La geopolitica del soccorso dei migranti

 

 

Dopo la tragedia di Cutro, come era già successo in passato in tante analoghe situazioni, l’attenzione dell’Italia si è concentrata sul primario obbligo di salvataggio della vita umana in mare (Sar). In secondo piano sono passate le questioni, pur valide, del contenimento dei flussi migratori irregolari via mare. Tra l’altro, come notato dal Ministro Piantedosi, «c’è anche il fattore attrattivo di un’opinione pubblica che annovera l’accettazione di questo fenomeno», mentre «altri Paesi sono intransigenti in maniera trasversale tra posizioni politiche diverse».

Gli arrivi sulle coste italiane sono cresciuti in modo esponenziale nelle ultime settimane e così anche le operazioni Sar coordinate della nostra Guardia costiera con mezzi propri e di Marina, Guardia di Finanza (GdF), Ong e mercantili.

Fare riferimento ad un vero e proprio esodo di massa via mare verso il nostro Paese è improprio poiché i flussi provengono da diverse aree geografiche e non sono riconducibili ad identici fenomeni; tuttavia, l’immagine rende adeguatamente l’idea delle tensioni cui è sottoposta l’Italia nel dover adeguare la propria sovranità territoriale all’obbligo di accogliere decine di migliaia di persone la cui identità e la cui storia non è spesso documenta.

Dietro le quinte si possono perciò intravedere -come del resto si ipotizza a livello istituzionale – attori geopolitici interessati a destabilizzarci in questo modo.  Sopite le polemiche sulla presunta prevalenza delle attività di polizia rispetto al soccorso (il quale è al contrario salvaguardato integralmente dalla regolamentazione della “Bossi-Fini), il Governo potrebbe ora autorizzare la Marina a gestire, nell’interesse della sicurezza nazionale e migratoria, il Dispositivo  interministeriale integrato di sorveglianza marittima (Diism).

Qualcuno ha osservato inoltre che andrebbero risolti con norme ad hoc alcune problematiche relative alla catena di comando delle operazioni Sar evidenziate dal naufragio di Cutro. Tesi che appare non condivisibile dal  momento che le competenze della nostra Guardia Costiera sono fondate sul recepimento delle norme internazionali in materia, attuato in modo dettagliato dai Trasporti con Dpr 662-1994.

Questa normativa, nel prevedere che “il Comando generale del Corpo delle capitanerie di porto è l’organismo nazionale che assicura il coordinamento generale dei servizi di soccorso marittimo (I.M.R.C.C. – Italian Maritime Rescue Coordination Center)”, stabilisce anche il concorso, a richiesta, dei mezzi della Marina militare e, a certe condizioni, di quelli della Gdf. Difficile quindi pensare a modifiche normative di un regolamento che, oltre a definire l’area Sar di competenza nazionale, dà attuazione a norme internazionali inderogabili.

Certo è che il Corpo delle capitanerie, come dichiarato dal suo Comandante generale in una recente audizione in Commissione, deve confrontarsi con le difficoltà degli altri Paesi vicini nell’effettuare i soccorsi, venendo costretto ad intervenire in un’area Sar non di propria competenza:  “L’assenza o inadeguatezza” degli apparati di soccorso degli altri Paesi frontisti fa sì che, “in ossequio alla Convenzione di Amburgo, quando noi veniamo a conoscenza di unità in pericolo, anche se queste si trovano fuori dalla acque di responsabilità italiana, c’è l’obbligo di intraprendere le azioni necessarie e continuare a coordinare i soccorsi”.

Da questo deriva il fatto che “Le nostre unità sono sempre più impegnate nell’operare a distanze elevatissime dall’Italia e questo sta determinando un logorio del nostro strumento aeronavale: servono interventi urgenti di adeguamento”. Il Corpo si prepara dunque a rafforzare il proprio dispositivo marittimo con la costruzione della nave ammiraglia (Unità d’altura multiruolo-UAM) ed il  potenziamento degli organici, secondo un trend che, visto dall’esterno, sembra essere una forma di competizione con Marina e Guardia di Finanza tra cui non ci sono sinergie strutturate.

Tante sono dunque le ragioni e le giustificazioni di tali scelte. Certo è che la nostra Guardia Costiera si candida in tal modo ad essere tra le prime al mondo per impegno nell’assolvere le responsabilità nel Sar. Sullo sfondo appare, come si diceva, una sorta di sfida geopolitica che l’immigrazione irregolare via mare, quale fenomeno incontrollato e tuttavia favorito da inadempienze di alcuni Stati mediterranei, rappresenta per il nostro Paese.

Viene da pensare all’inveterata intransigenza maltese nel concordare con noi i limiti della propria enorme zona Sar e nel concludere un  accordo formale di collaborazione con l’Autorità Sar italiana che, di fatto, è costretta ad operare autonomamente nella stessa zona. Oppure alla “disattenzione” della Grecia – con cui nel 2000 abbiamo già siglato un accordo di collaborazione Sar – verso le barche coi migranti che attraversano la Sar ellenica provenendo dalla Cirenaica o dalla Turchia.  Per non dire dell’assenza di relazioni marittime strutturate con la Francia nel settore del Sar e della definizione del porto di sbarco (Pos) dei migranti salvati.

Quanto alla Ue, è ormai chiaro che molto difficilmente verranno assunte iniziative comuni di soccorso in mare, proprio per le resistenze dei partner europei ad accettare un Pos diverso dai porti italiani. Se si guarda ai numeri degli sbarchi in Italia degli anni passati e degli ultimi mesi e delle relative operazioni Sar, deve convenirsi che è quanto meno ingiusta la reprimenda del Commissario dell’ONU sui diritti umani che ci accusa di ostacolare le attività civili di soccorso delle Ong.

Nessuno ricorda invece che proprio le Nazioni Unite, nell’annuale Risoluzione sugli Oceani (n. 77/248), hanno richiamato gli Stati ad «adempiere alle proprie responsabilità di ricerca e salvataggio in conformità con il diritto internazionale», incoraggiandoli a «rafforzare la cooperazione sulle attività di ricerca e salvataggio marittime a livello internazionale e regionale…» nonché in quelle relative alla scelta del Pos. Perché, allora – piuttosto che cercare di far tutto da soli scontentando anche alcune Agenzie dell’ONU – non incentrare la nostra azione a livello Ue e Mediterraneo su questo indiscutibile principio?

Immagini: Guardia Costiera, Gnosis e International Maritime Law Institute (IMLI)

 

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E' Ufficiale della Marina Militare in congedo, esperto di diritto internazionale marittimo. Membro del CeSMar, è autore di vari scritti in materia, tra cui "Glossario del Diritto del Mare" (Rivista Marittima, V ed., 2020) disponibile in http://www.marina.difesa.it/media-cultura/.

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