I “porti chiusi” sono un successo e i migranti vanno in Libia per lavorare

L’Europa celebra la “capitana“ tedesca della Sea Watch, Carola Rackete, che ha sbarcato clandestini in Italia speronando una motovedetta della Guardia di Finanza violando le leggi di uno Stato sovrano membro dell’Unione. L’eroina viene celebrata ovunque, convocandola presso la Commissione Ue manco fosse la baby-star ambientalista Greta, premiandola con la massima onorificenza del comune di Parigi o addirittura proponendola per il premio Nobel per la Pace.

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Tutte testimonianze dirette non tanto dell’affetto nei confronti della “capitana” e della sua causa (se fosse arrivata in un porto tedesco, francese o spagnolo l’avrebbero arrestata o pesantemente multata), quanto dell’ostilità della Ue e dei leader di molti paesi che ci ostiniamo a chiamare partner nei confronti dell’Italia e del suo governo.

Un’ostilità certo diffusa anche in Italia un po’ per ragioni ideologiche, un po’ perchè la Penisola ha sempre dovuto fare i conti nella sua storia con una massiccia presenza di servi dello straniero ma soprattutto perché la politica dei “porti chiusi” funziona così bene che il business delle coop e Caritas sta andando a rotoli dopo anni di vacche grasse garantite dai governi di centro-sinistra.

 

Stop agli sbarchi: un successo senza precedenti

Al 15 luglio sono sbarcati quest’anno in Italia 3.186 immigrati illegali contro i 17.374 sbarcati alla stessa data l’anno scorso (meno 81,66%) e i 73.380 sbarcati dal primo gennaio al 27 giugno del 2017 (meno 95,7%).

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Un successo senza se e senza ma, certificato dal Ministero dell’Interno che diventa ancora più concreto se si considera che dei clandestini giunti quest’anno via mare in Italia solo 909 sono arrivati dalla Libia (1.021 dalla Tunisia, 747 dalla Turchia, 311 dall’ Algeria e 197 dalla Grecia) e di questi un terzo è stato portato in Italia dalle Ong.

Quindi dei 641 mila migranti presenti in Libia certificati dall’ultimo rapporto dell’Organizzazione internazionale delle Migrazioni (OIM) appena in 5mila hanno cercato di raggiungere l’Italia dall’inizio dell’anno: meno di mille ce l’hanno fatta mentre altri 4mila sono stati raccolti in mare e riportati indietro dalla Guardia costiera libica.

Libya Coast Guard

Di fatto se su 641 mila migranti presenti in Libia in appena 5mila o poco pià hanno tentato la traversata negli ultimni sette mesi (e in meno di mille sono riusciti a compierla anche a causa delle navi delle Ong) significa che i traffici di esseri umani dalla nostra ex colonia hanno subito in colpo durissimo.

Difficile spacciare per allarmistici dati che in realtà sono eccezionali nella loro positività. Indicano che dalla Libia le partenze sono sempre meno e i successi dei trafficanti sempre più scarsi grazie alle forze navali libiche appoggiate, addestrate ed equipaggiate dagli italiani.

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I dati dimostrano anche che lo sforzo delle Ong e dei loro sponsor finanziari, politici ed ecclesiastici per far riaprire i porti italiani si è rivelato un flop totale.

Un numero così basso di arrivi dalla Libia non ha precedenti mentre in termini assoluti un numero così limitato di sbarchi dal mare (peraltro di persone in gran parte già destinate al rimpatrio) non si registrava probabilmente da prima che prendessero il via i flussi illegali dall’Albania all’inizio degli anni ’90. Negli ultimi dieci anni solo il 2010 registrò numeri simili, con appena 4.406 clandestini sbarcati.

Certo resta molto da fare nella cooperazione con Tunisia, Algeria e Turchia per chiudere i flussi da quelle coste così come dovramnno essere messi a punto accordi per i rimpatri con diversi i paesi di provenienza dei clandestini ma il successo conseguito in appena 12 mesi è indiscutibile.

Meglio infatti ricordare un po’ di dati del recente passato per guardare nella giusta prospettiva i risultati della politica attuata nell’ultimo anno dall’iniziativa del Ministero dell’Interno.

IFRONTEX

Nel 2002, col governo Berlusconi, gli immigrati illegali sbarcati in Italia furono 23.719, nel 2003 scesero a 14.331, nel 2004 scesero ancora a 13.635 mentre nel 2005 salirono a 22.939 e nel 2006 diminuirono di poco a 22.016.

Nel 2007, col governo Prodi, gli sbarchi furono 20.455 ma nel 2008 salirono a 36.951 per poi scendere col governo Berlusconi a 9.573 nel 2009 e a 4.406 nel 2010.

Un trend sovvertito nel 2011 dalla guerra in Libia con 64.261 sbarcati in Italia scesi a 13.267 nel 2012.

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Giusto per ricordare come andavano le cose in tempi più recenti coi governi dichiaratamente “immigrazionisti” di Enrico Letta, Matteo Renzi e Paolo Gentiloni, nel 2013 (anno in cui fu varata l’operazione di soccorso Mare Nostrum) sbarcarono in 42.925 che salirono a 170 mila nel 2014, 153mila nel 2015 fino al record di 181 mila sbarcati nel 2016 mentre nel 2017 (anno in cui il ministro Marco Minniti tentò da luglio in poi di ridurre i flussi e limitare le Ong) sbarcarono in Italia 120 mila clandestini.

Neppure le “cabale” degli ultimi mesi sono servite a invertire la tendenza positiva nei flussi migratori impressa dalla politica dei “porti chiusi”.  Eppure in molti, anche all’interno del governo italiano, evocano da tempo la battaglia per Tripoli come fattore che idoneo a scatenare nuovi flussi verso l’Italia, che però finora non ci sono stati, probabilmente col rammarico di molti.

In questo contesto in cui ideologia, malafede e interessi diffusi inducono molti a nascondere il successo conseguito nella lotta all’immigrazione illegale, non stupisce che i dati dell’ultimo rapporto dell’Organizzazione internazionale per le migrazioni (Oim) circa la presenza di migranti in Libia non abbiano suscitato né l’interesse né le deduzioni che avrebbero meritato.

 

In Libia per lavorare

Dalla 25a edizione del Displacement Tracking Matrix (Dtm) dell’Oim emerge che sono almeno 641.398 i migranti presenti attualmente in Libia. La ricerca potrebbe non essere completa ma di certo va molto vicino ad esserlo perché è stata effettuata setacciando tutti i comuni libici. Un dato che almeno ci conforta sul fatto che la Libia è un paese sicuro, forse non per i tecnici della Farnesina ma almeno per i team dell’OIM che lo hanno attraversato in lungo e in largo.

Libia COAST GUARD AFP

I migranti provengono da oltre 39 Paesi diversi e risultano presenti in tutti i 100 comuni libici, distribuiti in 565 delle 667 comunità della Libia. Il 9% è rappresentato da minori (circa 58mila), di cui il 34% non accompagnati. Tra gli adulti vi sono circa 84mila donne, il 13% del totale contro un 87% di uomini.

Il 65% di queste persone proviene dall’Africa sub-sahariana, il 29% dal Nord Africa e il 6% da Paesi asiatici o mediorientali.

Come è sempre accaduto nella storia dell’immigrazione in Libia, fin dai tempi di Muammar Gheddafi, Il Paese di maggior provenienza è il Niger, con il 21% delle persone identificate, seguito da Egitto e Ciad (15% ciascuno), Sudan (11%) e Nigeria (9%).

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Il 20% dei migranti risiede nell’ area di Tripoli, l’11% in quella di Agedabia e il 9% in quella di Murzuq: un dato rivelatore che i migranti sono andati in Libia essenzialmente per lavorare nel paese nordafricano, non per raggiungere illegalmente l’Italia.

Le aree di Tripoli ma anche quelle petrolifere di Agedabia (Golfo della Sirte) e Muzruq offrono infatti molte opportunità di lavoro, ma non sono certo idonee a prendere il primo gommone in partenza per Lampedusa.

Il dato forse più rilevante riguarda però l’alloggio di questi migranti: il 57% dei migranti vive in locali affittati a proprie spese, il 12% in campi informali, il 10% in abitazioni pagate da datori di lavoro, l’8% vive sul posto di lavoro mentre i rimanenti vivono in alloggi pagati da altre persone e appena in 4mila vivono in edifici pubblici e in 12 mila in case abbandonate.

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E i “lager” libici per migranti? Nel rapporto  si parla di centri di detenzione in cui Tripoli mette i migranti illegali recuperati in mare dalle motovedette libiche e che ospiterebbero oggi  5/6 mila persone: campi che vedono peraltro la fitta presenza di Ong e agenzie dell’Onu inclusa l’OIM che in un anno mezzo ha già rimpatriato da questi centri con aerei decollati dall’aeroporto di Mitiga oltre 40 mila clandestini.

Se i migranti affittano case appena possono permetterselo significa che oggi la stragrande maggioranza di coloro che sono in Libia non punta certo a venire in Italia: lo dice chiaramente non solo la loro distribuzione sul territorio ma anche la condizione abitativa di gran parte di queste persone.

I dati confermano quindi indirettamente il grande successo dell’Italia e della politica dell’attuale governo che in un anno ha scoraggiato in modo decisivo anche le partenze dal Sahel verso la Libia di chi puntasse a giungere illegalmente in Europa sottraendo così clienti e business ai trafficanti.

 

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Per questo appare esagerata l’espressione del premier Giuseppe Conte, per il quale in Libia è in corso “una guerra civile”, come ha detto il 12 luglio commentando gli scontri intorno a Tripoli tra le forze del generale Khalifa Haftar e quelle fedeli al governo di Fayez al-Sarraj, aggiungendo che sull’Italia pende pertanto un’enorme spada di Damocle rappresentata dalla massa di migranti registrata dall’OIM.

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“La crisi umanitaria è alle porte e già i numeri delle vittime, dei morti e degli sfollati sono molto rilevanti. Io continuerò a premere costantemente e con la massima determinazione presso la comunità internazionale perchè possa recuperare l’unità e la determinazione di imporre agli attori libici il cessate il fuoco e la prospettiva di una soluzione politica. Io invito Al Serraj ad assumersi la responsabilità perchè la crisi umanitaria e situazioni difficili non esplodano in tutta la loro ampiezza”.

Un allarmismo eccessivo non solo perché in tre mesi di scontri non si sono registrati impatti considerevoli sull’immigrazione illegale ma soprattutto perché da inizio aprile lo scontro tra milizie è rimasto tale, senza diventare una “guerra civile”.

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In tre mesi e mezzo i morti sono stati circa 1.050 e i feriti 5.500, dei quali solo un 10% civili, mentre il dato più indicativo riguarda gli oltre 100 mila sfollati, cittadini libici che hanno dovuto lasciare le aree periferiche di Tripoli interessate dai combattimento per cercare asilo temporaneo in campi attrezzati, presso amici o parenti o in Tunisia, dove solitamente i libici vivono in hotel e centri turistici.

A onor del vero anche le spiagge di Tripoli, lontane dalle imitate aree di battaglia, risultano in questi giorni affollate di bagnanti. Per questo appare singolare che a Roma si evochino da tempo catastrofici flussi migratori su vasta scala in un momento in cui neppure i profughi libici (di cui Italia ed Europa peraltro si disinteressano, preoccupate solo da poche migliaia di migranti  nei centri di detenzione) cercano di fuggire dal paese.

Inoltre tutti i riscontri di organismi tecnici e militari riferiscono che per nuovi flussi su vasta scala i trafficanti non disporrebbero neppure di barchini e gommoni a sufficienza.

@GianandreaGaian

Foto: Twitter, Marina Militare, Ministero dell’Interno, Frontex. Guardia Costiera Libica e AFP

 

 

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Giornalista bolognese, laureato in Storia Contemporanea, dal 1988 si occupa di analisi storico-strategiche, studio dei conflitti e reportage dai teatri di guerra. Dal 1991 al 2014 ha seguito sul campo i conflitti nei Balcani, Somalia, Iraq, Afghanistan, Sahara Occidentale, Mozambico e Sahel. Dal febbraio 2000 dirige Analisi Difesa. Ha collaborato o collabora con quotidiani e settimanali, università e istituti di formazione militari ed è opinionista per reti TV e radiofoniche. Ha scritto diversi libri tra cui "Iraq Afghanistan, guerre di pace italiane", “Immigrazione, la grande farsa umanitaria” e "L'ultima guerra contro l’Europa". Presso il Ministero dell’Interno ha ricoperto dal 2018 l’incarico di Consigliere per le politiche di sicurezza di due ministri e un sottosegretario.

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