Per paura di Erdogan i curdi siriani si buttano tra le braccia di Assad

Quasi orfani degli americani, che ritireranno presto i 2mila militari che li hanno affiancati negli ultimi due anni, i curdi di Siria devono farsi “proteggere” da Bashar Assad per non finire tra le fauci di Erdogan.

La minaccia turca di attaccare Manbji, roccaforte curda a ovest dell’Eufrate, con una battaglia che avrebbe inevitabilmente bissato il successo di Ankara conseguito nei mesi scorsi ad Afrin, è stata scongiurata dalle milizie di Difesa Popolare curda (YPG) con una mossa a sorpresa anche se di fatto senza alternative.

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Il ritiro delle truppe Usa dalla Siria (anche se ancora non sono noti i piani e i tempi del ripiegamento) ha infatti costretto i curdi a riturarsi dal confine turco nel settore di Manbji “invitando” l’esercito siriano a schierarsi intorno alla città (dove ancora è presente una base delle forze speciali americane) e lungo la frontiera turca.

E’ il segnale inequivocabile di un cambio di alleanze, conseguenza del ritiro Usa, in cui i curdi devono masticare amaro rinunciando ai sogni di indipendenza ed espansione cullati grazie alla presenza militare statunitense che ha permesso loro di espandersi, con la motivazione di combattere lo Stato islamico, fino a controllare quasi un terzo del territorio siriano: aree orientali in buona parte poco abitate ma ricche di gas e petrolio.

Dopo aver rifiutato l’anno scorso la proposta di Damasco di ottenere un’ampia autonomia regionale restituendo però al governo siriano i vasti territori occupati al di fuori della regione curda del Rojava (Assad definì i curdi “traditori”), ora le milizie del YPG fedeli al Partito democratico Curdo (PYD) hanno dovuto spalancare le porte di Manbji a un reggimento della Guardia Repubblicana di Assad.

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Centinaia di soldati dell’esercito regolare sono penetrati nell’enclave curda da Aleppo e hanno issato la bandiera siriana. L’YPG, annunciando il ritiro delle sue forze dalla zona, ha dovuto chiedere al presidente Assad di farsi carico della sicurezza del territorio, della città e dei confini riconoscendo di fatto la sovranità di Damasco sulla regione.

La Russia ha subito offerto il suo appoggio al riavvicinamento tra curdi e Damasco: Mosca ha definito “positivo” l’ingresso dell’esercito siriano. “Di certo, aiuterà a stabilizzare la situazione”, ha commentato il portavoce del Cremlino, Dmitri Peskov, “l’ampliamento della zona sotto il controllo delle forze governative è senza dubbio un trend positivo”.

Le truppe di Assad faranno quindi da scudo all’ offensiva che la Turchia prepara da giorni, ammassando truppe e blindati al confine e spingendo all’ avanzata le milizie sue alleate dell’Esercito Siriano Libero?

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Probabilmente non ce ne sarà bisogno poiché il consueto linguaggio bellicoso contro i “terroristi” curdi cui ci ha abituato il presidente Recep Tayyp Erdogan, era già stato sostituito il 28 dicembre dall’apertura a una svolta concordata con Mosca e Damasco.

Se a caldo il ministero della Difesa turco aveva reso noto che le milizie curde dell’Ypg non hanno alcuna autorità per “invitare altri elementi” nelle zone sotto il loro controllo nel nord-est della Siria, Erdogan aveva dichiarato che la Turchia non avrà più necessità di intervenire a Manbij una volta che le “organizzazioni terroristiche” avranno lasciato la città.

Ieri a Mosca russi e turchi sembrano aver trovato un’intesa che scongiuri l’attacco di Ankara e lasciando alle truppe siriane l’onere di impedire che i curdi possano costituire una minaccia per la Turchia.

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Di fatto Assad (e Putin) offrono a Erdogan le garanzie necessarie in base a un’intesa la cui complessità è dimostrata ance dal fatto che al summit di Mosca  dei ministri degli Esteri e della Difesa di Russia e Turchia erano presenti anche i capi dell’ intelligence militare russa (Gru), vice ammiraglio Igor Kostiukov, dei servizi segreti all’ estero (Svr), Serghiei Narishkin, il capo di Stato maggiore delle forze armate russe, Valeri Gherasimov, e il capo dell’ intelligence turca (Mit) Hakan Fidan.

Gli sviluppi curdi cementano qui di il successo di Assad e dei suoi alleati russi e iraniani. Le truppe governative controllano già più del 60’% del territorio nazionale, abitato dai tre quarti della popolazione nazionale, e probabilmente si estenderanno presto (ma non prima del ritiro delle truppe Usa) lungo tutta la frontiera turca e nel sud est del paese oggi presidiato dai curdi.

Un’ulteriore vittoria per Assad che in questi giorni ha incassato anche successi diplomatici. Riapriranno infatti presto a Damasco le ambasciate degli Emirati Arabi Uniti e del Bahrein, monarchie del Golfo che negli ultimi sette anni hanno sostenuto i ribelli anti governativi interrompendo i rapporti con Damasco.

@GianandreaGaian

da Nuova Bussola Quotidiana

Foto SANA, Twitter e Anadolu

 

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Giornalista bolognese, laureato in Storia Contemporanea, dal 1988 si occupa di analisi storico-strategiche, studio dei conflitti e reportage dai teatri di guerra. Dal 1991 al 2014 ha seguito sul campo i conflitti nei Balcani, Somalia, Iraq, Afghanistan, Sahara Occidentale, Mozambico e Sahel. Dal febbraio 2000 dirige Analisi Difesa. Ha collaborato o collabora con quotidiani e settimanali, università e istituti di formazione militari ed è opinionista per reti TV e radiofoniche. Ha scritto diversi libri tra cui "Iraq Afghanistan, guerre di pace italiane", “Immigrazione, la grande farsa umanitaria” e "L'ultima guerra contro l’Europa". Presso il Ministero dell’Interno ha ricoperto dal 2018 l’incarico di Consigliere per le politiche di sicurezza di due ministri e un sottosegretario.

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