LA FOLGORE IN MALI’?

Il Dipartimento del Peacekeeping (Dpko) delle Nazioni Unite avrebbe chiesto in modo informale all’Italia e ad altri Paesi europei la disponibilità a inviare truppe in Malì per costituire una forza di stabilizzazione di caschi blu che inglobi il contingente africano che sta dispiegandosi nel Paese e sostituisca le truppe francesi il cui ritiro, come ha detto il presidente Francois Hollande, inizierà a marzo. La notizia è stata riferita da fonti autorevoli e del resto il Palazzo di Vetro ha molte buone ragioni per puntare ad accelerare i tempi per la messa a punto di un contingente internazionale da schierare nel nord del Malì. Innanzitutto perché da quelle parti la guerra non è finita e i jihadisti si sono rifugiati nei contrafforti rocciosi dell’Adrar ma hanno anche iniziato le azioni di guerriglia con il lancio di razzi e un assalto a Gao, la semina di ordigni esplosivi e le prime azioni suicide. Strumenti tipici della “scuola di al-Qaeda” che sembrano indicare che la fase insurrezionale del conflitto è appena cominciata. Inoltre nell’area abitata dai tuareg nell’estremi nord del Malì non è possibile schierare truppe africane perché l’odio razziale che contrappone arabi/tuareg e neri rischia di scatenare nuove violenze peraltro difficili da evitare dopo che il governo di Bamako ha risposto con l’ordine di arresto per tutti i leader dei movimenti islamici e tuareg alle richieste di autonomia formulate dal Movimento nazionale di liberazione dell’Azawad (Mnla). I procedimenti riguardano il segretario generale dell’Mnla, Bilal Ag Acherif, e il capo di Ansar Dine (Difensori dell’Islam), Iyad Ag Gahly, oltre che dei responsabili di al Qaida nel Maghreb islamico (Aqmi) e del Movimento per l’unicità e la jihad nell’Africa occidentale (Muajo). La decisione di non discriminare tra jihadisti e indipendentisti laici potrebbe avere effetti deleteri per il futuro del Malì, rinsaldando i rapporti tra due anime oggi rivali nelle regioni del nord e rafforzando così i qaedisti. Del resto il governo del Malì non sembra avere la forza e l’autorevolezza per assumere atteggiamenti così spavaldi quando non è in grado neppure di controllare la capitale dove nei giorni scorsi si sono affrontati alcuni reparti dell’esercito  e i paracadutisti fedeli (per appartenenza tribale) all’ex presidente Amadou Toumani Toure. In un contesto che sembra mischiare guerra ai jihadisti, indipendentismo tuareg ai rischi di guerra civile in tutto il Paese è comprensibile che i francesi siano ansiosi di ritirare il grosso dei loro 4 mila militari che hanno condotto l’operazione Serval cacciando in poche settimane le milizie jihadiste da Gao, Timbuctu, Kidal e altri centri del nord. Parigi ha speso finora per le operazioni in Malì 70 milioni di euro, 50 dei quali in costi logistici per il trasporto di truppe e mezzi ma pare certo che lascerà nel Paese forze speciali, aerei e elicotteri. L”ambasciatore francese all’Onu Gerard Araud ha dichiarato esplicitamente che la Francia ha chiesto al Consiglio di Sicurezza dell’Onu il dispiegamento di una missione di pace in Mali pur ammettendo che saranno  necessarie “diverse settimane” per valutare l’opportunità dell’invio una forza di pace.

Un ruolo per l’Italia?

Nonostante la delusione dei francesi per il mancato intervento degli aerei italiani C-130 e KC-767 messi a disposizione per il supporto logistico all’operazione Serval e poi bloccati dal governo, Parigi vorrebbe una robusta presenza militare italiana nell’ambito della nuova missione dell’Onu secondo quanto riferiscono fonti ben informate. Le difficoltà a coinvolgere forze statunitensi e britanniche in una missione di caschi blu, la qualità dei nostri militari e la positiva esperienza maturata da francesi e italiani in Libano (missione UNIFIL 2) sembrano indurre i francesi a sostenere un ruolo di primo piano dell’Italia. A Roma però nessuno risponde, complice anche la campagna elettorale in atto (nella quale è impensabile che qualche forza politica si esprima a favore di un intervento bellico, anche se mascherato come di consueto con la definizione “di pace”) e probabilmente nessuno sarà in grado di rispondere fino alla nascita di un nuovo governo, cioè almeno fino alla fine di marzo. L’Esercito sembra però essersi preparato per tempo all’ipotesi di una nuova missione in Africa togliendo la brigata paracadutisti Folgore dai turni di rotazione in Afghanistan per mantenerla in “riserva strategica”. I paracadutisti avrebbero dovuto raggiungere Herat il prossimo settembre per dare il cambio agli alpini della Julia, ma al loro posto verrà schierata la brigata Aosta (al suo primo impiego in Afghanistan) e successivamente la Sassari lasciando alla Folgore forse il compito di chiudere la missione nel settembre 2014. Elezioni a parte è possibile che Roma non intenda farsi coinvolgere in un  “Afghanistan africano” o non consideri il Malì e più in generale il Sahel un’area di rilevante interesse nazionale specie ora che l’Eni ha abbandonato le concessioni che aveva dal 2006 nel Paese africano per le ricerche di petrolio e gas. Il 15 gennaio il presidente dell’Eni, Giuseppe Recchi, ha infatti annunciato che l’azienda ha restituito le licenze di esplorazione in Mali a causa del basso potenziale di produzione e non per le tensioni che stanno scuotendo il Paese africano.

Missioni Ue e ONU

Roma ha già inviato a Bamako 20 istruttori militari nell’ambito della missione europea di addestramento europea (Eutm Malì) che sarà composta da 200 istruttori e altri 250 militari per la protezione e la logistica il cui pieno dispiegamento potrebbe richiedere almeno un altro mese anche se i primi 70 militari sono giunti il 10 febbraio in Malì.  Secondo indiscrezioni tra i militari italiani c’è anche un team FAC (Forward  air control), cioè una specialità già rivelatasi indispensabile in Afghanistan perché consente alle truppe a terra sotto attacco di indicare con precisione agli aerei gli obiettivi da colpire. L’addestramento FAC dei militari maliani, che non dispongono di forze aeree nazionali idonee al Close air support, sembra confermare l’intenzione di Parigi di lasciare in Malì un certo numero di cacciabombardieri Mirage 2000 e Rafale. Gli istruttori europei dovranno addestrare 4 nuovi battaglioni di fanteria maliani mentre a quanto pare i consiglieri militari britannici e statunitensi si occuperebbero di migliorare la formazione, specie nei compiti anti insurrezionali, dei reparti già esistenti.  L’operazione di peacekeeping in preparazione all’Onu dovrebbe invece inglobare i circa 6.500 militari africani schierati in Malì dalla comunità degli Stati dell’Africa Occidentale (Afisma) e forse anche i 2mila soldati inviati dal Ciad, dislocati attualmente a Kidal e posti direttamente sotto il comando francese dell’operazione Servàl.

Foto UAV francesi Harfang in Malì (Ministero Difesa frsncese)

Gianandrea GaianiVedi tutti gli articoli

Giornalista bolognese, laureato in Storia Contemporanea, dal 1988 si occupa di analisi storico-strategiche, studio dei conflitti e reportage dai teatri di guerra. Dal 1991 al 2014 ha seguito sul campo i conflitti nei Balcani, Somalia, Iraq, Afghanistan, Sahara Occidentale, Mozambico e Sahel. Dal febbraio 2000 dirige Analisi Difesa. Ha collaborato o collabora con quotidiani e settimanali, università e istituti di formazione militari ed è opinionista per reti TV e radiofoniche. Ha scritto diversi libri tra cui "Iraq Afghanistan, guerre di pace italiane", “Immigrazione, la grande farsa umanitaria” e "L'ultima guerra contro l’Europa". Presso il Ministero dell’Interno ha ricoperto dal 2018 l’incarico di Consigliere per le politiche di sicurezza di due ministri e un sottosegretario.

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