La NATO dopo Madrid – Cosa hanno incassato l’Europa e l’Italia?

 

 

Un vertice storico quello che la NATO ha tenuto a fine giugno a Madrid, in cui l’Alleanza Atlantica ha ribadito paradossalmente il suo ruolo “difensivo” proprio nel momento in cui estende la sua area d’interesse alla Cina e all’Indo-Pacifico, non proprio dietro l’angolo rispetto a quel Nord Atlantico cui fa riferimento il Trattato che nel 1949 diede vita alla NATO.

Un grande successo per i maggiori azionisti dell’Alleanza Atlantica, USA e Gran Bretagna, che ribadendo a parole la vocazione “difensiva” della NATO ne ampliano i confini con l’adesione di Svezia e Finlandia allargando così il “fronte artico” il confronto con la Russia e allungando di altri 1.360 chilometri la nuova “Cortina di Ferro” che per 77 anni aveva costituito un tranquillo confine tra l’URSS/Russia e la neutrale Finlandia.

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Al summit di Madrid gli anglo-americani hanno ottenuto una vittoria politico-strategica di dimensioni senza precedenti, imponendo in modo trionfale agli alleati europei la loro agenda su almeno tre punti:

  • – indebolire e impoverire l’Europa e i suoi interessi economici e strategici con “diktat” circa la rinuncia a gas e petrolio russo che non dovrebbero competere alla NATO.  La guerra in Ucraina “mostra i rischi di essere dipendenti da materie prime che giungono da regimi autoritari” e “bisogna abbandonare presto il petrolio e il gas russi” ha dichiarato il segretario generale della Nato, Jens Stoltenberg, nel discorso di apertura del vertice di Madrid. “Non dobbiamo però finire per dipendere da un altro regime autoritario”, ha avvertito Stoltenberg, “molti minerali necessari alle tecnologie verdi arrivano dalla Cina, dobbiamo diversificare le risorse energetiche e i fornitori”.
  • –  alimentare e prolungare le tensioni belliche con Mosca che garantiranno il declino della Ue e il logoramento della Russia in una nuova già evidente corsa al riarmo, senza neppure indicare prospettive per la soluzione del conflitto in Ucraina o per l’apertura di un dialogo con Mosca teso a risolvere la crisi.
  • – coinvolgere gli europei nella sfida alla Cina sul piano economico e nei teatri operativi dell’Indo-Pacifico, col risultato di indebolire i margini di manovra degli europei e di coinvolgerli militarmente in teatri operativi lontani in cui saranno marginali non solo rispetto agli anglo-americani ma anche nei confronti di Australia, India e Giappone. “Siamo di fronte a minacce informatiche, spaziali e ibride e altre minacce asimmetriche e all’uso dannoso di tecnologie emergenti e dirompenti. Affrontiamo la concorrenza sistemica di coloro, inclusa la Repubblica Popolare Cinese, che sfidano i nostri interessi, la nostra sicurezza e i nostri valori e cercano di minare l’ordine internazionale basato sulle regole” si legge nel documento finale del vertice.

 

Di fatto, a Madrid è stato ufficializzato che i “tutori” anglo-americani indicano la strada da percorrere a gregari europei ubbidienti perseguendo una politica che travalica gli obiettivi che la NATO si era posta dalla nascita fino alla caduta dell’URSS.

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Quella NATO  a vocazione “difensiva”, il cui successo fu misurabile con il crollo del Patto di Varsavia e poi dell’URSS, non esiste più da tempo come emerse già negli anni ’90 con le azioni belliche ben poco “difensive” contro i serbi, che provocarono i primi seri danni all’Europa con gli interventi in Bosnia e Kosovo che hanno mortificato Belgrado e spianato la strada alla penetrazione jihadista nel Vecchio Continente.

Meglio poi ricordare a chi guarda con disprezzo a un accordo di pace in Ucraina che comporti rinunce territoriali per Kiev, che nessun disgusto per la violazione del diritto internazionale emerse quando venne sottratta alla Serbia una sua provincia (il Kosovo) per farla diventare uno stato indipendente oggi teso addirittura a entrare nella NATO.

Nei primi anni 2000 la necessità di dare un senso a un’alleanza senza nemici e la voglia di giocare su orizzonti globali dopo i fatti dell’11 settembre 2001, ha portato la NATO a impantanatasi senza successo in Afghanistan (da dove siamo fuggiti nell’agosto 2021), mentre nel 2011 i nostri alleati anglo-franco-americani e poi l’Alleanza Atlantica (non al completo) ci diedero un’ulteriore prova di quanto avessero a cuore i nostri interessi scatenando una guerra aerea e navale contro la Libia di Muammar Gheddafi.

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Guerra che diede un ulteriore ampio contributo alla destabilizzazione del Mediterraneo lasciando soprattutto all’Italia molti cocci da raccogliere.

Dal 2014, con la crisi in Ucraina scatenata col golpe del Maidan, alimentato da alcuni suoi stati membri, la NATO sembra aver ritrovato la sua ragion d’essere più genuina nel contrasto alla Russia anche se non certo in una vena “difensiva” considerato che da quasi 20 anni Mosca lamenta come una minaccia il continuo ampliamento a est dell’Alleanza: tema su cui si può discutere ma che non avrebbe dovuto essere né ignorato né sottovalutato.

 

Slogan di guerra

Tra i punti salienti discussi al vertice di Madrid vi è certamente il rinnovo dell’impegno ferreo per la difesa dell’Ucraina e la ferma condanna dell’aggressione russa che “minaccia gravemente la sicurezza e la stabilità internazionali ed è una palese violazione del diritto internazionale. La terribile crudeltà della Russia ha causato immense sofferenze umane e massicci sfollamenti, colpendo in modo sproporzionato donne e bambini. La Russia ha la piena responsabilità di questa catastrofe umanitaria”.

Slogan di guerra e nulla più se si considerano le invasioni e aggressioni condotte da Occidente e NATO negli ultimi 30 anni e il numero elevato di perdite civili inflitte dalle forze militari alleate, soprattutto statunitensi, in Serbia, Libia, Iraq, Afghanistan, Somalia, Yemen e Sahel.

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La NATO a Madrid accusa la Russia anche di aver esacerbato intenzionalmente la crisi energetica e alimentare, benché se sul mercato internazionale il grano ucraino non sia scomparso e sia comunque facilmente sostituibile mentre sul fronte energetico crisi e speculazioni sono iniziate da almeno un anno e ad aggravare la situazione hanno contribuito le sanzioni a Mosca e la pretesa dell’Occidente di fare a meno di gas e petrolio russo più che le iniziative di Mosca, che peraltro continua a vendere energia ai suoi nemici.

Ovvio che geopolitica e interessi nazionali debbano andare oltre le valutazioni morali che pure vengono sbandierate da tutti nella contrapposta comunicazione propagandistica ma il tema vero di cui preoccuparci come europei e come italiani è che sulla guerra in Ucraina il vertice NATO di Madrid non ha visto emergere neppure una bozza di proposta di road-map per giungere a un compromesso che chiuda o almeno congeli il conflitto.

Soluzione che gioverebbe agli interessi dell’Europa ma, a quanto pare non a quelli di Londra e Washington che hanno invece ottenuto dagli alleati il rafforzamento dei contingenti schierati ai confini russo-ucraini-bielorussi dal livello battaglione a quello brigata e l’irrobustimento (teorico) della NATO Response Force da 40 mila a 300 mila militari.

 

Il “Fianco Sud” resta marginale

E’ proprio su questo fronte della “guerra fredda a oltranza” che è possibile misurare il “nulla” espresso dagli europei nel summit di Madrid. Invece di porre il focus su proposte e interessi europei ci siamo limitati a seguire, dicendo sempre si, un’agenda scritta da altri.

Non è più possibile affidare gli interessi nazionali esclusivamente ad organismi sovranazionali che si sono rivelati negli ultimi anni inaffidabili se non pericolosamente deleteri per la nostra sicurezza. inoltre le cospicue dimensioni geografiche, economiche e militari dell’Italia dovrebbero consentirci di giocare un ruolo ben più incisivo di quello della comparsa consenziente, specie su questioni che minacciano di travolgerci come le tensioni nel Mediterraneo, la guerra in Ucraina e i rapporti con la Russia.

Per noi italiani, come per gli altri alleati meridionali, la totale irrilevanza è emersa chiaramente dall’assenza di attenzione per il cosiddetto “Fianco Sud” (se si esclude forse un generico richiamo alla “minaccia del terrorismo”), dove alla destabilizzazione di Nord Africa e Sahel, ai flussi migratori illegali, alle sfide del terrorismo si aggiungono i problemi e il criollo di credibilità di Francia e Ue nel Sahel e l’ennesima esplosione delle tensioni in Libia.

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Un disinteresse umiliante nei confronti delle nostre priorità non solo perché ribadisce chi siano i veri “padroni” della NATO e come possano indisturbati tracciarne le linee guida per tutti, ma soprattutto perché vede ingigantito il ruolo di alcuni più recenti membri dell’Alleanza il cui peso specifico reale è, o dovrebbe essere, decisamente inferiore a quello dell’Italia, quinto contributore dell’Alleanza Atlantica.

Nazioni come Polonia, Lettonia, Estonia e Lituania, il cui abnorme peso politico e militare negli indirizzi da attribuire alla NATO è cresciuto negli ultimi 8 anni a dismisura e deriva da un approccio a muso duro con la Russia che coincide con i desiderata di Londra e Washington, i quali infatti ne premiano l’iniziativa con l’invio di mezzi militari e con l’attribuzione di comandi e dislocamenti di forze alleate.

Da Madrid esce quindi una NATO che offre un’immagine di forza e compattezza ma in balia dei suoi maggiori azionisti a discapito degli interessi europei. Una NATO che vuole essere globale ma che forse è più debole che in passato perché i suoi stati membri sembrano poco disposti a vedere i propri soldati combattere e morire a differenza dell’epoca in cui si preoccupava di difendere l’Europa Occidentale dalla possibile invasione Sovietica.

 

La Russia “minaccia più significativa”

La NATO precisa nel documento finale del summit che “la Federazione Russa è la minaccia più significativa e diretta alla sicurezza degli Alleati e alla pace e stabilità nell’area euro-atlantica” ma non dimentica le sfide poste dalla Cina.

Il nuovo Concetto Strategico che stabilisce i compiti fondamentali nella deterrenza e difesa, prevenzione e gestione delle crisi e sicurezza cooperativa, si traduce nell’immediato in un’accelerazione delle forniture militari all’Ucraina ha l’obiettivo dichiarato di rendere le sue forze armate “standard NATO” per addestramento ed equipaggiamento: di fatto l’Ucraina sarà dipendente dal supporto NATO di cui nel concreto è già un “quasi-membro” anche se (per ora) senza ufficializzarne l’adesione.

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Del resto, giusto per non accendere nuovi focolai di tensioni e non mettere in allarme russi (e serbi, colpevoli di non aver aderito alle sanzioni a Mosca), la NATO a Madrid ha annunciato “nuove misure per rafforzare il sostegno a Bosnia-Erzegovina, Georgia e Moldova. Lavoreremo con loro per costruire la loro integrità e resilienza, sviluppare capacità e sostenere la loro indipendenza politica”.

Insomma, la NATO si impegna formalmente e all’unanimità a continuare a cercare grane con la Russia.

 

Caschi blu italiani in Ucraina?

A questo proposito non si può non sottolineare che il ministro della Difesa italiano, Lorenzo Guerini, in un’intervista rilasciata ieri a Repubblica, tracciando un bilancio ovviamente positivo del summit, ha ventilato un ipotetico ruolo dei militari italiani come “forza di pace” in caso di cessate il fuoco in Ucraina.

Alla domanda “se si arrivasse a un accordo in Ucraina siamo pronti a intervenire?” il ministro ha risposto: – “Non vedo altre possibilità che un intervento sotto l’egida dell’Onu. La decisione spetterà, ovviamente, al Parlamento. Quello che posso dire è che le nostre forze armate sono pronte ad assolvere i loro compiti, nel pieno dettato costituzionale”-.

Posto che domanda e risposta sembrano “non casuali” ma rispondenti a esigenze di politica interna (far balenare l’ipotesi di un ruolo “di pace” per l’Italia potrebbe ridurre le tensioni nella maggioranza sulle forniture di armi all’Ucraina), appare stupefacente che l’Italia possa da un lato insultare i massimi vertici politici di Mosca Icome ha fatto il nostro ministro degli Esteri), porre sanzioni alla Federazione Russa, fornire armi agli ucraini affinché ammazzino russi e ucraini filo-russi e poi ipotizzare di uscirne ”all’italiana” inviando caschi in un’eventuale forza d’interposizione nell’ambito di una missione rigorosamente “di pace”.

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La proposta italiana appare al momento una boutade a uso interno ma se un simile scenario dovesse concretizzarsi è immaginabile che l’ONU scelga i contingenti per una forza d’interposizione in Ucraina tra le oltre 150 nazioni che non hanno inviato armi a Kiev e non hanno applicato sanzioni a Mosca e che non sono stati inseriti dalla Russia nella lista delle “nazioni ostili”.

Le opportunità in tal senso non mancherebbero poiché queste due condizioni sono comuni a quasi tutto il mondo con l’esclusione di quasi tutti i paesi europei, USA, Canada, Giappone, Australia e Nuova Zelanda.

Come abbiamo rilevato fin dall’inizio dell0’intervento militare russo in Ucraina, l’Italia avrebbe avuto l’opportunità di ricoprire un importante ruolo diplomatico, di mediazione che avrebbe potuto includere anche l’invio di forze di interposizione in caso di cessate il fuoco.

Per farlo Roma avrebbe semplicemente dovuto evitare, come hanno fatto alcuni stati membri della NATO,  di inviare armi all’Ucraina (che peraltro non hanno cambiato il corso della guerra), senza rinunciare al suo tradizionale ruolo di “ponte” tra Russia e Occidente

@GianandreaGaian

Foto NATO e Difesa.it

 

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Giornalista bolognese, laureato in Storia Contemporanea, dal 1988 si occupa di analisi storico-strategiche, studio dei conflitti e reportage dai teatri di guerra. Dal 1991 al 2014 ha seguito sul campo i conflitti nei Balcani, Somalia, Iraq, Afghanistan, Sahara Occidentale, Mozambico e Sahel. Dal febbraio 2000 dirige Analisi Difesa. Ha collaborato o collabora con quotidiani e settimanali, università e istituti di formazione militari ed è opinionista per reti TV e radiofoniche. Ha scritto diversi libri tra cui "Iraq Afghanistan, guerre di pace italiane", “Immigrazione, la grande farsa umanitaria” e "L'ultima guerra contro l’Europa". Presso il Ministero dell’Interno ha ricoperto dal 2018 l’incarico di Consigliere per le politiche di sicurezza di due ministri e un sottosegretario.

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