Missioni, F-35, tagli alla Difesa e i rapporti con Washington

Riduzioni minime negli ultimi mesi dell’anno, più marcate nel 2019 per le missioni militari italiane all’estero, secondo un piano che rafforzerebbe quanto già delineato dal governo Gentiloni.

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La sconfitta dello Stato Islamico rende superflua la presenza di gran parte dei 1.400 militari italiani schierati in Iraq, dei quali resterà un numero imprecisato di istruttori all’interno della nuova missione Nato a guida canadese. Dall’Afghanistan è previsto il ritiro di almeno 200 dei 900 militari schierati a Herat e Kabul che potrebbe avviarsi già in dicembre quando la brigata aeromobile “Friuli” avvicenderà la “Pinerolo”.

Ritiri che non dovrebbero turbare gli ottimi rapporti tra il governo Conte e l’Amministrazione Trump: anche gli Usa stanno ridimensionando l’impegno in Iraq e cercano una exit strategy credibile dall’Afghanistan, dove l’avvicendamento tra poche centinaia di italiani e truppe alleate non peggiorerà una situazione già precaria.

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Del resto “l’indulgenza” di Washington nei confronti dell’attuale governo di Roma è dimostrato anche nell’assenza di pressioni per l’incremento della spesa militare, che gli Usa vorrebbero portare al 2 per cento del Pil mentre l’Italia si trova ad appena l’1,1% e destinata a scendere sotto l’1% con i tagli annunciati.

Superiori esigenze strategiche sembrano guidare i rapporti bilaterali, con gli Usa cercano di compensare l’uscita di Londra dalla Ue puntando sull’Italia per ostacolare l’egemonia franco-tedesca. Un’intesa rafforzata dal sostegno di Trump a Roma sul dossier libico e dal possibile aiuto americano sul fronte finanziario, qualora la “battaglia dello spread” diventasse più aspra.

Non va dimenticata l’ostilità con cui Washington, con Obama come con Trump, guarda alla politica del rigore imposta da Berlino ai partner europei e giudicata oltre Atlantico un freno alla crescita economica globale.

US President Donald Trump and Italian Prime Minister Giuseppe Conte hold a joint press conference in the East Room of the White House in Washington, DC, July 30, 2018. (Photo by SAUL LOEB / AFP) (Photo credit should read SAUL LOEB/AFP/Getty Images)

Il rischio di tensioni con gli Usa si potrebbe semmai registrare sul fronte dei tagli alle acquisizioni di armamenti. Il premier Giuseppe Conte e il ministro della Difesa, Elisabetta Trenta, hanno più volte parlato di revisione del programma F-35 annunciandone la riduzione rispetto ai 90 esemplari previsti.

Obiettivo caro al M5S e che oggi potrebbe venire rivendicato con ancora più forza dopo la decisione del Pentagono di affidare a Boeing la realizzazione della flotta di nuovi aerei da addestramento, benchè il T-346 di Leonardo fosse senza dubbio il miglior aereo in gara e persino il preferito dai piloti americani.

E’ vero che il mese scorso Leonardo si è aggiudicata una gara da 2,4 miliardi di dollari per 84 elicotteri AW-139 destinati all’aeronautica Usa (che verranno realizzati negli stabilimenti Boeing), così come Fincantieri potrebbe vendere alla US Navy 20 fregate Fremm (sempre comunque da costruire in cantieri ubicati negli states) ma il mercato militare americano resta dominato dai colossi industriali domestici nel nome prima del “buy american” obamiano e poi del trumpiano “America first”.

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Per l‘Italia l’F-35 resta un pessimo affare: poche ricadute tecnologiche e occupazionali per un aereo che, anche se mantenesse tutte le sue promesse hi-tech e operative, resterebbe troppo costoso da gestire per i sempre più magri bilanci della Difesa.

Ciò nonostante, proprio in virtù della necessità del governo Conte di mantenere salda l’intesa con gli Usa, è possibile che il programma F-35 venga solo diluito nel tempo per ridurne l’impatto sui prossimi esercizi finanziari.

Della necessità che Roma rispetti l’impegno assunto pare abbia parlato, nell’incontro con Conte alla Casa Bianca, lo stesso Trump che considera l’export militare elemento prioritario per ripianare la bilancia commerciale degli USA.

“M5S è da sempre contrario ai caccia F-35, ma si tratta di un programma partito nel 1998 e sarebbe irresponsabile interromperlo ora, anche se stiamo studiando nei dettagli il dossier e questo Governo non ha ancora cacciato un solo euro, tutti gli ordini sono stati fatti dai governi precedenti” ha detto il 17 ottobre il sottosegretario alla Difesa, Angelo Tofalo (nella foto sotto)  intervistato dall’ANSA.

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“Bisogna – ha spiegato Tofalo – anche essere onesti intellettualmente e dire che la Difesa ha bisogno di certe capacità aeree, per cui si deve capire che, se si interviene su questo programma, bisogna poi sempre garantire una capacità operativa aerea che l’Italia deve comunque avere a difesa dei confini nazionali”.

Abbiamo – ha aggiunto – 240 aerei, di cui alcuni vecchissimi come i Tornado e non è che se blocchi gli F35 non compri altri aerei”. Insomma, sottolinea, “nessuna decisione è stata ancora presa, il programma è congelato e ci sarà alla fine della fase di studio una decisione politica, credo direttamente da parte del presidente del Consiglio Giuseppe Conte.

In realtà Tornado e AMX da rimpiazzare sarebbero oggi circa 120 ma le affermazioni di Tofalo lasciano aperti molti interrogativi. Gli F-35 potrebbero restare 90 per “onestà intellettuale”? Oppure quelli eventualmente tagliati verrebbero rimpiazzati da altri velivoli “made in italy” quali Typhoon nuovi o M-346FA?

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In ogni caso il fatto che sul tema dirà l’ultima il premier Conte la dice lunga su peso strategico che la decisione sull’F-35 avrà nei rapporti tra Italia e USA.

Il rischio è quindi che, tra il rispetto di un “asse di ferro” con gli Usa e la necessità di M5S di “fare cassa” tagliando le spese militari, a farne le spese siano gli equipaggiamenti made in Italy e frutto di programmi europei quali i nuovi missili da difesa aerea Camm ER di MBDA e gli elicotteri NH-90 di Leonardo, già indicati come vittime di tagli per oltre 500 milioni.

Una scelta paradossale che metterebbe a rischio molti posti di lavoro nelle aziende italiane, comprometterebbe le capacità di difesa e minerebbe la fiducia dei partner industriali europei coinvolti nei programmi indicati, che potrebbero non essere i soli a venire sospesi.

Non mancano infatti voci di tagli alla Difesa più consistenti, fino a 1,3 miliardi di euro, da reperire con la riduzione delle spese per le missioni all’estero e forse sacrificando altri programmi.

@GianandreaGaian

(con fonte Il Messaggero del 18 ottobre)

Foto: Ansa. Lockheed Martin, Difesa.it, MBDA e AFP

 

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Giornalista bolognese, laureato in Storia Contemporanea, dal 1988 si occupa di analisi storico-strategiche, studio dei conflitti e reportage dai teatri di guerra. Dal 1991 al 2014 ha seguito sul campo i conflitti nei Balcani, Somalia, Iraq, Afghanistan, Sahara Occidentale, Mozambico e Sahel. Dal febbraio 2000 dirige Analisi Difesa. Ha collaborato o collabora con quotidiani e settimanali, università e istituti di formazione militari ed è opinionista per reti TV e radiofoniche. Ha scritto diversi libri tra cui "Iraq Afghanistan, guerre di pace italiane", “Immigrazione, la grande farsa umanitaria” e "L'ultima guerra contro l’Europa". Presso il Ministero dell’Interno ha ricoperto dal 2018 l’incarico di Consigliere per le politiche di sicurezza di due ministri e un sottosegretario.

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