Quel che resta dell’Europa se avanza l’asse franco-tedesco

da Il Messaggero del 28 luglio 2017

Libia, industria, difesa e migranti: Emmanuel Macron gioca a tutto campo per ritagliare a sé stesso e alla Francia un rinnovato ruolo di leadership in Europa.

Una politica ardita giocata su più tavoli. Macron strizza l’occhio a Donald Trump, nemico dichiarato della Germania ancor di più quanto lo fosse Barack Obama, invitandolo alle celebrazioni del 14 luglio. Il giorno prima il presidente francese aveva però annunciato congiuntamente ad Angela Merkel il varo del progetto per costruire un aereo da combattimento di quinta generazione. Potremmo definirlo, per semplificare, l’F-35 europeo. Anzi, franco-tedesco perché né gli italiani né altri partner dell’Unione erano stati informati dell’iniziativa. Tranne forse gli spagnoli, la cui industria è già strettamente integrata con quella francese e tedesca.

Parigi sembra quindi puntare su Washington per rinverdire la grandeur nel Mediterraneo e in Africa e sul tradizionale asse franco-tedesco per mantenere la leadership militare e nell’industria della Difesa in Europa.

Difficile credere che l’iniziativa diplomatica in Libia che ha portato al vertice tra Fayez al-Sarraj e il generale Khalifa Haftar non sia stata preparata con il supporto di Washington oltre che degli Emirati Arabi Uniti, alleati di ferro di Francia e USA oltre che sponsor di Haftar. Ipotesi che spiegherebbe anche perché al-Sarraj, uscito indebolito dal vertice di La Celle Saint Cloud, il giorno successivo sia venuto a Roma a chiedere la presenza navale italiana nelle acque libiche.

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Un Macron spregiudicato, che ha ringraziato l’Italia per il suo ruolo negando contrasti con Roma sul dossier libico, ma poi ha annunciato la prossima apertura unilaterale di hot-spot in Libia per valutare lo status dei richiedenti asilo e, lo tesso giorno, la temporanea nazionalizzazione dei cantieri STX che dovevano passare sotto il controllo di Fincantieri.

A causa della decisione francese, e forse non casualmente, il colosso italiano della cantieristica ha registrato ieri uno scivolone borsistico proprio quando gli ottimi risultati del bilancio semestrale spingevano il titolo al rialzo.

E’ chiaro che l’Italia rischia di pagare il prezzo più alto per le iniziative di Macron in termini di aspirazioni politiche, geostrategiche e industriali. Pronto a sgomitare per aumentare il suo margine di manovra con “vasi di ferro” quali Stati Uniti e Germania, Macron ha gioco facile a colpire duramente il “vaso di terracotta” Italia.

Non c’era bisogno del nuovo inquilino dell’Eliseo per essere consapevoli che i nostri cosiddetti partner e alleati sono in realtà i nostri più agguerriti competitor ma è evidente che Macron sta accelerando i tempi su diversi fronti per mettere all’angolo l’Italia stroncandone le aspirazioni di terza potenza europea coltivate dopo il Brexit.

L’iniziativa diplomatica in Libia punta a sottrarre all’Italia il ruolo di interlocutore privilegiato nella sua ex colonia così come l’apertura di hot -spot francesi (tutta da chiarire) sembra costituire la risposta allo schieramento di forze militari italiane nelle acque e sulle coste libiche chiesta da al-Sarraj.

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Anche un centro di raccolta per migranti, nel caos che regna in Libia, ha bisogno di sicurezza e l’hot spot potrebbe essere una buona scusa per Parigi per schierare truppe in Tripolitania e insidiare il primato italiano.

L’atteggiamento assunto sulla vicenda dei cantieri STX non è solo scorretto (l’accordo era già stato chiuso da Hollande) ma è offensivo poiché la nazionalizzazione non è mai stata invocata quando la maggioranza azionaria era sudcoreana ma viene attuata oggi per scongiurare il controllo dell’Italia dove peraltro le aziende francesi hanno sempre potuto muoversi liberamente in termini di acquisizioni e fusioni.

Al di là delle (auspicabili) “rappresaglie” di Roma le iniziative di Macron rischiano di distruggere molti degli obiettivi che l’Europa sembrava sul punto di conseguire. L’affaire STX crea una frattura politica e tra le due cantieristiche che hanno realizzato insieme nel Consorzio Orizzonte, superando molte difficoltà, le più moderne navi da guerre europee (i caccia Orizzonte e le fregate Fremm).

Il rischio è che l’arroganza ostentata da Macron faccia saltare quel poco che l’Europa è riuscita a fare nel settore della difesa comune, e cioè una buona integrazione degli apparati industriali con società multinazionali come MBDA  (italo-franco-britannica-tedesca secondo produttore mondiale di missili) o i consorzi MRCA e d Eurofighter che hanno prodotto il bombardiere Tornado e il caccia Typhoon solo per citare gli esempi più rilevanti.

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Per l’Italia la posta in gioco è vitale su tutti i fronti: rischiamo di scivolare nell’irrilevanza come potenza mediterranea e di venire tagliati fuori dai futuri programmi militari hi-tech come quello del nuovo aereo da combattimento annunciato da Merkel-Macron.

Roma certo paga la scelta di acquisire l’aereo statunitense di quinta generazione F-35 (Berlino e Parigi non lo hanno comprato), che espone la Difesa a costi in crescita e non ancora quantificabili e si è rivelato fallimentare per l’industria, con ricadute tecnologiche insignificanti e compensazioni così scarse che i posti di lavoro stimati sono stati rivisti ottimisticamente a 3.600 invece dei 10 mila preannunciati.

Da un lato interessi e priorità nazionali dei singoli partner impediscono di costituire forze armate europee limitando le aspirazioni a forze multinazionali costituite per perseguire obiettivi condivisi.

Dall’altro l’Italia ricopre un ruolo troppo debole in termini finanziari (il nostro bilancio per le forze armate è di 13 miliardi contro gli oltre 30 di Francia e Germania) per trainare nei fatti il rilancio del progetto di difesa comune e aderire a nuovi programmi con adeguate risorse per la ricerca e sviluppo di nuove tecnologie.

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Di questo passo il rischio è di perdere quote di mercato fino a chiudere gli stabilimenti o cedere le aziende ai concorrenti europei e americani.

Al contrario, dove le aziende italiane sono ricche e vincenti, come nel caso di Fincantieri, vengono riesumati persino i muri delle nazionalizzazioni per impedirne l’affermazione in Europa.

Escludere l’Italia per rafforzare la leadership franco-tedesca sarebbe però un errore per tutti perché significherebbe sostituire il progetto europeo con quello di un’egemonia continentale relegata all’asse Parigi-Berlino (finché durerà).

Un progetto a corto respiro che raccoglierebbe pochi entusiasmi specie in Mitteleuropa e nell’Est dove il malcontento nei confronti di questa Unione europea non ha certo bisogno di essere esaltato.

Foto: AFP, Ansa e EPA

Gianandrea GaianiVedi tutti gli articoli

Giornalista bolognese, laureato in Storia Contemporanea, dal 1988 si occupa di analisi storico-strategiche, studio dei conflitti e reportage dai teatri di guerra. Dal 1991 al 2014 ha seguito sul campo i conflitti nei Balcani, Somalia, Iraq, Afghanistan, Sahara Occidentale, Mozambico e Sahel. Dal febbraio 2000 dirige Analisi Difesa. Ha collaborato o collabora con quotidiani e settimanali, università e istituti di formazione militari ed è opinionista per reti TV e radiofoniche. Ha scritto diversi libri tra cui "Iraq Afghanistan, guerre di pace italiane", “Immigrazione, la grande farsa umanitaria” e "L'ultima guerra contro l’Europa". Presso il Ministero dell’Interno ha ricoperto dal 2018 l’incarico di Consigliere per le politiche di sicurezza di due ministri e un sottosegretario.

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