Minniti e Manenti le figure più idonee per l’incarico di inviato speciale in Libia

Il governo italiano sembra spiazzato dalle rapide mosse di Ankara tese a screditare il ruolo di Roma presso il governo di accordo nazionale (GNA) di Tripoli e a scalzarci dalla Tripolitania.

Sobillare i sentimenti anti-italiani denunciando l’inconsistente aiuto militare di Roma a Tripoli o addirittura il “tradimento” attuato dagli italiani “schierandosi con Haftar” sulla questione delle zione economiche esclusive marittime rientra certamente tra le priorità dell’agenda politica e militare turca in Libia che vede Ankara apprestarsi a inviare truppe regolari e miliziani siriani suoi alleati a sostegno del GNA.

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A dare una mano ai programmi anti-italiani dei turchi ha contribuito anche l’annuncio della prossima visita a Roma di Haftar, resa nota dal ministro degli Esteri Luigi Di Maio al termine della sua missione-lampo in Libia in cui ha incontrato tutti gli interlocutori principali.

Grazie alla sua egemonica influenza sul GNA, Ankara potrebbe puntare a breve termine al ritiro dei militari italiani dalla Libia e successivamente ad acquisire, con proprie compagnie e a spese dell’ENI, le concessioni per l’estrazione di gas e petrolio in Tripolitania. Senza contare il ricatto che Erdogan potrebbe esercitare sull’Italia minacciando di lasciare via libera ai trafficanti di esseri umani anche sulla “rotta libica” come già minaccia di fare su quella balcanica.

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Un contesto pericoloso che rende urgente, anche se tardivo, il tentativo italiano di riguadagnare terreno in Libia attraverso una proposta negoziale credibile e la nomina di un inviato speciale.

Sul piano politico la proposta di Roma è talmente leggera da apparire evanescente: l’Italia punta infatti sul ruolo di Ue e partner europei attraverso la conferenza di Berlino di cui non è stata ancora fissata la data e a cui non è certo partecipino rappresentanti libici di rilievo.

Quanto all’incarico di inviato speciale, sarebbe un grave errore guardare a figure di ex politici o diplomatici come quelle recentemente riportate dai media: Franco Frattini, Staffan De Mistura, Giampiero Massolo, Piero Fassino….

Nomi noti in Italia ma sconosciuti in Libia, area di cui di cui non si sono mai occupati. Per tentare di recuperare un po’ di terreno l’Italia avrebbe bisogno invece di nominare “inviato speciale” una figura nota e possibilmente stimata da tutti, a Tripoli e Misurata come a Bengasi e Tobruk.

Elemento quest’ultimo ancor più necessario tenuto conto che, come annunciato da Di Maio, l’inviato speciale subirà già la limitazione di rispondere al ministro degli Esteri invece che al presidente del Consiglio: circostanza che ne avrebbe reso più autorevole il ruolo presso i libici.

Per tutte queste ragioni le figure più idonee per questo incarico (soprattutto per un governo di sinistra cone il Conte 2) sono l’ex ministro dell’Interno Marco Minniti (PD) e l’ex direttore dell’Agenzia Informazioni e Sicurezza Esterna (AISE) Alberto Manenti (nella foto sotto).

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Il primo ha gestito da titolare del Viminale i rapporti con tutte le fazioni e le autorità libiche, incluse le tribù del Fezzan ottenendo risultati importanti nel rallentare i flussi migranti illegali e nel consolidare i rapporti col GNA di Tripoli.

Manenti, che è nato a Tarhouna (non lontano da Tripoli), ha diretto l’intelligence tra il 2014 e la fine del 2018 indirizzando tutta la complessa attività di relazioni sviluppata dai nostri servizi segreti in questi anni di continua emergenza in Libia collaborando strettamente con governi di centro-sinistra e giallo-verde e rapportandosi direttamente con tutte le autorità politiche e tribali della Libia.

La scelta rapida e efficace di un inviato speciale di spessore, non solo di facciata, rappresenta forse l’ultima possibilità rimasta all’Italia per far sentire la sua voce a Tripoli.

@GianandreaGaian

 

Gianandrea GaianiVedi tutti gli articoli

Giornalista bolognese, laureato in Storia Contemporanea, dal 1988 si occupa di analisi storico-strategiche, studio dei conflitti e reportage dai teatri di guerra. Dal 1991 al 2014 ha seguito sul campo i conflitti nei Balcani, Somalia, Iraq, Afghanistan, Sahara Occidentale, Mozambico e Sahel. Dal febbraio 2000 dirige Analisi Difesa. Ha collaborato o collabora con quotidiani e settimanali, università e istituti di formazione militari ed è opinionista per reti TV e radiofoniche. Ha scritto diversi libri tra cui "Iraq Afghanistan, guerre di pace italiane", “Immigrazione, la grande farsa umanitaria” e "L'ultima guerra contro l’Europa". Presso il Ministero dell’Interno ha ricoperto dal 2018 l’incarico di Consigliere per le politiche di sicurezza di due ministri e un sottosegretario.

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