britannico/olandese accettò di rimorchiare la piattaforma fino in Norvegia per smantellarla in quelle acque. Greenpeace riteneva d’aver vinto la battaglia a livello informativo. L’atteggiamento difensivo di Shell, consistito nel ribadire ininterrottamente quanto fosse sicura l’operazione di smantellamento, non è stata sufficiente a contrastare l’attacco della Ong.

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Nel dominare questo tema tecnico, Shell agiva su un piano oggettivo, tangibile, fattuale e scientifico. Greenpeace invece su un piano soggettivo, sovversivo e pseudo-scientifico, citando i possibili rischi, accertati o meno.

Il dossier di Greenpeace, anche se non molto completo, obbligò Shell a dar vita a delle argomentazioni con una strategia difensiva, disperdendo un sacco di energia per un risultato mediocre. Dopo l’avviamento della campagna di Greenpeace, Shell chiese allo studio Veritas di analizzare il contenuto della piattaforma. I trentatré esperti coinvolti si espressero all’unanimità: affondare la Brent Spar non rappresentava un pericolo particolare

La pubblicazione nell’ottobre 1995 del rapporto dello studio Veritas obbligò l’ONG a presentare al gruppo le proprie scuse in questi termini:

“Chiediamo scusa, i nostri calcoli sono stati imprecisi. […] Porgiamo le nostre scuse per questo errore. [Sono stati prelevati campioni] nel condotto che porta ai serbatoi di stoccaggio della piattaforma e non nei residui di quest’ultimi.”

La lezione che si può trarre da questo confronto tra debole e forte conferma l’inversione dei rapporti di forza. Il debole può vincere nonostante il suo errore di valutazione del problema. La legittimità emotiva non confermata dai fatti ha un effetto maggiore delle argomentazioni avanzate da una società.

Questa incoerenza si ripresenta poi in altri casi. Ogniqualvolta l’ONG Greenpeace si è sbagliata oppure ha mentito nei suoi atti d’accusa, la sua immagine non è stata colpita alla base. D’altra parte, invece, i bersagli dell’Ong non sono mai stati graziati con tanta benevolenza. Questo squilibrio nella valutazione degli argomenti e dei relativi contenuti ha generato uno sbilanciamento nel modo di condurre le guerre d’informazione tra forti e deboli.

 

Conclusioni

Ebbene, siamo persuasi che l’Italia debba dotarsi di una istituzione formativa analoga (per metodologie e finalità) alla Scuola di guerra economica francese (che da vent’anni, sotto la guida di Christian Harbulot, educa le nuove generazioni a far fronte a questa nuova tipologia di guerra) in grado di preparare gli analisti ad affrontare ed ad anticipare queste nuove minacce

Proprio a questo scopo, il network Cestudec, da otto anni pubblica saggi e articoli che illustrano la natura della guerra economica e della guerra dell’informazione alla luce dell’approccio di Harbulot che riteniamo essere fecondo e adatto ad essere contestualizzato in Italia, Proprio in relazione a Greenpeace, il Cestudec, insieme alla Scuola di guerra di Parigi, ha finanziato una ricerca (Thibault Kerlirzin, Greenpeace, une ONG à double fond(s),Va Press,2018) relativa al modus operandi della Ong a livello internazionale evidenziandone punti deboli e criticità.

Foto  Unifi/CSSII, Slideshare.net, Unipath.com,  Greenpeace e Youtube

 

Giuseppe GaglianoVedi tutti gli articoli

Nel 2011 ha fondato il Network internazionale Cestudec (Centro studi strategici Carlo de Cristoforis) con sede a Como, con la finalità di studiare in una ottica realistica le dinamiche conflittuali delle relazioni internazionali ponendo l'enfasi sulla dimensione della intelligence e della geopolitica alla luce delle riflessioni di Christian Harbulot fondatore e direttore della Scuola di guerra economica (Ege). Gagliano ha pubblicato quattro saggi in francese sulla guerra economica e dieci saggi in italiano sulla geopolitica.

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