LA DIFESA EUROPEA SENZA LONDRA

Il ritiro della Gran Bretagna dagli organismi comunitari avrà probabilmente impatti diversi sulla difesa e sicurezza europea: rilevanti in alcuni settori, meno marcati in altri o addirittura quasi irrilevanti in altri ancora.

Il Regno Unito continua ad essere una potenza militare di primo livello non solo perché dispone di un ingente arsenale nucleare, di forze convenzionali ridimensionate ma efficienti e di uno dei più potenti ed efficaci servizi d’intelligence del mondo, ma soprattutto perché Londra resta uno dei pochi Paesi disposto anche a combattere e a chiamare la guerra col suo nome.

Il peso di Londra ha cercato di attribuire una certa aggressività alle parole dell’Europa, la cui reticenza a impiegare con decisione lo strumento militare per perseguire gli interessi comuni ha spesso sollevato aspre critiche da Londra, come nel caso della missione navale Eunavfor Med che avrebbe dovuto contrastare i trafficanti di immigrati clandestini e invece ne ha solo favorito gli affari.

Londra in più occasioni ha chiesto il respingimento dei clandestini in arrivo dalla Libia cozzando contro l’approccio blando dell’Europa ai problemi della sicurezza. L’anno scorso il ministro degli interni britannico, Theresa May, attaccò duramente Federica Mogherini che aveva appena varato la ben poco incisiva missione navale Eunavfor Med, accusata da Londra di incoraggiare l’immigrazione illegale invece di contrastarla.

Per queste ragioni i britannici hanno quasi sempre preferito agire in armi sotto la bandiera della NATO o quella nazionale non solo per meglio tutelare i propri interessi ma anche per evitare di venire confusi con la spesso flebile voce dell’Europa che ha risuonato raramente in modo incisivo e con un tono tale da incutere, se non timore, almeno rispetto.

Senza il Regno Unito la Ue perde una potenza militare, metà del “suo” deterrente nucleare (ora resta solo quello francese) e po’ di pragmatismo e lucidità.

Senza la Gran Bretagna, maggiore potenza militare europea anche in termini di spesa,  l’Europa è  meno credibile, di fatto un po’ più “verme militare” del solito ma soprattutto è saldamente nelle mani dell’asse franco-tedesco.

Francia e Germania spendono oltre 30 miliardi annui per la Difesa (il doppio dell’Italia) e controllano l’industria più imponente del continente (che collabora attivamente con quella britannica) mentre l’arsenale nucleare di Parigi, la cosiddetta “force de frappe”, resta l’unico garante della deterrenza europea contro attacchi con armi di distruzione di massa.

Senza i britannici l’Europa farà ancora meno paura e Londra potrebbe avere tutto l’interesse a evidenziarne la debolezza per imporsi quale potenza regionale pur continuando a mantenere le cooperazioni industriali militari con gli ex partners europei.

I detrattori del ruolo britannico ricordano, non a torto, tutti gli ostacoli posti dai “brits”, nel nome di uno spiccato atlantismo e a tutela del rapporto privilegiato con gli Stati Uniti, allo sviluppo delle cosiddette “forze armate europee”.

Nel dibattito sulla difesa europea, che si trascina stancamente da decenni, Londra si è infatti spesso limitata a bocciare ogni ipotesi di costituzione di forze militari congiunte con la motivazione che la NATO (che però è guidata dagli USA) era già una struttura militare più che sufficiente a garantire la difesa comune.

Una valutazione che, inaspettatamente, sembra essere condivisa anche dal presidente della Commissione europea, Jean-Claude Juncker, che ieri al termine del summit informale dei leader dell’Ue tenuto senza il premier britannico David Cameron, ha detto che l’uscita del Regno Unito dall’Ue non cambia nulla nelle politiche di difesa e sicurezza.

“Anche se il Regno Unito non è più uno Stato membro dell’Ue, resta sempre un membro della Nato, e continueremo la nostra cooperazione sulle questioni militari e di difesa”, ha detto in conferenza stampa, sottolineando come in ambito Nato Londra resti “un partner importante”.

Al di là della comprensibile volontà di Juncker di rasserenare il clima appare quasi un autogoal che la massima autorità di quell’Unione europea che da decenni è alla ricerca di un’identità militare indipendente dagli Stati Uniti e dalla NATO esprima una valutazione che risulta perfettamente in linea con le posizioni di Londra e Washington.

Specie ora che i dissidi nella Nato tra chi cerca il braccio di ferro con Mosca (soprattutto anglo-americani, polacchi e baltici) e chi considera la Russia un alleato e un partner fondamentale (in testa Germania, Francia e Italia) sono arrivati al culmine come hanno dimostrato chiaramente le recenti dichiarazioni del ministro degli esteri tedesco Frank Walter Steinmeier che ha ammonito la NATO a non utilizzare le grandi esercitazioni “Anakonda” in corso in Polonia (a due passi dall’enclave russa di Kaliningrad) come pretesto per provocare Mosca.

La nascita di una reale “Europa della Difesa”  è del resto resa difficile dall’impossibilità di amalgamare forze armate portatrici di interessi nazionali diversi e spesso contrapposti, come ha dimostrato la guerra libica del 2011, in una struttura politica che non costituisce un’unione federale.

Il Brexit consentirà ora di misurare, senza più l’alibi dell’ostracismo di Londra, la reale capacità dei partner Ue di integrare forze militari (sfida evidenziata ieri anche dal ministro della Difesa italiano, Roberta Pinotti)
anche per operazioni militari di alto profilo e di condividere meglio e più repentinamente informazioni d’intelligence per contrastare minacce comuni come quella terroristica.

Campi sui quali, per diverse ragioni, è lecito nutrire seri dubbi.

Innanzitutto in Europa la politica della Difesa resta ancora saldamente in mano alla Nato e cioè agli Stati Uniti, come dimostrano anche le serie difficoltà che incontrano molti Paesi europei quali Italia, Francia e Germania a far emergere in ambito Alleanza Atlantica posizioni diverse da quelle degli anglo-americani, soprattutto nella vicenda della crescente contrapposizione alla Russia.

Il recente duro intervento del ministro degli Esteri tedesco Steinmeier (nella foto a sinistra), potrebbe indicare una nuova (auspicabile) stagione in cui l’Europa cerca di assumere una fisionomia politico-militare maggiore a spese dei rapporti con gli USA, sempre più percepiti come potenza portatrice di interessi diversi quando non opposti a quelli europei.

Resta da capire se il riarmo tedesco, che è già ripreso con tanto di dichiarazioni d’orgoglio del ministro Ursula von der Leyen (nella foto sotto), non rischi di spaventare gli europei più dell’egemonia militare statunitense. Pochi mesi or sono, al vertice della sicurezza di Monaco, il ministro non ha nascosto che con l’incremento delle spese militari Berlino “è pronta ad assumere un ruolo di leadership in Europa anche in campo militare”.

In ogni caso senza i britannici l’asse franco-tedesco avrà meno difficoltà a imporsi e farla da padrone nel settore militare, incluso quello industriale.

L’uscita di Londra alla Ue non dovrebbe però ostacolare la cooperazione europea finora riuscita meglio, cioè quella tra le industrie della Difesa dove aziende multinazionali come la missilistica MBDA e alcuni consorzi (come Eurofighter) creati per sviluppare programmi congiunti hanno dimostrato anche sui mercati internazionali il valore tecnologico del Vecchio Continente.

Basti pensare che sono britanniche molte aziende delle divisioni di Leonardo – Finmeccanica il cui futuro in termini di mercato e contratti non dovrebbe subire particolari scossoni dal Brexit.

Di un’eventuale emarginazione di Londra dal settore militare europeo ne soffrirebbe soprattutto la “entente cordiale” con Parigi con la possibilità di indure i francesi a sostituire i britannici con partner tedeschi e italiani in numerosi programmi ma solo a patto che Roma e Berlino riescano a rendere disponibili finanziamenti simili a quelli messi in campo da Londra.

Col Brexit verranno liberati negli organismi militari Ue posti oggi assegnati a ufficiali del Regno Unito lasciando più spazio ad altri Paesi, inclusa potenzialmente anche l’Italia che senza Londra diventa la terza “potenza” europea in termini economici e militari.

Questo in teoria perché da sola la Gran Bretagna spende per la difesa più di Italia e Germania messe assieme e senza partner disposti a finanziare ricerca e sviluppo sarà arduo mettere a punto nuovi armamenti e mantenere la competitività.

Per questo conviene a tutti che Londra resti un partner militare importante della Ue, almeno sul piano industriale, mentre su quello politico e strategico le differenti vedute su molti temi comporteranno probabilmente rivalità che porteranno Londra a competere e forse a confrontarsi direttamente con la Ue.

Di certo i britannici, da sempre avvezzi a curare direttamente i loro interessi nazionali, saranno nostri acerrimi competitor in diverse aree incluso Medio Oriente e Libia. Ma questo, come ha insegnato la guerra in Libia del 2011, accadeva anche quando facevano parte della Ue.

In conclusione, senza la credibilità militare britannica, l’Europa ha l’occasione per dimostrare serietà e determinazione di fronte alle pesanti sfide alla sicurezza comune.

Difficile essere ottimisti in base ai pessimi segnali che si percepiscono ma se fallirà altri potrebbero seguire l’esempio di Londra, soprattutto perché già oggi i popoli europei hanno una percezione negativa, inefficace e oppressiva della Ue.

Se l’Unione continuasse a rivelarsi inutile anche nel garantire la sicurezza il suo destino sarebbe segnato.

@GianandreaGaian

Foto: NATO, Difesa.it, Sputnik, Getty Images, Reuters e Patrick Seeger KN.

@GianandreaGaian

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Giornalista bolognese, laureato in Storia Contemporanea, dal 1988 si occupa di analisi storico-strategiche, studio dei conflitti e reportage dai teatri di guerra. Dal 1991 al 2014 ha seguito sul campo i conflitti nei Balcani, Somalia, Iraq, Afghanistan, Sahara Occidentale, Mozambico e Sahel. Dal febbraio 2000 dirige Analisi Difesa. Ha collaborato o collabora con quotidiani e settimanali, università e istituti di formazione militari ed è opinionista per reti TV e radiofoniche. Ha scritto diversi libri tra cui "Iraq Afghanistan, guerre di pace italiane", “Immigrazione, la grande farsa umanitaria” e "L'ultima guerra contro l’Europa". Presso il Ministero dell’Interno ha ricoperto dal 2018 l’incarico di Consigliere per le politiche di sicurezza di due ministri e un sottosegretario.

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