I raid anglo-americani contro gli Houthi nello Yemen

 

(Aggiornato alle ore 23,55)

Forze aeree e navali statunitensi e britanniche hanno colpito nelle prime ore del 12 gennaio circa 60 obiettivi (aeroporti, porti, depositi di armi, centri di comando, basi di lancio per droni e missili,) in almeno 16 siti dello Yemen controllati dalle milizie Houthi nelle regioni costiera di Hodeida, in quelle di Sa’da e Taiz e nei pressi della capitale Sanaa.

Secondo quanto riferito da fonti britanniche e dello US Central Command sarebbero stati impiegati un centinaio di ordigni tra cui:

  • bombe guidate Paveway IV impiegate dai velivoli da combattimento Typhoon FGR4 della RAF britannica decollati dalla base cipriota di Akrotiry e riforniti in volo da un tanker Airbus Voyager (hanno colpito la base di Bani, nel nord ovest dello Yemen, utilizzata per il lancio di droni e l’aeroporto di Abbs impiegato per il lancio di missili e droni)
  • missili da crociera Tomahawk lanciati da cacciatorpediniere statunitensi classe Arleigh Burke e dal sottomarino USS Florida
  • missili antiradar vAGM 88 HARM e bombe  JDAM impiegate dagli aerei da guerra elettronica EA-18G Growler e gli aerei da combattimento F/A-18 Super Hornet decollati dalla portaerei USS Eisenhower.

Dalla base di al-Udeid (Qatar) sono stati utilizzati aerei da pattugliamento marittimo P-8 Poseidon e da ricognizione strategica RC-135 Rivet Joint.

Altre fonti militari statunitensi riferiscono di una trentina di 30 obiettivi colpiti utilizzando più’ di 150 missili e bombe a cui gli Houthi hanno risposto lanciando almeno un missile antinave contro la flotta anglo-americana.

Il Comando Centrale degli Stati Uniti (CENTCOM) ha descritto gli attacchi come un successo. “Riteniamo i miliziani Houthi e i loro destabilizzanti sponsor iraniani responsabili degli attacchi illegali, indiscriminati e sconsiderati alle navi internazionali che hanno avuto finora un impatto su 55 nazioni, mettendo in pericolo la vita di centinaia di marinai, statunitensi compresi”, ha affermato il generale Michael Erik Kurilla, comandante del CENTCOM (nella foto sotto),

“Oggi, sotto la mia direzione, le forze militari statunitensi – insieme al Regno Unito e con il sostegno di Australia, Bahrein, Canada e Paesi Bassi – hanno condotto con successo attacchi contro una serie di obiettivi nello Yemen utilizzati dai ribelli Houthi” ha detto il presidente statunitense Joe Biden in una dichiarazione.

Una settimana or sono la Casa Bianca aveva lanciato un avvertimento agli Houthi affinché cessassero gli attacchi. “Restiamo impegnati con i nostri partner chiave del Medio Oriente per la difesa dai gruppi armati sostenuti dall’Iran, compresi i miliziani Houthi e dalla minaccia che pongono alla sicurezza e alla stabilità regionale”, ha detto il generale Alex Grynkewich, comandante della componente aerea del CENTCOM.

A Londra il segretario di Stato per la Difesa, Grant Shapps, ha reso noto che 4 Typhoon della Royal Air Force hanno condotto “attacchi di precisione” su obiettivi militari Houthi: “questa azione non solo era necessaria, ma era anche nostro dovere proteggere le navi e la libertà di navigazione” alla luce della grande minaccia per “vite innocenti e commercio globale” rappresentata dagli attacchi Houthi nel Mar Rosso.

Per il ministro degli Esteri britannico, David Cameron “la sicurezza delle navi del Regno Unito e la libertà di navigazione attraverso il Mar Rosso sono fondamentali ed è per questo che stiamo intervenendo. Come ha chiarito il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, gli Houthi devono fermare gli attacchi nel Mar Rosso”.  il primo ministro britannico Rishi Sunak, in visita a Kiev, ha detto che il Regno Unito deve inviare un “segnale forte” e che gli attacchi dei ribelli Houthi nel Mar Rosso sono sbagliati e non possono essere effettuati “impunemente”.

 

Le reazioni

“Il nostro Paese è stato sottoposto a un massiccio attacco aggressivo da parte di navi, sottomarini e aerei da guerra americani e britannici. L’America e la Gran Bretagna dovranno essere pronte a pagare un prezzo pesante e a sopportare tutte le terribili conseguenze di questa palese aggressione” ha detto il viceministro degli Esteri degli Houthi, Hussein al-Ezzi in una dichiarazione alla televisione Al Masirah.

I bombardamenti degli Stati Uniti e del Regno Unito “non dissuaderanno il gruppo dall’attaccare le navi legate a Israele nel Mar Rosso” ha dichiarato oggi Mohammad Abdulsalam, portavoce degli Houthi su X, aggiungendo che nulla può giustificare la “perfida aggressione”.

Secondo un portavoce del ministero degli Esteri di Teheran, Nasser Kanani, i raid sono “una evidente violazione della sovranità e dell’integrità territoriale dello Yemen” e del diritto internazionale. Questi attacchi “arbitrari”, sottolinea ancora, “faranno solo che aumentare l’insicurezza e l’instabilità nella regione. Mentre il regime sionista continua a compiere i suoi crimini di guerra e attacchi nella Striscia di Gaza e in Cisgiordania, gli Stati Uniti e la Gran Bretagna stanno cercando di ampliare il loro sostegno al regime sionista”.

A seguito dei bombardamenti la rappresentanza permanente della Russia all’ONU ha chiesto una riunione d’urgenza del Consiglio di Sicurezza.  Mosca ha condannato gli attacchi denunciando un’azione che porta ad una “escalation” e che ha “obiettivi distruttivi”. “Gli attacchi statunitensi nello Yemen sono un nuovo esempio della distorsione da parte degli anglosassoni delle risoluzioni del Consiglio di sicurezza dell’Onu e del totale disprezzo del diritto internazionale in nome di un’escalation nella regione per raggiungere i loro obiettivi distruttivi”, ha scritto su Telegram la portavoce del ministero degli Esteri russo. Maria Zakharova.

Sergei Lavrov, ministro degli Esteri di Mosca, “condanna fermamente queste azioni irresponsabili” e aggiunge che “un’escalation militare nella regione del Mar Rosso potrebbe provocare una destabilizzazione della situazione in tutto il Medio Oriente”.

Anche la Cina ha espresso preoccupazione per l’aumento delle tensioni nel Mar Rosso dopo gli attacchi aerei condotti dagli Stati Uniti e dal Regno Unito, come ha dichiarato la portavoce del ministero degli Esteri di Pechino, Mao Ning, nella conferenza stampa odierna. Mao ha invitato le parti interessate a “mantenere la calma e a dare prova di moderazione per evitare l’espansione del conflitto”.

Preoccupazioni e dichiarazioni simili a quelle che giungono dal mondo arabo e soprattutto da Riad, che sta per firmare un accordio di pace con gli Houthi mettendo così fine alla guerra nello Yemen in corso dal 2015. “Il Regno dell’Arabia Saudita segue con grande preoccupazione le operazioni militari in corso nella regione del Mar Rosso e gli attacchi aerei su una serie di siti nella Repubblica dello Yemen”, si legge nella nota del ministero degli Esteri che invita “all’autocontrollo e ad evitare un’escalation”. La dichiarazione sottolinea “l’importanza di mantenere la sicurezza e la stabilità della regione del Mar Rosso, dove la libertà di navigazione è fondamentale”.

L’Egitto ha espresso preoccupazione per l’escalation delle operazioni militari nella regione del Mar Rosso e per gli attacchi aerei diretti su una serie obiettivi in Yemen, secondo quanto riferito da un comunicato stampa del ministero degli Esteri mentre l’Algeria ha descritto i bombardamenti in Yemen come una “pericolosa escalation” che potrebbe “minare gli sforzi delle Nazioni unite per trovare una soluzione al conflitto nel Paese”.  Un comunicato del ministero degli Esteri algerino pubblicato in serata su Facebook sottolinea che “la questione della sicurezza nel Mar Rosso non può essere affrontata ignorando il chiaro legame che tutti vedono tra gli attacchi degli Houthi alle navi commerciali e i massacri commessi dall’occupazione sionista nella Striscia di Gaza negli ultimi tre mesi”.

Dure le parole del presidente turco, Recep Erdogan, secondo cui Usa e Gran Bretagna “hanno intenzione di far diventare il Mar Rosso un mare di sangue”. Il presidente turco parla di “azione sproporzionata” “dinanzi alla quale anche l’Iran si vorrà difendere.

Gli Houthi comunque continueranno a rispondere con tutte le forze che hanno e abbiamo le nostre fonti che ci dicono che hanno risposto e risponderanno agli attacchi” ha continuato.

L’Unione europea sta mettendo a punto un piano per inviare nelle acque del Mar Rosso una forza navale composta da 3 cacciatorpediniere/fregate antiaeree per proteggere la navigazione.

Il ministro degli Esteri, Antonio Tajani, ha ribadito l’impegno dell’Italia a “garantire la libertà di navigazione nel Mar Rosso: partecipiamo alla missione europea Atlanta e chiederemo anche che questa missione possa avere competenze più larghe oppure dar vita addirittura ad una nuova missione europea per garantire la libera circolazione delle merci”. Tajani ha giustificato l’assenza dell’Italia dalle operazioni contro gli Houthi spiegando che “la Costituzione non permette di agire in azione di guerra senza un dibattito e un voto del Parlamento”.

 

Conseguenze
Gli attacchi di Usa e Gran Bretagna in Yemen hanno causato “la morte di cinque combattenti Ansar Allah e il ferimento di altri sei” secondo il portavoce Houthi Muhammad Abdul Salam, il quale ha riferito di 73 incursioni anglo-americane sul territorio yemenita che “non resteranno senza risposta”, afferma il portavoce Houthi.

Londra ha fatto sapere che non sta pianificando ulteriori imminenti missioni per colpire obiettivi militari Houthi nello Yemen, Il ministro delle Forze armate britanniche James Heappey ha riferito che “non ce ne sono immediatamente pianificate, e questo è un punto importante. Quella di ieri sera è stata una risposta limitata, proporzionata e necessaria”.

Il portavoce del Consiglio di sicurezza nazionale di Washington, John Kirby, ha dichiarato che non farà ipotesi su future azioni militari ma gli Stati Uniti non “esiteranno a intraprendere ulteriori azioni” se necessario.

I governi di dieci Paesi (Australia, Bahrein, Canada, Danimarca, Germania, Paesi Bassi, Nuova Zelanda, Repubblica di Corea, Regno Unito e Stati Uniti) hanno riconosciuto come legittimi i raid anglo-americani effettuati con il sostegno di Paesi Bassi, Canada, Bahrein e Australia (che hanno propri uomini presso il comando navale della 5a Flotta USA in Bahrein ma non hanno partecipato alle incursioni) definendo le operazioni in conformità con il diritto intrinseco all’autodifesa individuale e collettiva, in linea con la Carta delle Nazioni Unite.

In un’intervista all’agenzia Adnkronos, l’analista yemenita Farea al-Muslimi, ricercatore del think-tank britannico Chatham House, ha commentato che i raid anglo-americani “non faranno altro che aumentare il sostegno nei confronti degli Houithi in tutto il mondo musulmano, tra i gruppi di sinistra in Occidente e incoraggerà ulteriori escalation regionali e globali”.

Riguardo la recente risoluzione del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, al-Muslimi ritiene che “fornisca quella che più si avvicina ad una copertura internazionale per gli attacchi, ma chiaramente per ora nessun altro Paese è interessato ad unirsi apertamente agli Stati Uniti e al Regno Unito”.

Lo scenario che va delineandosi, ovvero una “regionalizzazione” della guerra nello Yemen, ragiona al-Muslimi, “complicherà” anche gli sforzi per riprendere il processo di pace nel Paese arabo. “L’Arabia Saudita – aggiunge – ha fatto del suo meglio per rimanere fuori dal conflitto, ma negli ultimi mesi ha comunque svolto la prima linea di difesa per Israele contro gli attacchi degli Houthi abbattendo alcuni razzi”.  Al-Muslimi rimarca infine che sbaglia chi pensa che la Cina sarebbe felice di vedere l’Occidente venire trascinato in un altro sanguinoso conflitto poichè “in realtà anche loro hanno sofferto per l’interruzione delle rotte commerciali nel Mar Rosso”.

Per al-Muslimi i raid anglo-americani hanno valore pressoché solo “simbolico” e non scalfiscono le capacità militari del gruppo alleato dell’Iran. Le aree ed i siti militari presi di mira, spiega l’analista, sono in realtà “inezie” nel contesto più ampio delle capacità militari degli Houthi, in particolare per quanto riguarda le armi per gli attacchi via mare. “Sono più esperti, più preparati e più attrezzati di quanto chiunque realmente ammetta”, ha detto l’analista.

Le critiche più pesanti per l’Amministrazione Biden sono forse quelle giunte dallo stesso Partito Democratico statunitense. Gli attacchi ordinati dal presidente “violano la Costituzione”, sostengono alcuni deputati democratici che hanno accusato Biden di aver trascinato gli Stati Uniti in una guerra senza l’autorizzazione del Congresso.

Biden “sta violando l’Articolo I della Costituzione effettuando attacchi aerei nello Yemen senza l’approvazione del Congresso. Il popolo americano è stanco di una guerra infinita”, ha attaccato su X la deputata Rashida Tlaib, figlia di immigrati palestinesi, prima donna di religione islamica ad essere eletta al Congresso statunitense e tra i deputati maggiormente critici nei confronti dell’amministrazione per il sostegno ad Israele.

“Il Presidente deve presentarsi al Congresso prima di lanciare un attacco contro gli Houthi nello Yemen e coinvolgerci in un altro conflitto in Medio Oriente. Lo stabilisce l’articolo I della Costituzione che io difenderò indipendentemente dal fatto che alla Casa Bianca ci sia un democratico o un repubblicano”. ha scritto il deputato democratico Ro Khanna, di origine indiana precisando che l’emendamento all’articolo 1 che consente al presidente di ordinare un raid in risposta ad un attacco contro le forze armate USA vale solo “quando gli Stati Uniti sono sotto attacco imminente. Questi raid sono stati un’azione offensiva”.

Barak Obama, di cui Biden fu vice presidente, nel 2011 avviò le operazioni militari contro la Libia di Gheddafi con le stesse modalità, senza in via libera del Congresso, e successivamente interruppe l’intervento delle forze americane lasciando ai partner europei della NATO a completare l’operazione.

Le critiche interne ai democratici si sviluppano in un momento di gravi incertezze circa gli uomini-chiave dell’Amministrazione statunitense con un presidente Biden apparso in più occasioni confuso e poco lucido (al punto che molti, anche nel suo partito, ne chiedono il ritiro della candidatura per un secondo mandato) e un capo del Pentagono, Lloyd Austin, sotto inchiesta per il suo misterioso ricovero in ospedale tenuto nascosto anche alla Casa Bianca. Un portavoce del Pentagono ha fatto sapere che Austin è ancora ricoverato ma  “è in contatto con il suo staff senior e ha pieno accesso alle capacità di comunicazione sicure richieste e continua a monitorare le operazioni quotidiane del dipartimento della Difesa in tutto il mondo” ed è stato “attivamente impegnato questa settimana nel supervisionare e dirigere la partecipazione delle forze armate statunitensi agli attacchi multinazionali contro obiettivi militari nelle aree dello Yemen controllate dagli Houthi”.

Sarcastico il commento di Donald Trump.  “Stiamo lanciando bombe in Medio Oriente, ancora una volta. Ora abbiamo guerre in Ucraina, Israele e Yemen, ma niente sulla frontiera meridionale, questo fa molto senso”, ha ironizzato l’ex presidente candidato alla Casa Bianca riferendosi alla richiesta di misure drastiche per fermare il flusso dei migranti illegali dal Messico. “Il nostro segretario alla Difesa è scomparso per cinque giorni, guidando la guerra dal suo computer portatile e dalla sua stanza di ospedale” ha aggiunto.

 

Valutazioni

I raid anglo-americani vanno presi in esame per l’impatto che possono avere sul piano militare e politico. Sotto il primo aspetto si è trattato di incursioni limitate e di certo non risolutive, che quindi non impediranno alle milizie Houthi di continuare a minacciare il traffico navale nel Mar Rosso meridionale con il rischio di escalation se venisse colpita una nave militare britannica o statunitense.

Sul piano politico le conseguenze potrebbero essere molto gravi per il ruolo delle potenze occidentali nell’intera ragione radicalizzando le posizioni del mondo arabo e ampliando il rischio di attacchi alle basi o alle navi americane e britanniche nel Medio Oriente e di rappresaglie terroristiche contro i territori e gli interessi di Londra e Washington non solo in quella regione. Non a caso il  Consiglio politico supremo degli Houthi ha già fatto sapere che tutti gli interessi statunitensi e britannici sono diventati “obiettivi legittimi”.

Le incursioni aeree e missilistiche nello Yemen ingigantiranno la percezione di un asse tra Israele, Stati Uniti e Gran Bretagna che non aiuterà le potenze occidentali a ricoprire un utile ruolo di mediazione per risolvere la crisi di Gaza, rafforzando potenzialmente la posizione dell’Iran e dei suoi alleati ma anche quella della Turchia. Inoltre il mondo arabo non sembra disposto a sacrificare la ritrovata distensione con Teheran mediata dalla Cina né i sauditi sembrano disposti a riaprire le tensioni con gli Houthi con cui è imminente la firma di un accordo di pace.

L’Europa e soprattutto Francia, Spagna e Italia non sembrano avere alcuna intenzione di farsi trascinare in un’altra avventura militare dagli anglo-americani e mantengono le loro navi presenti in quella regione ben al di fuori del comando statunitense dell’operazione Prosperity Guardian. D’altra parte la Risoluzione dell’ONU che nei giorni scorsi ha chiesto agli Houthi di cessare gli attacchi alle navi mercantili non ha autorizzato incursioni o “spedizioni punitive” sul territorio yemenita.

Del resto l’ultima volta che gli anglo-americani hanno avviato operazioni militari unilaterali in Medio Oriente, al di fuori di una vasta coalizione e dell’ombrello di una risoluzione delle Nazioni Unite, è stato nel marzo 2003 con l’operazione Iraqi Freedom (Operation Telic per i britannici) che portò alla conquista dell’Iraq e alla caduta di Saddam Hussein,

Un’iniziativa che, a quasi 21 anni di distanza, si può affermare non abbia certo contribuito alla stabilità e alla sicurezza.

@GianandreaGaian

Immagini: Luca Gabella, UK MoD e US DoD

 

Vedi anche:

 

L’ascesa degli Houthi da miliziani dello Yemen a corsari del Mar Rosso

Mar Rosso: conflitto, terrorismo o pirateria?

Missione navale nel Mar Rosso: l’Occidente in ordine sparso

 

Gianandrea GaianiVedi tutti gli articoli

Giornalista bolognese, laureato in Storia Contemporanea, dal 1988 si occupa di analisi storico-strategiche, studio dei conflitti e reportage dai teatri di guerra. Dal 1991 al 2014 ha seguito sul campo i conflitti nei Balcani, Somalia, Iraq, Afghanistan, Sahara Occidentale, Mozambico e Sahel. Dal febbraio 2000 dirige Analisi Difesa. Ha collaborato o collabora con quotidiani e settimanali, università e istituti di formazione militari ed è opinionista per reti TV e radiofoniche. Ha scritto diversi libri tra cui "Iraq Afghanistan, guerre di pace italiane", “Immigrazione, la grande farsa umanitaria” e "L'ultima guerra contro l’Europa". Presso il Ministero dell’Interno ha ricoperto dal 2018 l’incarico di Consigliere per le politiche di sicurezza di due ministri e un sottosegretario.

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