Chi vince e chi perde (per ora) nella guerra in Ucraina

 

 

Sono passate due settimane da quando la Russia ha avviato le sue operazioni militari convenzionali sul territorio ucraino e ferve il dibattito sul successo o meno di questa offensiva.

L’intelligence USA ci aveva fatto sapere che Kiev avrebbe potuto cadere già due giorni dopo l’inizio delle operazioni offensive russe ma si trattava probabilmente di un’informazione passata agli organi di stampa nell’ambito della campagna di INFO OPS (information operations) tendente a coalizzare al massimo NATO ed UE in difesa di Kiev e convincere opinioni pubbliche e governi dei paesi di queste due organizzazioni ad adottare la linea più dura possibile nei confronti della Russia.

La progressione russa in questi primi giorni viene interpretata in Occidente come lenta e male organizzata ma potrebbe al contrario venire valutata abbastanza rapida tenuto conto dell’esigenza di ridurre per quanto possibile le perdite. Certo più veloce di quella “blitzkrieg” talebana che ha travolto senza resistenza alcuna l’armatissimo esercito regolare afghano la scorsa estate e del quale l’intelligence USA ci aveva assicurato la capacità di resistere per vari mesi.

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Certo oggi le guerre si vincono e si perdono non solo sul campo di battaglia, in base ad una fredda aritmetica di chilometri quadrati conquistati o di numero di nemici uccisi, ma anche nella percezione dell’opinione pubblica. Ove ce ne fosse bisogno, le campagne USA dal Vietnam in poi ce ne forniscono una tangibile prova.

Come spiegava von Clausewitz ancora due secoli fa, la “guerra è la continuazione della politica con altri mezzi” e, pertanto, si propone prioritariamente il conseguimento di obiettivi “politici” e non puramente militari.

Difficile tentare di valutare chi stia, a oggi, vincendo e perdendo in questa guerra. Prima che venisse lanciata l’operazione militare russa in territorio ucraino Mosca era riuscita a:

  • dimostrare che la Russia era tornata a essere una superpotenza con cui USA, UE, NATO e singoli Stati Europei dovevano confrontarsi e di cui in fondo dovevano aver timore;
  • dimostrare agli ucraini che in caso di aggressione militare l’assistenza che Washington aveva assicurato a Kiev negli ultimi otto anni si sarebbe rivelata molto inferiore alle loro aspettative;
  • sensibilizzare alcune delle principali capitali europee in merito ai rischi che, anche per loro, avrebbe potuto comportare il processo per l’accesso alla NATO (e in prospettiva futura all’UE) dell’Ucraina, della Georgia o della Moldavia;
  • colpire la credibilità e la coesione della NATO. Organizzazione che con l’arrivo di Biden alla Casa Bianca aveva assunto una posizione decisamente più ostile che in passato nei confronti di Mosca (si vedano anche gli esiti dell’ultimo Summit di Capi di Stato e governo dell’Alleanza dello scorso giugno Per la NATO la Cina è più vicina della Libia – Analisi Difesa )
  • far capire che Mosca tratta direttamente con i singoli paesi e che l’UE, in quanto tale, non veniva considerata un interlocutore che rappresentasse collegialmente tutti i paesi membri tutti.

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Certo la strada per ottenere il pieno riconoscimento internazionale dell’annessione della Crimea e dell’indipendenza delle due autoproclamate repubbliche popolari russofone del Donbass sarebbe stato ancora in salita, ma negoziabile da una posizione relativamente di forza.

Nel contempo, gli USA e i loro allarmi relativi alla imminente aggressione russa, fino al 22 febbraio, erano da molti percepiti come il pastorello della favola di Esopo che continuava ad urlare “al lupo al lupo” solo per attrarre su di sé l’attenzione.

NATO e UE erano apparse nel complesso poco significative, mentre i loro singoli membri si muovevano in proprio. In Europa, dopo la gestione esclusivamente diretta da Washington del fallimentare ritiro dall’Afghanistan, si andava affermando sempre di più l’idea che la NATO non potesse più essere l’unico consesso in cui coordinare la sicurezza europea. In ambito UE la minaccia delle sanzioni economiche nei confronti della Russia aveva fatto emergere una serie di distinguo e di interessi contrapposti tra i singoli paesi. Divergenze che potevano verosimilmente far ritenere che l’arma delle sanzioni, fortemente volute da Washington, in caso di applicazione si sarebbe rivelata in realtà spuntata.

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L’Ucraina non poteva non essersi convinta che in caso di aggressione militare russa, Stati Uniti ed Europa avrebbero fornito un’assistenza concreta ben inferiore a quanto dal Summit di Bucarest (2008) in poi e ancor più dopo gli eventi di Euromaidan (del 2014) i plenipotenziari statunitensi avevano sempre fatto credere sarebbe stata garantita. Anche quanto scritto nel comunicato finale dell’ultimo Summit dell’Alleanza dello scorso giugno, in cui si garantiva il “reiterato supporto per assicurare l’integrità territoriale dell’Ucraina” (art 14) e si prometteva che “l’Ucraina diventerà membro della NATO” (art. 69) veniva ora interpretato in maniera molto meno assertiva da USA e NATO.

A quel punto, forse, insistendo con la pressione psicologica Mosca avrebbe forse potuto riportare Kiev al tavolo negoziale, trovandosi però di fronte una controparte meno determinata e meno fiduciosa del supporto statunitense di quanto l’Ucraina non si sia dimostrata in questi ultimi otto anni.

Questa la situazione sino a meno di due settimane fa, ma a quel punto Putin, dopo aver riconosciuto unilateralmente l’indipendenza delle due autoproclamate repubbliche popolari di Donetsk e di Luhansk ha avviato le operazioni militari anche al di fuori dei territori strettamente russofoni dell’Ucraina. Ciò ha drasticamente cambiato (almeno in Europa e in America) la percezione di quanto stesse avvenendo.

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Oggi Putin, indipendentemente dagli eventuali successi militari sul terreno, appare perdere nella guerra delle percezioni. Certo, non sta perdendo sul campo di battaglia, ma sta perdendo nella percezione generale della gente (in Ucraina, in Occidente e forse anche in Russia).

Questo accade innanzitutto perché l’attacco russo in Ucraina ha comportato la rapida rivitalizzazione della NATO, che era in quel momento al suo minimo storico di credibilità e di coesione interna. Soprattutto, ha fatto allineare l’intera Alleanza sulle posizioni russofobe dell’amministrazione Biden e degli Alleati più ostili a Mosca (ex-patto di Varsavia, scandinavi e britannici) mettendo in difficoltà anche quei paesi, come Italia, Germania, Grecia, Francia che avrebbero volentieri mantenuto un atteggiamento dialogante nei confronti di Mosca.

Inoltre:

  • l’UE si è spinta ad adottare sanzioni economiche e finanziarie molto severe. Sanzioni che potranno fare più male alle stesse economie europee che non alla Russia, ma che vengono approvate per sconfiggere il “male assoluto”, cioè Putin e la Russia;
  • indipendentemente dalla reale situazione sul terreno, il solo fatto che tale progressione sia più lenta di quanto le nostre paure (e l’intelligence USA) ci avessero fatto ritenere esalta la percezione dell’eroismo dei difensori. Zelensky viene percepito come un piccolo Davide che riesce a tenere a bada un gigantesco Golia (Zelensky sicuramente si sta dimostrando anche abile nel costruire tale immagine eroica);
  • i paesi UE, sotto il peso dei loro sensi di colpa (giustificati o meno) si sentono oggi quasi obbligati, sotto la pressione dei media e degli USA a far entrare al più presto l’Ucraina nel loro esclusivo club anche se Kiev è ben lungi dall’avere i requisiti economico-finanziari previsti;
  • la NATO è in balia di analoghe percezioni e questa volta Francia e Germania potrebbero non essere in grado di obiettare alle pressioni USA per il rapido avvio del processo di accesso all’Alleanza dell’Ucraina (come invece avvenne a Bucarest nel 2008);
  • le eventuali responsabilità dell’Occidente in relazione ad un allargamento della NATO percepito (a torto o a ragione) come aggressivo da parte di Mosca non paiono più degne di essere prese in considerazione, perché immediatamente censurate come “giustificative” di un’aggressione militare quasi unanimemente ritenuta non giustificabile;
  • oggi in Europa è diventato politicamente scorretto  anche solo azzardare qualsiasi paragone tra i territori russofoni e russofili dell’Ucraina di oggi e il Kosovo del 1999 in cui si era venuta a consolidare una forte presenza albanese, peraltro n parte esogena (paragone che in linea puramente teorica potrebbe non essere interamente peregrino);
  • Georgia e Moldavia tenteranno verosimilmente di sfruttare la porta spalancata per Kiev al fine di accedere anche loro “senza pagare il biglietto” a NATO e UE.
  • Finlandia e Svezia, preso atto dei rinnovati appetiti moscoviti e del fatto che se non si è membri NATO a tutti gli effetti si rischia di essere abbandonati al proprio destino, si stanno interessando a cooperare sempre di più con la NATO completando così una linea Maginot anti-russa praticamente ininterrotta dal Mar di Barents ai Dardanelli.

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Grande sconfitta in questa guerra è inoltre l’Unione Europea apparsa totalmente al traino di Washington e non in grado di elaborare una propria politica autonoma nei confronti di Russia e Ucraina.

Inoltre la Ue:

  • non ha mai tentato di assumere il ruolo negoziale che le competeva in relazione alle ultradecennali tensioni tra Russia e Ucraina e neanche in questa occasione è riuscita ad assumere il ruolo di mediatore autorevole e credibile per questa crisi alle porte di casa ak netto degli sforzi di Emmanuel Macron;
  • oggi l’UE può essere considerata di fatto dalla Russia parte belligerante, in forza sia delle sanzioni sia degli aiuti militari inviati agli ucraini e non ha più alcuna possibilità di assolvere alcun ruolo di mediazione.
  • su pressione di Washington, l’UE si assumerà di fatto l’onere di far entrare nel suo ambito Ucraina e Moldavia e probabilmente Georgia anche senza che tali paesi abbiano requisiti di stabilità istituzionale ed economica che sarebbero necessari.

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Infine un’altra vittima della situazione potrebbe essere anche l’ambizione di autonomia strategica europea (e relativo “EU strategic compass”), di cui, dopo le minacce di ritorsioni nucleari da parte russa, temo che molte cancellerie europee vogliano far sparire qualsiasi traccia per non dispiacere allo Zio Sam.

Perdente, come sempre negli ultimi 30 anni anche l’ONU, che di fronte ad una guerra che vede schierate su fronti opposti ben 4 dei 5 membri permanenti del consiglio di sicurezza conferma la sua assoluta inadeguatezza come foro di prevenzione e composizioni delle crisi.

Perde in fondo anche la NATO che non è stata in grado di elaborare una strategia di alleanza che non fosse quella fornita da Washington.

In attesa degli sviluppi sui campi di battaglia l’’Ucraina sembrerebbe al momento vincere se non altro nella guerra delle percezioni.

Zelensky sembra essere riuscito a galvanizzare la resistenza del popolo ucraino e sicuramente è riuscito a far schierare al suo fianco (sia pure per il momento solo con le sanzioni e gli aiuti militari) non solo gli USA ma anche compattamente sia l’UE sia la NATO.

In ragione della grave aggressione che l’Ucraina sta subendo, sia le colpe di Kiev nei confronti delle minoranze russofone dal 2014 ad oggi sia l’atteggiamento poco collaborativo nel contesto delle discussioni degli accordi di Minsk verranno ora (comprensibilmente) dimenticate.

Per quanto l’Ucraina possa nel peggiore dei casi dover cedere la sovranità su ampie zone del Donbass e forse anche alcune importanti città, soprattutto sul Mar Nero, per il resto del paese l’accesso quanto meno alla UE potrebbe rivelarsi molto più spedito.

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I grandi vincitori, per il momento, sembrerebbero essere gli USA e l’amministrazione Biden, che sono abilmente riusciti a scavare un solco profondo e si teme duraturo tra paesi europei e Russia; solco che produrrà i suoi effetti molto a lungo (a meno di un radicale “regime change” a Mosca) e trascinare l’UE in una inaspettata guerra economica contro la Russia.

Guerra che non ha di fatto impatto sull’economia americana ma avrà severe conseguenze su quelle europee sia per la difficoltà degli europei di sopperire alle materie prime oggi importate dalla Russia sia per i danni all’export e al turismo. Di fatto così gli USA oltre a danneggiare la Russia ottengono il risultato di danneggiare gravemente la Ue, uno dei loro principali competitor economici.

Washington sta inoltre riuscendo nel compito di compattare la NATO, la cui coesione aveva sofferto dalla mancanza di collegialità decisionale riguardo all’impegno in Afghanistan, e di tenere l’Ucraina vincolata alla NATO, che costituisce una priorità per gli USA. Infine gli USA stanno conseguendo il risultato di scaricare interamente sugli Europei il peso economico della ricostruzione dell’Ucraina (in quanto potenziale paese UE) e distrarre l’opinione pubblica americana da problematiche domestiche facendo passare in secondo piano sia le minacce cinesi all’indipendenza di Taiwan sia il ricordo del frettoloso ritiro dall’Afghanistan,

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All’orizzonte, sembra profilarsi anche un altro potenziale vincitore di questa crisi: la Cina. In virtù della autorevolezza che Xi Jinping ha nei confronti di Putin, della intensa rete di scambi commerciali sia con l’Ucraina che con la Russia, avendo anche mantenuto una posizione di neutralità in ambito Assemblea Generale dell’ONU (dove la Cina si è astenuta), Pechino appare l’unico credibile negoziatore in un conflitto che è il frutto della contrapposizione USA – Russia e in cui tutti gli altri membri permanenti del Consiglio di Sicurezza sono dichiaratamente schierati. In caso di successo, una tale mediazione rappresenterebbe un ulteriore riconoscimento del ruolo di superpotenza globale che il Dragone sta rapidamente assumendo.

Inoltre le sanzioni economiche e soprattutto quelle finanziarie adottate dall’Occidente nei confronti di Russia e Bielorussia non potranno che spingere tali nazioni ancor più nel pericoloso abbraccio cinese, allontanandole dall’economia e dalla cultura europea (si ricordi l’effetto delle ben più blande sanzioni adottate nei confronti dell’Italia in conseguenza dell’attacco all’Etiopia).

In conseguenza del legame strettissimo che la Russia dovrebbe con la Cina, quest’ultima potrebbe trovarsi a essere la potenza dominante di un’area di influenza che abbraccia la porzione di Eurasia dall’allineamento Mar di Barents – Dardanelli al Pacifico e dall’Indo Pacifico all’Artico, oltre a influenzare pesantemente (anche insieme alla Russia) il Continente Africano

Certo si tratta di un bilancio temporaneo e la situazione può cambiare rapidamente, forse più sui campi di battaglia che nella guerra delle percezioni.

Foto: Ministero della Difesa Russo

 

 

Antonio Li GobbiVedi tutti gli articoli

Nato nel '54 a Milano da una famiglia di tradizioni militari, entra nel '69 alla "Nunziatella" a Napoli. Ufficiale del genio guastatori ha partecipato a missioni ONU in Siria e Israele e NATO in Bosnia, Kosovo e Afghanistan, in veste di sottocapo di Stato Maggiore Operativo di ISAF a Kabul. E' stato Capo Reparto Operazioni del Comando Operativo di Vertice Interforze (COI) e, in ambito NATO, Capo J3 (operazioni interforze) del Centro Operativo di SHAPE e Direttore delle Operazioni presso lo Stato Maggiore Internazionale della NATO a Bruxelles. Ha frequentato il Royal Military College of Science britannico e si è laureato con lode in Scienze Internazionali e Diplomatiche a Trieste.

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