Droni israeliani in Siria per colpire le milizie scite irachene?

La notizia, se trovasse conferma, avrebbe implicazioni politiche e militari senza precedenti nel già intricato e confuso scenario di crisi mediorientale.

Fonti dell’intelligence irachena hanno riferito a Middle East Eye che i velivoli teleguidati (droni o UAS) che nei giorni scorsi hanno colpito le basi delle milizie scite in Iraq sarebbero partiti dal nord della Siria, nelle aree controllate dalle Syrian Democratic Forces (SDF), le milizie curdo-arabe sostenute dalla Coalizione a guida statunitense.

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Secondo un ufficiale dei servizi segreti di Baghdad, i droni (forse del modello IAI Eitan impiegabili anche per azioni di attacco) sarebbero stati fatti decollare “da personale israeliano direttamente da una base delle SDF”, col beneplacito delle stesse forze curde, e con il sostegno dell’Arabia Saudita.

In quell’ampia regione della Siria Orientale vi sono diversi aeroporti militari appartenuti alle forze aeree di Damasco, caduti nelle mani dello Stato Islamico e poi occupati dalle SDF e dalle forze anglo-franco-americane che le sostengono. Si tratta in molti casi di piste secondarie ma anche della grande base aerea di Tabqa (nella foto sotto), vicino a Raqqa, impiegata anche da aerei ed elicotteri statunitensi.

L’aeroporto venne conquistato nell’agosto 2014 dalle milizie dell’ISIL che giustiziarono almeno 160 soldati siriani catturati ma nel 2017 cadde sotto il controllo delle firze USA e curde.

Nei giorni scorsi Israele ha condotto alcuni attacchi mirati con droni in Siria, Iraq e Libano con l’obiettivo di colpire obiettivi iraniani, Hezbollah e delle forze paramilitari sciite irachene. Da luglio, diverse esplosioni si sono verificate in basi militari, depositi di armi e convogli delle Hashd al Shaabi, cioè le milizie di mobilitazione popolare scite irachene legate all’Iran.

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Nell’ultimo raid, effettuato il 25 agosto su una postazione delle milizie nei pressi del confine tra Iraq e Siria, è morto un miliziano e un altro è rimasto gravemente ferito, secondo quanto riferito dalle stesse milizie scite.

Secondo le fonti di Baghdad, il piano di bombardamenti sulle forze paramilitari irachene è stato messo a punto durante la visita di Thamer al Sabhan, ministro saudita per gli Affari del Golfo, nel nord della Siria lo scorso giugno, promossa con l’obiettivo di spingere le tribù arabe dell’area a sostenere le SDF, attraverso la mediazione dell’ufficiale americano William Robak, ex ambasciatore in Bahrein e consulente del Dipartimento di Stato

La Casa Bianca del resto vorrebbe ritirare quasi buona parte delle sue forze oggi schierate in Siria in appoggio alle SDF e cerca la disponibilità degli alleati arabi ed europei a inviare proprie forze militari nella regione a est dell’Eufrate e a finanziare le SDF con l’obiettivo di impedire a Bashar Assad di riprendere il controllo di quella vasta regione ricca di gas e petrolio.

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Il ministro saudita, ex ambasciatore in Iraq (che lasciò nel 2016 in modo controverso, affermando di essere oggetto di tentativi di assassinio da parte delle stesse milizie sciite) è molto vicino all’ erede al trono Mohammad Bin Salman e avrebbe così convinto le inizialmente reticenti forze curde ad accettare denaro in cambio della possibilità di utilizzare il loro territorio come piattaforma di lancio per effettuare gli attacchi dei droni israeliani.

La provenienza dei velivoli dalla Siria aveva inizialmente indotto Baghdad a mostrarsi scettica verso l’ipotesi di attacchi israeliani sul territorio iracheno. La scorsa settimana l’analista iraniano Maysam Behravesh aveva ipotizzato che gli attacchi potessero essere opera di “nemici delle milizie, anche all’ interno dell’Esercito iracheno, oppure degli americani in prima persona”.

Le milizie di mobilitazione popolare sciite irachene (PMF) sono recentemente oggetto di un processo di regolarizzazione all’ interno delle fila dell’Esercito Iracheno dopo aver condotto con successo le battaglie contro l’Isis e hanno accusato Israele per i cinque bombardamenti sulle loro postazioni in Iraq. Dello stesso avviso il presidente iracheno Barham Salih, il quale il 26 agosto ha ribadito che “la sovranità del Paese è una linea rossa che il governo proteggerà “.

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Molte le potenziali ripercussioni della vicenda, qualora trovasse conferma l’utilizzo di basi siriane occupate da americani e curdi per attaccare obiettivi filo-iraniani in Iraq. Del resto le rilevazioni satellitari rendono oggi agevole verificare la presenza di velivoli teleguidati israeliani a Raqqa e dintorni.

Damasco potrebbe denunciare non solo l’invasione del suo territorio in atto da parte della Coalizione ma anche il suo utilizzo per azioni belliche contro uno Stato amico e alleato nella lotta all’Isis dopo che Israele già da anni colpisce in territorio siriano obiettivi iraniani e delle milizie scite libanesi Hezbollah.

La Turchia certo non troverebbe gradita la presenza militare israeliana così vicino al suo territorio e alle sue postazioni militari nel nord della Siria.

Soprattutto l’Iraq, già in ottimi rapporti con l’Iran, potrebbe considerare “ostile” il ruolo di Washington che ha consentito agli israeliani di schierarsi in Siria per colpire obiettivi in Iraq dimostrando così, ancora una volta, che gli Stati Uniti non tutelano né proteggono i loro alleati.

@GianandreaGaian

Foto IAI, IDF e Google

 

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Giornalista bolognese, laureato in Storia Contemporanea, dal 1988 si occupa di analisi storico-strategiche, studio dei conflitti e reportage dai teatri di guerra. Dal 1991 al 2014 ha seguito sul campo i conflitti nei Balcani, Somalia, Iraq, Afghanistan, Sahara Occidentale, Mozambico e Sahel. Dal febbraio 2000 dirige Analisi Difesa. Ha collaborato o collabora con quotidiani e settimanali, università e istituti di formazione militari ed è opinionista per reti TV e radiofoniche. Ha scritto diversi libri tra cui "Iraq Afghanistan, guerre di pace italiane", “Immigrazione, la grande farsa umanitaria” e "L'ultima guerra contro l’Europa". Presso il Ministero dell’Interno ha ricoperto dal 2018 l’incarico di Consigliere per le politiche di sicurezza di due ministri e un sottosegretario.

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