Difesa: il Documento di Programmazione Pluriennale 2017-2019

Il Documento Programmatico Pluriennale (DPP) è stato spesso reso noto in ritardo rispetto alla data del 30 aprile fissata dalla Legge 244 del 2012 e anche quest’anno non ha costituito eccezione considerato che il DPP edizione 2017-2019 ha visto la luce solo nei primi giorni di agosto.

La questione potrebbe anche essere considerata poco rilevante, tanto più che il Documento da poco presentato si presenta con una grafica rinnovata e, soprattutto, con più informazioni rispetto al passato. Senonché, a questo encomiabile sforzo nella direzione di una maggiore trasparenza, si contrappone il fatto che questo stesso slittamento dei tempi non è stato impiegato per aggiornare allo “stato dell’arte” la reale situazione del bilancio della Difesa.

Dall’approvazione della Legge di Bilancio 2017 sono infatti intervenuti diversi fattori di novità; il varo della cosiddetta “manovrina correttiva” dei conti pubblici contenuta nel Decreto Legge (DL) 24 aprile 2017, n.50, l’approvazione del Decreto Legislativo (Dlgs) 29 maggio 2017, n. 94 riguardante «Disposizioni in materia di riordino dei ruoli e delle carriere del personale delle Forze armate» e, infine, l’approvazione da parte del Parlamento dell’Atto del Governo n. 421, con la ripartizione del Fondo per gli investimenti pubblici, istituito con la Legge di Bilancio 2017 e dotato anche di fondi destinati al comparto Difesa.

Provvedimenti che, nel complesso, vanno a incidere sulle risorse stanziate non solo per il corrente anno ma anche per quelli a venire.

Tutto questo mentre all’orizzonte già si stagliano nuovi interventi quali, ad esempio, il DPCM (Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri) 28 giugno 2017 incentrato sulla definizione degli obiettivi di spesa dei Ministeri fino al 2020; in pratica, altri tagli. E anche se l’impatto sulla Difesa sarà complessivamente modesto (come per il DL 50/2017), resta il fatto che l’erosione di fondi non si ferma mai.

 

Il Documento Programmatico Pluriennale per la Difesa 2017-2019

Come detto il DPP di quest’anno si presenta in una veste grafica completamente rinnovata, sicuramente più “accattivante” ma anche (ed è questo il dato più importante) con un maggior numero di informazioni utili a delineare un quadro più puntuale del comparto. Anche se, come si vedrà, non mancano i passaggi incerti e qualche elemento di confusione.

Centauro

Ciò premesso, da un punto di vista dei contenuti, il lavoro in oggetto si presenta suddiviso in 3 parti: «L’impegno nazionale nel contesto di riferimento», «Lo sviluppo dello strumento militare», «Il bilancio della Difesa». A questo si aggiunge una sezione comprendente una serie di allegati; ora, saranno le novità e/o qualche considerazione soggettiva di troppo, ma il dato di fondo è che il tutto non abbia sempre uno sviluppo così lineare.

Considerazioni “estetiche” a parte, ciò che conta è la sostanza e non c’è dubbio alcuno che l’analisi del quadro strategico sia corretta.

Ricordato (quasi ironicamente) quanto siano lontani i tempi “dell’ubriacatura” seguita all’idea di una nuova fase in cui il mondo avrebbe vissuto in pace, in sicurezza e nella prosperità, il DPP provvede a fotografare la situazione reale dei giorni nostri. Un contesto globale che, in breve, viene definito attraverso l’uso di 3 aggettivi: complesso, conflittuale, e connesso.

Si tratta di considerazioni solo all’apparenza scontate o banali: al contrario, esse dipingono efficacemente i tempi in cui viviamo oggi e nei quali vivremo per molti anni a venire. Di più, nell’ambito delle 2 grandi aree di maggior interesse individuate per il nostro Paese, Euro-Atlantica ed Euro-Mediterranea, è più che mai evidente che proprio nella seconda si sommino e si amplifichino quelle 3 caratteristiche appena evidenziate.

Un Mediterraneo che ha assunto un’importanza strategica per l’Italia, considerato che non più possibile circoscrivere tale area di interesse strategico a questo mare e ai soli Paesi che vi si affacciano.

Proprio perché le minacce alla sicurezza sono sempre più globali, è evidente che tracciare dei confini immaginari all’interno dei quali circoscrivere l’eventuale azione delle Forze Armate italiane sarebbe sbagliato. Certo, il basso livello di ambizione del nostro Paese e le poche risorse assegnate allo strumento militare, alla fine costituiscono un vincolo e un limite enormi; di conseguenza, invece di perseguire obiettivi velleitari, l’unica risposta logica diventa concentrare tutto quello che si ha (non molto, a dire il vero…) proprio nel Mare Nostrum.

Alle sfide determinate da questo scenario di riferimento, l’Italia risponde con il classico schema rappresentato dalla “triade” di organizzazioni attraverso le quali il nostro stesso Paese si muove sulla scena internazionale: UE, NATO e ONU.

Per la prima, si evidenzia il percorso avviato da qualche tempo e teso a rafforzare la dimensione europea della Difesa. Su questo aspetto occorre essere chiari; dire oggi dove ci porterà questo percorso e quanto tempo si impiegherà comunque per un eventuale vero/pieno raggiungimento di una Politica di Sicurezza e Difesa Comune è impossibile. Al tempo stesso però è chiaro che qualcosa si è già messo in moto, e quel qualcosa non ci vede protagonisti.

Nulla di sorprendente purtroppo. Quando si parla di questioni riguardanti la sicurezza e la difesa, è evidente che non possono bastare solenni promesse, nobili dichiarazioni d’intenti e, nel caso specifico, il ricorso a una vuota retorica europeista priva di contenuti.

Occorrono fatti e passi concreti, anche sul fronte delle risorse destinate al comparto Difesa. Tuttavia, i segnali di una svolta da parte di Roma non si vedono. Laddove invece altri Paesi si stanno già muovendo (Francia e Germania in particolare) con il rischio che fin da questa prima fase si stabiliscano delle gerarchie a noi estranee poi difficili da “smontare”.

Todaro

Rispetto all’Alleanza Atlantica, e al netto di limiti e contraddizioni di un’Organizzazione che dovrà necessariamente cambiare ancora “pelle” per essere più capace di rispondere alle sfide dei giorni nostri, si deve evidenziare come essa rappresenti ancora l’architrave della nostra sicurezza. Certo, in ballo ci sono passaggi non sempre rispondenti ai nostri interessi ma, d’altra parte, anche sul versante delle scelte italiane (incluso il rispetto degli impegni presi in tema di spese per la Difesa) non sempre i nostri comportamenti sono all’insegna della credibilità e dell’affidabilità.

Per quanto riguarda infine l’ONU, è del tutto naturale che nel più importante consesso internazionale l’Italia cerchi di recitare la propria parte con la partecipazione a svariate missioni internazionali in tutti gli ambiti sopra menzionati ma anche sulla base di impegni bilaterali e di coalizione. Sono oltre 30 le missioni militari in corso, ivi compresa quella recente di supporto alla Guardia Costiera libica, il tutto per un numero massimo di 7.459 unità e uno medio di 6.698.

Circa gli aspetti finanziari connessi, vanno messe il luce almeno due considerazioni. La prima è che, nonostante il calo degli ultimi anni degli effettivi impiegati, l’Italia continua a essere presente in un numero ancora troppo elevato di missioni, perennemente alla (spesso confusa) ricerca di una visibilità sul piano internazionale. In altri termini, un impegno importante sul versante della quantità ma assai meno su quello della qualità, che non sempre restituisce risultati apprezzabili rispetto al tema della miglior tutela degli interessi nazionali.

La seconda si concentra sulla necessità di acquisire un’autonoma capacità di movimento sulla scena internazionale, anche liberandosi laddove necessario/utile di eventuali obblighi con altri soggetti. Certo, per dare seguiti a simili propositi sarebbero necessari ben altri livelli di ambizione e spregiudicatezza nonchè di attenzione verso lo stesso comparto Difesa.

Nel frattempo, tra emergenze vere o presunte, prosegue anche lo sforzo sul territorio nazionale: da «Mare Sicuro» a «Strade Sicure», per finire con l’operazione «Sabina», l’impegno a sostegno delle popolazioni del centro-Italia colpite da diversi eventi calamitosi. In tutto, nei momenti di maggiore sforzo, si sono raggiunti picchi di oltre 14.000 effettivi in campo: numeri davvero importanti.

 

Il bilancio della Difesa

Sebbene il DPP di quest’anno adotti una singolare configurazione all’interno dalla quale la sezione dedicata a «Lo sviluppo dello strumento militare» (cioè il capitolo dedicato agli investimenti con i fondi del solo MinDife) compare prima della fotografia più generale dedicata a «Il bilancio della Difesa», per ragioni pratiche appare preferibile utilizzare un approccio più “tradizionale”, partire cioè proprio dal bilancio della Difesa, per scendere poi nel dettaglio dei singoli capitoli di spesa.

Come già indicato, il DPP stesso non fa altro che fornire dati sostanzialmente già noti: gli elementi di novità sono rappresentati dalle informazioni supplementari su quelli sono che gli stanziamenti aggiuntivi legati alle missioni all’estero, alle cosiddette riassegnazioni e alle risorse messe a disposizione dal Ministero dello Sviluppo Economico (MiSE).

Funzione Difesa

Il quadro si fa dunque parzialmente più completo rispetto a quello anticipato a febbraio (al quale si rimanda per eventuali integrazioni) ma, al tempo stesso, non definitivo per l’assenza degli importanti elementi già accennati.

Ricapitolando, la Funzione Difesa propriamente detta passa dai 13.360,4 milioni di euro del 2016 ai 13.211,8 per il corrente anno; il tutto per un (nuovo) taglio di 148,6 milioni di euro.

Appare ormai chiaro che proprio la soglia dei 13 miliardi di euro circa sia diventata il nuovo riferimento per la Funzione Difesa medesima; a partire dagli interventi correttivi introdotti dal 2014 (a seguito del varo del DL 66/2014), questo è infatti il livello di risorse sul quale ci si è assestati e che ben difficilmente cambierà nei prossimi anni. Siamo cioè di fronte a un qualcosa di molto simile a un taglio strutturale di poco meno di 1 miliardo di euro rispetto a quanto mediamente destinato al comparto per diversi anni precedenti al 2014 stesso.

Per non parlare di un difficile confronto con il 2008 rispetto al quale si registra un crollo di  2,2 miliardi di euro e di altre considerazioni allarmanti.

La prima, solo all’apparenza meno rilevante per effetto del basso tasso d’inflazione (se non deflazione) degli ultimi anni, fa riferimento all’erosione del reale “potere di acquisto” dei fondi stanziati. Un’erosione che però, rispetto al 2008, diventa ben più significativa: in termini costanti la cifra del 2017 equivale infatti a 11.533,9 milioni di euro e, quindi, nell’arco di 10 anni se ne sono “andati” quasi 3,9 miliardi di euro!

Una seconda considerazione riguarda l’analisi della ripartizione dei fondi stanziati rispetto ai tradizionali capitoli di spesa ed è qui che i classici “dolori” aumentano. Se esattamente 10 anni fa le spese per il Personale pesavano per circa il 59% sul totale della Funzione Difesa (con l’Esercizio e l’Investimento in grado di assorbire il restante 41%), oggi la situazione è notevolmente peggiorata, laddove il primo di questi capitoli di spesa assorbe poco più del 74% del totale, relegando i restanti 2 a meno del 26%.

Dunque, non solo il comparto Difesa è stato oggetto di tagli sempre più pesanti (accentuatisi negli ultimi anni) ma, di più, essi sono stati condotti in maniera “scriteriata”. Mentre infatti le spese per il Personale sono costantemente aumentate (pur in presenza di un processo di riduzione degli organici), quelle per l’Investimento e per l’Esercizio sono state continuamente ridotte.

FUNZIONE DIFESA PIL

Si tratta di un’osservazione ripetuta all’infinito, eppure vale la pena di evidenziarla ancora una volta: non solo si spende sempre di meno ma si spende sempre peggio. Il dato di fatto finale diventa quindi inequivocabile e incontrovertibile: la quantità e la qualità della spesa per la Funzione Difesa del nostro Paese resta inesorabilmente ancorata su livelli record negativi.

Per chi avesse poi ancora dei dubbi, a ulteriore e definitiva conferma giunge l’analisi dell’evoluzione del rapporto tra la Funzione Difesa e il PIL.

Come lo stesso DPP a più riprese riconosce, la verità è che l’emorragia non si è mai arrestata e non potranno essere eventuali, sporadiche e modeste variazioni monetarie positive a modificare una tendenza assolutamente inarrestabile.

 

Il Personale

Proprio sul fronte delle risorse destinate al Personale, si deve registrare uno dei punti interrogativi più importanti. Dopo l’approvazione della Legge di Bilancio 2017 è stato infatti presentato dal Governo, e poi approvato dal Parlamento, il già ricordato «Riordino dei ruoli e delle carriere del personale delle Forze armate». Un provvedimento (sul cui merito è lecito nutrire qualche dubbio) che richiederà uno sforzo economico ingente; solo per il 2017, gli oneri previsti sono pari a 198,3 milioni di euro, comunque destinati a salire a 365,4 già il prossimo anno. La traiettoria ascendente proseguirà poi fino al 2023 e i suoi 398,6 milioni; infine, dal 2026 è prevista una stabilizzazione sulla cifra di 388,8 milioni.

Dovrà dunque essere rivalutato l’esatto impatto economico sul bilancio della Difesa nel suo complesso nonchè della ripartizione delle risorse anche alla luce del fatto che (a parziale copertura degli oneri finanziari previsti) si farà ricorso a 72,5 milioni di euro dei risparmi conseguenti dalla revisione degli organici e della struttura delle Forze Armate. Risparmi che, invece, nello spirito della stessa Legge 244/2012 dovevano essere destinati ad alimentare gli altri capitoli di spesa oggi in sofferenza.

Nel frattempo, prosegue il processo di riduzione/riequilibrio degli organici. Per il 2017, la consistenza in termini di anni/persona (AAP) sarà pari a 172.657 unità (- 1.501 rispetto al 2016).

Nel dettaglio:

  • 22.093 Ufficiali (-319);
  • 602 Marescialli (-2.886);
  • 607 Sergenti (+544);
  • 287 Volontari di truppa (risultanti da una diminuzione di 332 unità per quelli in Servizio Permanente e un aumento di 1.431 per quelli in Ferma Prefissata);
  • 355 Allievi Accademie e Scuole Marescialli (+ 62), e infine;
  • 713 Allievi Scuole Militari (-11).

Il trend è peraltro destinato a continuare negli anni a venire, tanto che nel 2019 la consistenza organica sarà pari a 170.056 militari e allievi.

Se quindi in termini numerici la Legge 244/2012 sembra riuscire a dispiegare i suoi effetti, è nella sua parte di ridistribuzione fra le varie categorie di Personale che rimangono molti problemi. Con gli obiettivi previsti da quel provvedimento che rimangono ancora lontani, rallentando vistosamente il progetto di revisione dello strumento militare e compromettendone il buon esito. Tanto da mettere in dubbio sia il raggiungimento delle 150.000 unità, sia una corretta distribuzione tra le varie categorie di Personale.

 

  Consistenza AAP anno 2017 Modello a 150.000 unità anno 2024
Ufficiali 22.093 18.300
Marescialli 46.602 18.500
Sergenti 18.067 22.170
Volontari 83.287 91.030
Allievi 2.068 /
Totale 172.657 150.000

 

La criticità più evidente è rappresentata dall’eccesso di Marescialli, laddove anche sugli Ufficiali molta strada deve essere comunque percorsa. Per i primi, il conto è presto fatto; nel giro di 6 anni, dovrebbero ridursi di poco più di 28.100 unità, a un ritmo medio annuo di uscita pari a circa 4.700. Molto difficile.

Non meno complicata la situazione per gli Ufficiali, con un totale di uscite previsto di poco inferiore a 3.800 unità che, al ritmo attuale di riduzione, è anch’esso poco realistico.

Altro dato da evidenziare è che all’interno della categoria dei Volontari di Truppa si registra ancora un’elevata percentuale di quelli in Servizio Permanente; per la precisione, circa il 65%. Un dato che, oltretutto, non è destinato a cambiare di molto una volta completata la transizione verso il modello a 150.000 unità e che rappresenta l’ennesima anomalia delle nostre Forze Armate.

Tanto che il tema, come noto, è oggetto di riflessione nell’ambito del Libro Bianco per la sicurezza internazionale e la Difesa e del Disegno di Legge 2728Riorganizzazione vertici Ministero difesa e deleghe al Governo per la riforma dello strumento militare») da esso discendente Anche in questo caso però, arrivare a una differente e migliore ripartizione tra tutto il Personale in Servizio Permanente e quello in Ferma Prefissata non sarà certo facile. Il rischio è che, alla fine, non si riesca così a invertire la tendenza che sta portando anche a un graduale (e pericoloso) innalzamento dell’età media del Personale stesso.

Libano UNIFIL

E per quanto utili possano essere ai fini di una maggiore efficienza/trasparenza delle spese alcune proposte contenute sempre nel Libro Bianco, se non si cambiano prima le basi su cui si compiono certe scelte, niente potrà cambiare davvero. Compreso il “rimescolare le carte” con l’abbandono della classica tripartizione delle spese (Personale, Esercizio e Investimento) a favore di una nuova bipartizione: spese per il Personale e per le missioni da una parte, quelle contrassegnate dall’acronimo O.R.A. (Operatività, Rinnovamento, Ammodernamento) dall’altra.

Quale breve nota finale, si rileva come sul dato relativo al Personale (oltre all’assenza della separazione dei costi tra quello Militare e quello Civile) non vengano fornite cifre relative al 2018 e al 2019; probabilmente, proprio in attesa del dispiegamento degli effetti prodotti dal Dlgs 94/2017.

Di conseguenza, anche per la Funzione Difesa nel suo complesso mancano simili indicazioni. Per un documento che, al contrario, dovrebbe avere una delle sue ragioni d’essere proprio nella capacità di fornire dati in prospettiva…

 

L’Esercizio

Questa è una delle parti del DPP che più soffre l’assenza delle tabelle riepilogative presenti in passato. L’Esercizio, infatti, è un capitolo di spesa composto da diverse voci, facenti riferimento a loro volta a funzioni diverse. La mancanza di dettaglio non consente dunque di apprezzarne le reali consistenze e l’eventuale evoluzione nel corso del tempo. Tanto che, alla fine, può essere utile fare ricorso a un documento precedente.

Tra l’altro, proprio l’Esercizio sembra registrare una nota positiva per effetto di aumento delle risorse sul 2016. Si tratta di 208,2 milioni di euro in più: dai 1.063 milioni dell’anno passato ai 1.271,2 del 2017. Non inganni però la differenza con le cifre del 2016; queste ultime comprendevano infatti la voce relativa agli straordinari che, invece, da quest’anno sono ricompresi nel capitolo del Personale.

Ma a spegnere subito gli entusiasmi provvede lo stesso documento elaborato dal Ministero, laddove si spiega che tale somma aggiuntiva è destinata esclusivamente alla copertura di spese obbligatorie (utenze e cartelle esattoriali) e al solo scopo di arginare il problema dei debiti pregressi legati proprio a tale tipo di spese; un debito peraltro pesante, visto che ha ormai raggiunto i 500 milioni di euro!

Questo significa che la situazione rimane grave e senza alcun segnale di miglioramento per i prossimi 2 anni in virtù di stanziamenti previsti pressoché uguali. E considerato come il DPP stesso ci ricordi come nell’arco di 10 anni, le risorse per questo capitolo di spesa si siano ridotte di oltre il 50%, è inevitabile che si esprima in certi termini: «Tra questi due ambiti di azione (Investimento ed Esercizio, N.d.R.), andrebbe data la precedenza al “settore esercizio” stante la sua strategica funzione abilitante dell’operatività dello Strumento militare, con provvedimenti che andrebbero adottati già a partire dalla prossima legge di bilancio 2018-2020.».

Per completare però il quadro delle risorse effettivamente disponibili occorre considerare altri 2 elementi: l’apporto del finanziamento per le missioni all’estero (come noto, aggiuntivo a quello della Difesa in quanto messo a disposizione dal Ministero dell’Economia e delle Finanze, MEF) e le cosiddette “riassegnazioni” (corrispettivo di attività svolte dalle FF.AA. in favore di Organizzazioni Internazionali o Paesi amici). Si tratta di un flusso di risorse tutto sommato di rilevo, pari in media a circa 1 miliardo di euro; senza il quale le FFAA di certo non sarebbero letteralmente in grado di sopravvivere.

Nel dettaglio, il cosiddetto “Fondo per missioni internazionali”, introdotto dalla nuova Legge quadro sulle missioni internazionali 145/2016 ma non molto diverso dal passato, è destinato come noto a coprire tutti i costi legati agli impegni del nostro Paese all’estero. Dunque, non solo le spese vive (per esempio le indennità per il Personale o le spese legate al mantenimento in teatro dei contingenti) ma una parte viene infatti destinata a soddisfare aspetti essenziali come l’approntamento, l’impiego e il ricondizionamento dei mezzi nonchè l’addestramento del personale. Fermo restando che a beneficiare di questi stanziamenti aggiuntivi sono solo i reparti e le unità destinate a operare nei vari teatri operativi internazionali e nazionali.

Più modesto l’impatto delle “riassegnazioni” laddove anche queste sono reindirizzate in prevalenza verso quei settori attinenti al funzionamento e all’operatività dello strumento nonché per la copertura delle spese obbligatorie.

Anche così, tuttavia, il deficit di risorse rilevante perché se voci come «Formazione e Addestramento» e «Manutenzione e Supporto» riescono (sia pure per un numero di reparti/unità comunque insufficiente) a essere assicurate in qualche modo, altre continuano rimanere in profonda crisi. Si parla del «Funzionamento Comandi, Enti e Unità», delle «Esigenze Interforze» e delle «Infrastrutture»; in tutti questi campi la situazione è davvero pesante.

F-35 con tanker

Oltretutto, non mancano nemmeno elementi di incertezza sul più volte citato “Fondo per le missioni internazionali” per il quale, come segnalato a suo tempo, manca la coincidenza tra le risorse iscritte a bilancio e le esigenze reali. Nel dettaglio, si parla di una dotazione di 997,2 milioni di euro contro un’esigenza di 1.132,7 milioni per il loro complesso; di questi, 1.106 milioni sono poi riconducibili al solo Ministero della Difesa. Di fatto, esiste già oggi un gap di 140 milioni e il rischio è che, così come sottolineato dallo stesso DPP e come accaduto più volte, si faccia ricorso a risorse tratte dal bilancio della Difesa, altrimenti destinabili al funzionamento/operatività.

Il DPP di quest’anno dedica poi una sezione a parte al tema della programmazione infrastrutturale, fornendo una serie di dati di fondamentale importanza per comprenderne le problematiche. Nello specifico, la Difesa dispone di un patrimonio immobiliare costituito da circa 15.000 infrastrutture; il primo punto importante è che più del 50% sono state realizzate prima del 1915 e solo il 10% dopo il 1945.

Nonostante le numerose operazioni effettuate e/o previste, quali dismissioni, permute, vendite o altre ancora di razionalizzazione (come il concentramento in un’unica sede del Segretariato Generale della Difesa e della Direzione Nazionale degli Armamenti o il futuro/futuribile “Pentagono italiano”), i problemi rimangono. Sia sul fronte dei fondi necessari sull’Esercizio (per le esigenze di manutenzione), sia quelli per l’Investimento (destinati al rinnovo), il deficit è ancora una volta grave. Di fatto, le risorse disponibili sono (in entrambi casi) pari a circa 1/3 di quelle che sarebbero necessarie. L’ennesimo problema, dunque e anche di dimensioni rilevanti.

 

L’Investimento

Anche per questo capitolo di spesa si deve ricordare che le cifre fornite dal DPP potrebbero non essere così attuali; i già ricordati interventi sul “riordino delle carriere” e la “manovrina correttiva” dovrebbero aver prodotto una limatura ai fondi effettivamente disponibili.

In assenza però di indicazioni certe, non rimane altro da fare che basarsi sui numeri contenuti nel Documento. Dunque, ai 2.141,1 milioni di euro stanziati sul bilancio del Ministero della Difesa (in frazionale calo di 35,1 milioni rispetto al 2016) si devono aggiungere i 2.546 stanziati dal MiSE (come anticipato a febbraio, appena pochi milioni in più rispetto allo scorso anno). Il totale dei fondi quindi disponibili per i programmi di Ammodernamento e Rinnovamento (anche sulle infrastrutture) nonchè per i programmi di ricerca scientifica e tecnologica è così pari 4.687,1 milioni di euro; il tutto per un saldo negativo finale di quasi 30 milioni sul 2016.

È peraltro da notare come lo stesso DPP contribuisca ad alimentare una certa confusione visto che, in un altro passaggio indica in 2.704 milioni di euro il totale degli stanziamenti del Ministero dello Sviluppo Economico…!

Typhoon AMI

Sempre sul fronte delle cifre, rilevato come per i fondi MiSE oltre il 2017 allo stato attuale non siano quantificabili in quanto oggetto di possibili rimodulazioni in fase di definizione della Legge di Bilancio, il DPP prefigura invece l’ammontare degli stanziamenti di competenza del Ministero della Difesa; per il 2018 si scenderà ancora fino a 2.122,8 milioni di euro, mentre per l’anno successivo è prevista una leggera risalita fino a 2.164,1 milioni.

Numeri peraltro da prendere con la dovuta cautela: vale la pena infatti di ricordare ancora una volta come gli “elementi di disturbo” presenti e (probabilmente) futuri non manchino di certo.

Il “biennio d’oro” 2013/’14 che prevedeva uno stanziamento previsionale pari a circa 5,5 miliardi di euro complessivi, è ormai un pallido ricordo. Anche in questo caso vale la regola già enunciata a proposito della Funzione Difesa; dall’intervento correttivo dell’aprile 2014 è stato prodotto un taglio pressoché strutturale che nel caso specifico vale circa 700 milioni di euro. Un dato grave e preoccupante visto che proprio la soglia dei 5,5 miliardi dovrebbe essere considerata una specie di “linea del Piave” al di sotto della quale non scendere per garantire il minimo indispensabile in termini di ammodernamento e rinnovamento dello strumento militare.

Non inganni dunque il dato percentuale ottenuto dalla somma degli stanziamenti dei 2 Dicasteri: in base alla classica ripartizione fra Personale (50%) ed Esercizio più Investimento (25 + 25%), si potrebbe perfino essere indotti a pensare che si spenda già troppo. Non è così.

Perché a spiegare questo dato per certi versi “anomalo” provvedono le considerazioni circa gli squilibri determinati dall’esiguità delle risorse disponibili per il comparto Difesa nel suo complesso e la loro sbilanciata ripartizione al suo interno; come detto, in termini assoluti le risorse sono in realtà insufficienti.

Per quanto riguarda le direttrici principali per lo sviluppo del nostro Strumento Militare, il DPP individua 5 cosiddette Capacità Operative Fondamentali (COF):

  • Preparazione delle Forze,
  • Proiezione delle Forze.
  • Protezione delle Forze e Capacità di Ingaggio,
  • Sostegno delle Forze,
  • Comando e Controllo,
  • Superiorità conoscitiva/decisionale.

Per far fronte alle esigenze connesse con il conseguimento/mantenimento di tali COF, il Ministero della Difesa attraverso l’azione sinergica attuata di concerto con il MiSE, non solo riesce a dare seguito a diversi programmi già in corso ma, (evento più unico che raro) prevede anche di avviarne di nuovi.  Nel dettaglio, si tratta di una ventina di programmi diversi per un importo complessivo di 60,3 milioni di euro nel 2017; oggetto poi di una più dettagliata descrizione alle pagine 44÷53 del DPP.

Tra quelli di maggiore rilevanza, dal punto di vista economico e/o operativo, si segnalano il piano di ammodernamento e potenziamento delle Forze Speciali (per tutte e 3 le FFAA), l’avvio dell’acquisizione del nuovo siluro pesante per gli U-212, la manutenzione evolutiva per i sistemi satellitari (sia nel campo delle comunicazioni, sia per la sorveglianza), una serie di interventi destinati a potenziare le capacità aeree non convenzionali, l’aggiornamento della piattaforma Predator, interventi sulla linea degli elicotteri NH-90, la prosecuzione dello sviluppo dell’EC-27J JEDI (Jamming Electronic Defense Instrumentation), la prosecuzione del contratto di leasing per il velivolo SPYDR in funzione JAMMS (Joint Airborne Multisensor Multimission System) con la previsione di acquisire direttamente 2 velivoli in futuro, così come la realizzazione di un prototipo di un esemplare di MBT Ariete ammodernato in vista di un (possibile) programma di aggiornamento per la linea di carri armati.

Marina

E’ tuttavia doveroso ricordare come questioni di opportunità e di reale disponibilità di finanziamenti potrebbero condizionare l’effettivo avvio di alcuni programmi come l’aggiornamento degli Ariete o l’acquisizione dei 2 velivoli SIGINT, in luogo dei contratti di leasing fin qui portati avanti.

Nel rispetto poi del criterio seguito dallo stesso DPP circa la questione delle Capacità Operative Fondamentali, pubblichiamo di seguito un elenco dei programmi già operanti di maggior rilievo, con alcune informazioni aggiuntive dal punto di visto economico.

Avendo cura di precisare che una loro più puntuale descrizione (anche sotto il profilo finanziario) è rintracciabile alle pagine 59÷76 del DPP medesimo.

Nel campo della «Preparazione delle Forze», che riceve in tutto 322,1 milioni di euro, si segnala una serie di interventi dal punto di vista delle infrastrutture, sia nazionali (ad esempio il Poligono Sperimentale e di Addestramento Interforze, PISQ, o il più ampio piano Brin per le più importanti infrastrutture della Marina), sia in ambito NATO. A questi, si aggiungono stanziamenti a favore di sistemi di simulazione “live” per l’Esercito Italiano e per gli addestratori T-345 e T-346 (con finanziamenti, per entrambi, provenienti dal MiSE).

Il settore della «Proiezione delle Forze» vede la destinazione di 422,4 milioni di euro, con finanziamenti per l’NH-90 (in ambito MiSE) a livello interforze. Per la Marina militare sono finanziate nave Cavour e la nuova LHD prevista dal «Programma Navale» (anch’essa con fondi MiSE). Infine, per l’Aeronautica Militare si segnalano interventi sulle linee C-130J e C-27J.

Il capitolo dedicato alla «Protezione delle Forze e Capacità d’Ingaggio» è inevitabilmente il più “corposo” con i suoi 2.802 milioni di euro. Qui troviamo fondi in campo interforze per l’F-35 (il programma più ricco in assoluto per la Difesa: 724 milioni di euro) e per la famiglia di sistemi missilistici antiaerei FSAF. Rispetto al primo, recentemente tornato al centro dell’attenzione per la relazione della Corte dei Conti dedicata, è da rilevare come la “telenovela” sul cosa fare non sia ancora giunta alla fine, in particolare rispetto a quella che ormai dovrebbe essere l’unica decisione possibile: conferma del requisito per 90 velivoli.

Scelta però incompatibile per un Paese come il nostro che sconta non pochi limiti in materia di cultura/capacità decisionale. Scendendo ora nel dettaglio delle singole FFAA, per l’Esercito si segnalano in particolare fondi per i programmi VTLM 2, VBM Freccia, F-ESS (Futuro Elicottero da Esplorazione e Scorta), Centauro II nonché FSAF-B1NT (tutti finanziati dal MiSE); il MinDife invece finanzia alcuni programmi minori come i sistemi di difesa attiva per le FOB.

Per la Marina Militare, proseguono i programmi legati ai cacciatorpediniere da difesa  aerea classe Orizzonte, ai sottomarini U212 (1ͣ e 2ͣ Serie), all’ammodernamento di mezza vita dei cacciamine classe Gaeta e per munizionamento vario (Vulcano, siluri antisom MU-90, missili antinave Teseo).

Questi i programmi di finanziamento diretto del MinDife, mentre sul MiSE sono allocate le risorse per le fregate FREMM e per altre unità previste dal «Programma Navale», i pattugliatori PPA e le unità veloci UNPAV. Per finire, l’Aeronautica vede stanziate risorse per munizionamento vario (missili aria-aria Meteor, anti-radiazioni AARGM e bombe guidate SDB) e per tutti i suoi programmi più importanti: caccia EF-2000 ed elicottero HH-101 CSAR (integralmente a carico del MiSE), oltre all’ammodernamento dei Tornado.

Di grande importanza anche il capitolo dedicato al «Sostegno delle Forze», che riceve 616,5 milioni di euro. In questo caso si segnalano, a livello interforze, il sostegno alle Forze (comprensivo di vari interventi i vari campi) e quel programma SO.FU.TRA. (Sostegno Funzionale alla Transizione) che consente di dare corso a interventi di mantenimento delle scorte e delle dotazioni nonché ad ammodernamenti minori. Si tratta di un intervento che, peraltro, viene applicato anche presso ciascuna Forza Armata.

A questi si aggiungono, con riferimento alle esigenze dell’Esercito, quelli relativi all’elicottero CH-47F, all’obice semovente PZH-2000 e al supporto logistico dell’FSAF. In ambito Marina, continua il finanziamento per i velivoli EH-101 e AV-8B e quello per la nuova nave logistica LSS (sempre con finanziamento MiSE, nell’ambito di un «Programma Navale» che quindi assorbe in tutto poco più di 690 milioni di euro). Per l’Aeronautica, infine, si segnalano i fondi per l’elicottero HH-139.

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Nel fondamentale settore del «Comando e Controllo», destinatario di fondi per 148,7 milioni di euro, la parte del leone la fa il programma «Forza NEC» (sempre finanziato dal MiSE), al quale si sommano stanziamenti per sistemi di comunicazioni, cifratura e identificazione. A tal proposito, si sottolinea come il DPP di quest’anno riservi una particolare attenzione sulle sfide poste dal dominio cibernetico.

Infine nel settore della «Superiorità Conoscitiva/Decisionale», che riceve fondi per un totale di 99 milioni di euro, si distinguono gli interventi a favore di diversi sistemi satellitari (Helios 2, COSMO-SkyMed Second Generation, OPTSAT-3000), il velivolo da pattugliamento marittimo P-72A, la partecipazione al programma NATO noto come AGS (Allied Ground Surveillance) e quella al programma multinazionale per un UAV della classe (MALE, Medium Altitude Long Endurance) condotto con Francia, Germania e Spagna.

A queste di aggiungono una serie di spese non riconducibili alle COF (tra le quali, la ricerca scientifica e tecnologica che assorbe 48 milioni di euro per il 2017, con cifre simili anche per i 2 anni a venire), per un totale di 116,1 milioni di euro.

Nonostante dunque una situazione non irreparabile (comunque migliore, tanto per fare un esempio, rispetto a quanto accade all’Esercizio…), i problemi non mancano; come detto, infatti, a preoccupare non è solo l’insufficienza di risorse ma anche la loro estrema variabilità nel corso del tempo.

Indicativo, soprattutto rispetto al primo punto, l’elenco dei programmi ancora privi di finanziamento; un elenco particolarmente lungo (pagine 54÷58 del DPP) e ricco di voci importanti.

Per quanto riguarda il secondo aspetto, esso si presenta con particolare gravità per i fondi erogati dal MiSE. Qui si registra infatti un disallineamento rispetto al fabbisogno programmatico, tale da mettere a rischio programmi essenziali per le Forze Armate e per l’industria nazionale,  dall’EF-2000 alle FREMM, dal VBM Freccia all’NH-90. E questo solo per citarne alcuni perché, in prospettiva, anche quelli di più recente avvio come le Centauro 2 e il FESS potrebbero incorrere negli stessi problemi.

Una prima risposta a questi (e ad altri) problemi sembrava potesse essere rappresentata dall’’istituzione del fondo per gli investimenti pubblici di cui all’Atto del Governo n. 421; di recente approvato dal Parlamento. Sembrava…

Questo perché la quantità di risorse stanziate nell’arco di un quindicennio (2017 – 2032) è sicuramente di rilievo; tra fondi erogati direttamente al MinDife (circa 10 miliardi di euro) e quelli destinati al MiSE ma sempre di interesse per il comparto (circa 2,8 miliardi) si arriva, infatti, a poco meno di 12,8 miliardi totali.

Di questi, poco più di 8 dovrebbero essere destinati all’acquisto di nuovi sistemi d’arma con la parte erogata dal MiSE che sarebbe impiegata proprio per integrare quei programmi già in corso ma privi di adeguato finanziamento.

Altri 2,6 miliardi circa dovrebbero poi essere destinati a una serie d’interventi a livello infrastrutturale (compresa la realizzazione del cosiddetto “Pentagono italiano”), mentre tra i fondi rimanenti si segnalano i 608 milioni per la cyber-security, anche in funzione del prossimo raggiungimento della piena operatività del CIOC (Comando Interforze per le Operazioni Cibernetiche), più altri 68 milioni per la ricerca.

Tra i sistemi d’arma poi, oltre al rifinanziamento dei programmi MiSE, si punta ad avviarne di nuovi: il sistema UAV del tipo MALE P2-HH, il Chinook in supporto alle Forze Speciali nella versione CH-47 ER, un nuovo elicottero multiruolo leggero per tutte le Forze Armate, la nuova unità per soccorso sommergibili USSP, lo sviluppo del missile CAMM-ER, nuovi mezzi per il Genio e nuove capacità in campo satellitare. Più molti altri ancora, così come indicati dalla stessa lista di programmi privi di finanziamento inclusa nel DPP.

Inoltre, andando a controllare con attenzione lo sviluppo dell’erogazione dei fondi nel corso degli anni, si rileva come ben 10,2 dei 12,8 miliardi stanziati si renderanno disponibili solo nel periodo compreso tra il 2027 e il 2032.

Esprimere dunque più di un dubbio sulla possibilità che tale piano possa effettivamente dispiegare i propri effetti appare più che lecito anche se va detto che, proprio in virtù di questa criticità, giungono indicazioni di sforzi già in atto per anticipare la loro erogazione.

Proprio per ovviare a questi problemi, il DPP si sofferma molto su uno dei temi proposti dal Libro Bianco: la Legge sessennale per gli Investimenti. L’obiettivo è ambizioso: restituire una certa stabilità finanziaria ai più importanti programmi delle FFAA. Queste almeno sono le intenzioni, ma qualora fosse varato un simile provvedimento, resterà pur sempre da verificare la sua resistenza agli “assalti alla diligenza” tipici per questo comparto.

Così come desta qualche perplessità un futuro sistema che, alla fine, per un singolo capitolo di spesa si baserà su ben 3 diversi meccanismi di finanziamento: bilancio ordinario, fondi MiSE, legge sessennale. Sarà pur vero che ciascuno di essi risponderà a esigenze diverse; eppure, qualche dubbio su di una tale complessità rimane.

Nel frattempo, il DPP si “esercita” già con questa novità visto che è la previsione di spesa sessennale è presente in tutte le schede descrittive dei vari programmi.

 

Il “bilancio integrato” della Difesa

Di minore interesse rispetto al senso dell’analisi riguardante il comparto Difesa vero e proprio sono le voci «Funzione Sicurezza del territorio» (cioè lo stanziamento destinato all’Arma dei Carabinieri, ivi compresa la novità della parziale incorporazione dell’ex-Corpo Forestale dello Stato), «Funzioni esterne» e «Pensioni provvisorie del personale in ausiliaria». Di conseguenza, visto lo scopo del presente articolo, logica vuole che esse non sia oggetto di ulteriori approfondimenti, rimandando allo scopo la lettura delle pagine 114÷119 del DPP a esse dedicate.

Bilancio Integrato Difesa

Molto più “stimolante”, a questo punto, si presenta l’introduzione del concetto di «Bilancio integrato della Difesa»; un concetto che, a onor del vero, si presenta con contorni alquanto variabili.

Il DPP stesso lo definisce quale sommatoria degli stanziamenti per Funzione Difesa con quelli del MiSE; in realtà, un più puntuale calcolo delle risorse che il Paese assegna al proprio e per onestà intellettuale, Strumento Militare dovrebbe comprendere anche le spese per le missioni all’estero nonché le cosiddette “riassegnazioni”. Se non altro, per quella parte che riguarda stanziamenti direttamente connessi con l’operatività dello Strumento stesso. Sempre per completezza, bisognerebbe calcolare e quindi includere il contributo fornito dall’Arma dei Carabinieri alla Funzione Difesa stessa.

Insomma, il discorso ci porterebbe lontano; anche perché in ambito internazionale, sono spesso considerate altre voci. Per esempio, il riferimento per noi più importante (la NATO) include anche le spese sostenute per il pagamento delle pensioni del Personale militare e di quello civile.

Riuscire dunque a districarsi correttamente in mezzo a cifre non sempre facilmente disponibili/ fruibili e in mezzo parametri/perimetri di spesa così differenti non è un’impresa da poco.

Per praticità, e anche per un più immediato e facile riscontro nel corso del tempo, può quindi tornare utile (in maniera anche arbitraria…) una definizione di «Bilancio integrato della Difesa» che comprenda:

  • Funzione Difesa;
  • stanziamenti del MiSE;
  • «Fondo per il finanziamento delle missioni internazionali» istituito presso il MEF, ma solo per la parte di stanziamenti aggiuntivi erogati al MinDife;
  • contributo dell’Arma dei Carabinieri alla Funzione Difesa.

Si tratta, come detto, di calcoli che hanno alcuni connotati di una stima, senza cioè la pretesa di fornire una fotografia precisa fino all’ultimo centesimo dei fondi destinati al comparto. Ciò nonostante, a fronte di alcune “fantasiose” ricostruzioni recenti che hanno poi avuto una spropositata eco, il percorso appena proposto appare comunque quello più fedele/rappresentativo del reale livello di tutte le spese militari del nostro Paese.

Del resto, a proposito di difficoltà e solo per rimanere al 2017, si è già avuto tempo e modo di evidenziare quali e quanti elementi d’incertezza permangano ancora oggi. Non solo, più in generale è da tempo che non si riesce a trovare una risposta univoca alla questione di quale sia l’esatto contributo dei Carabinieri ai compiti militari propriamente detti. Le uniche informazioni note sono generiche, con l’Arma che indica in 8.600 uomini il proprio impegno in tal senso: circa 5.000 per le missioni all’estero (calcolati su 4 turnazioni di poco più di 1.200 uomini ciascuno) e i restanti 3.600 destinati a compiti sempre militari ma in Patria (sicurezza delle basi, Polizia Militare, presenza negli organismi interforze e internazionali).

Numeri sui quali però l’Arma stessa precisa come rispondano più a obiettivi fissati a livello “istituzionale” che non a dati reali. Come precisato a più riprese, il combinato disposto di carenze di organico oramai croniche e le sempre più pressanti richieste di un maggior impegno sul territorio nazionale (in concorso con le altre Forze di Polizia), hanno reso completamente superati questi numeri tanto che sarebbe auspicabile un loro aggiornamento e, più in generale, una più puntuale separazione fra i compiti di «Difesa Militare» e quelli di «Sicurezza del territorio» propriamente detta.

Questo anche in considerazione delle cifre corrispondenti a questa valutazione dato che anch’esse finiscono con l’essere particolarmente “generose” e, quindi, poco rappresentative. Come ricordato dallo stesso DPP e in virtù dell’esigenza di comunicare tale dato alla NATO, la Difesa ha quantificato in 550 milioni di euro l’impatto finanziario di un simile contributo nel 2016. Tallmente esagerato da far sospettare un’affannosa ricerca di restituire all’Alleanza Atlantica valori di bilancio meno negativi. Dunque, una cifra che corrisponde al 9% circa della «Funzione Sicurezza del territorio» e che, di conseguenza, può essere impiegata ai fini del calcolo per questo e per gli anni passati. Sempre e comunque opportunamente depurata della componente ex-Corpo Forestale dello Stato.

Insomma, al netto di tutte le variabili ricordate, il quadro degli ultimi 5 anni diventa quello rappresentato nel grafico.

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Telegraficamente, ricordate ancora una volta tutte le approssimazioni del caso, un nuovo taglio (seppur modesto) sul 2016 e uno (ben più consistente) di oltre 820 milioni di euro rispetto a 5 anni fa; che, per un bilancio storicamente compresso come quella della Difesa, si trasforma in un danno quasi “mortale”. Con l’ennesima conferma del 2014 quale anno di svolta (in negativo) sul fronte del bilancio della Difesa.

E qualora la gravità del quadro non fosse sufficientemente chiara, è allargando ulteriormente il periodo di riferimento che lo diventa. Adottando infatti gli stessi parametri, si ottiene che dai circa 18.705,6 milioni di euro del 2008 si è passati ai 17.297,4 attuali. La forbice dunque si allarga e il taglio raggiunge gli oltre 1.400 milioni di euro in 10 anni.

Da una parte infatti si registra il costante aumento delle spese per il Personale che, così facendo, hanno finito con l’eroderncora di più gli spazi destinati all’Esercizio e all’Investimento. Dall’altra poi occorre tenere conto dell’inflazione e della conseguente perdita del potere d’acquisto; tradotto in numeri, il dato del 2017 (a valori costanti 2008) si trasforma perciò in circa 15.100 milioni di euro. Solo così diventa possibile comprendere appieno quanto accaduto negli ultimi anni.

AW101 MMI

Un crollo di 3,6 miliardi di euro quanto a risorse realmente disponibili; oltre il 20% in meno!  Comunque, con questi dati aggiuntivi cambia anche la ripartizione delle spese per il 2017; sia pure non di molto. In termini puramente indicativi, il Personale assorbe circa il 62% delle risorse totali, l’Esercizio è fermo a poco più dell’11% mentre l’Investimento vale circa il 27%. Il tutto all’insegna dello squilibrio più profondo.

E quanto sono lontani i tempi quando l’1% sul PIL era quasi raggiunto dalla sola Funzione Difesa: come nel 2008 per esempio. Oggi quella soglia si riesce a conquistare e a superare (con molta fatica) solo aggiungendo ogni altro finanziamento utile; tanto che l’1,01% del 2017 conferma ancora una volta la traiettoria discendente del bilancio della Difesa.

Ecco dunque che la prospettiva indicata al punto 14 della dichiarazione finale del vertice NATO del 2014 assume, nel caso del nostro Paese, contorni quasi comici. Nonostante un perimetro delle «Defense expenditures» a dir poco vasto, quel livello del 2% di spese per la Difesa sul PIL da raggiungere nel 2024 rimane a tutti gli effetti un “miraggio”.

E così, proprio oggi che il Paese avrebbe bisogno di uno strumento militare efficace, efficiente e quindi pronto a rispondere alle eventuali richieste d’impiego della politica (?), ci ritroviamo invece sempre più sguarniti.

Come lo stesso DPP è costretto ad ammettere, non s’intravede alcun concreto/tangibile segnale di inversione di tendenza sul fronte delle spese per la Difesa. Del resto, come potrebbe andare diversamente se anche tutti i più recenti provvedimenti di ampia portata riguardanti il comparto, o vivono una fase di grave difficoltà o non riescono nemmeno a nascere?

Della Legge 244/2012 è stato detto in abbondanza, soprattutto rispetto alle sue difficoltà a raggiungere gli obiettivi prefissati in termini di riduzione/riequilibrio del Personale, con conseguenti risparmi da reinvestire negli altri capitoli di spesa.

E anche sulla vicenda “Libro Bianco”, la situazione si presenta non meno scoraggiante: non bastassero i ritardi già accumulati, adesso il DdL discendente si trova “parcheggiato” alla Commissione Difesa del Senato; dove tra un’audizione e l’altra e tra una montagna di riflessioni richieste a soggetti vari, di strada ne ha fatta ben poca. E probabilmente non ne farà molta altra al punto d chiedersi come potrà essere approvato da entrambi i rami del Parlamento prima della fine della Legislatura.

Immagini: www.difesa.it

 

Giovanni MartinelliVedi tutti gli articoli

Giovanni Martinelli è nato a Milano nel 1968 ma risiede a Viareggio dove si diplomato presso l’Istituto Tecnico Nautico per poi lavorare in un cantiere navale. Collabora con Analisi Difesa dal 2002 occupandosi di temi navali in generale e delle politiche di Difesa del nostro Paese in particolare. Fino al 2009 ha collaborato con la webzine Pagine di Difesa.

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